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Anche a Roma la Terra dei Fuochi?

La storia della discarica di Castelverde e dell’area limitrofa della Lunghezzina, nella periferia di Roma Est

In via del Casalone, a Castelverde, esiste una discarica abusiva, ribattezzata ‘la Terra dei Fuochi della Capitale’. Parliamo della zona nei pressi di Lunghezzina, nella periferia di Roma Est.

A fare da accoglienza in quello che, a prima vista, sembra essere uno dei pochi paesaggi rimasti incontaminati nella Capitale, delle installazioni in eternit. Camminando sulla distesa verde e sconfinata, ci si accorge anche che il terreno è pieno e contaminato di rifiuti di ogni genere. “E’ sicuro che qui, tra gli anni ’70 e ’90, vi sono stati scaricati rifiuti di ogni genere, rifiuti ospedalieri e tossici di ogni tipo e, addirittura, (sembrerebbe) anche dell’uranio impoverito”. Questo è quanto si legge in un post scritto dal MoVimento 5 Stelle Roma, in data odierna.

INTERROGAZIONI IN CAMPIDOGLIO – I dubbi, però, risalgono a molto tempo fa, tanto che, già il 20 gennaio scorso, il consigliere comunale Enrico Stefàno aveva protocollato due interrogazioni urgenti, indirizzate al sindaco Marino e all’assessore di Roma Capitale all’Ambiente, aventi ad oggetto proprio la discarica di Castelverde e tutta l’area limitrofa della Lunghezzina, sulla quale sono stati rinvenuti materiali chimici e – come spiegavamo prima – un vecchio fienile con tetto in eternit.

“Per la prima (la discarica, ndr) sarebbero stati stanziati anche 3milioni di euro nel bilancio di Roma Capitale del 2012, ma poi non si è saputo più nulla, e a tutt'oggi l'area non è ancora stata messa in sicurezza. A Lunghezzina invece ancora non si sa quali siano le intenzioni di questa amministrazione, ma intanto c'è un vecchio fienile abbandonato pieno di eternit e rifiuti tossici appena sotto il manto erboso” – si leggeva sul sito di Beppe Grillo il 20 gennaio, quando si annunciava che “per questo motivo abbiamo protocollato due interrogazioni urgenti al Sindaco e all'assessore all'Ambiente, per chiedere misure immediate per tutelare la salute dei cittadini e bonificare quanto prima le aree”.

Ad oggi, si apprende che “la discarica sembrerebbe molto più ampia di quello che in questo momento è possibile vedere e addirittura in alcuni punti sono state costruite, col passare degli anni, delle abitazioni e, tenetevi forte, anche scuole e asili nido”. “L'area dove è ubicata la discarica – si legge ancora – originariamente era una cava dalla quale si estraeva materiale atto alla pavimentazione stradale, ovvero il selcio. Le cavità lasciate dall'estrazione del selcio, sono state riempite da materiali nocivi” sopra descritti.

1994, SEQUESTRO PENALE – Già nel 1994, ben 20 anni fa, “la Magistratura, venuta a conoscenza dell'esistenza della discarica, ne dispone un sequestro penale. Quale sia stato il seguito di quest'azione ad oggi, non è dato sapere, si sa solo che poco prima del sequestro i proprietari si sono affrettati a s-vendere le cubature edificabili. Con l'avvento della costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità (TAV, tratta Roma-Napoli) nella nostra zona, l'area della discarica risultò all'interno del tracciato della ferrovia, portando così su di essa l'interessamento del Consorzio Pegaso (IRICAV uno), concessionario della linea TAV, che per questo presentò per primo il progetto di bonifica del sito”.

4 anni dopo il sequestro penale, “nel Febbraio del 1999 si riunì una Conferenza di Servizi, alla quale parteciparono il Comune di Roma, la Regione Lazio, l'ARPA Lazio e la ASL di Roma RMB. L'argomento della conferenza fu la bonifica dell'area della discarica, che sarebbe avvenuta in 2 fasi: 1. Compattazione in ecoballe dei rifiuti nocivi (inertizzazione dei rifiuti); 2. Smaltimento finale dei rifiuti. Per la realizzazione della bonifica furono costruiti dei grandi fabbricati in lamiera bianca,  che avrebbero contenuto le ecoballe pronte per essere smaltite. Le rilevazioni del terreno per analizzarne la composizione – si legge – furono compiute solo dall'AMA di Roma, invece che essere svolte dalla ASL e dall'ARPA Lazio”.

Durante la Conferenza, però, “delle due fasi sopra citate, fu approvata solo la prima, che avrebbe interessato circa 100.000 tonnellate di rifiuti; i rifiuti inertizzati sembrano essere il 60% e il restante 40% risulterebbe essere stato stoccato in un'area impermeabilizzata con captazione dei liquami (tecnica di depurazione) ed è quello che attualmente ancora esiste”.

LA PRIMA PROCEDURA, INERTIZZAZIONE DEI RIFIUTI – La prima procedura – spiega il MoVimento 5 Stelle, “è stata eseguita dal consorzio Pegaso che ha impiegato circa 2-3 anni per portarla a termine. La Conferenza inoltre, decise che la seconda fase, cioè quella di smaltimento, sarebbe dovuta avvenire tramite la termodistruzione sul posto dei rifiuti. Il commissario straordinario della Regione Lazio dell'epoca, a questo punto, fece realizzare un impianto di termodistruzione, che fu poi smantellato senza essere stato utilizzato, ad un prezzo che non è mai stato dichiarato chiaramente”.

Nel frattempo passano 6 anni dalla prima Conferenza, e si arriva al gennaio del 2005, quando se ne tenne un’altra, “nella quale si decise che la seconda fase della bonifica, ovvero lo smaltimento finale, sarebbe avvenuta non più con la termodistruzione ma tramite trasporto su gomma in siti esteri (che ancora oggi non si conosce quali siano)".

LA COSTITUZIONE DI UN COMITATO – La presenza in tutti questi anni dei grandi fabbricati contenenti i rifiuti e lo spostamento degli stessi tramite numerosissimi camion (svolgimento della prima fase), ha attirato l'attenzione dei residenti delle zone vicine, i quali hanno cominciato a preoccuparsi per il danno ambientale e alla salute che poteva derivarne. I cittadini cominciarono a domandarsi se le frequenti malattie alla tiroide, le leucemie e tumori vari, potessero essere effetti secondari della discarica. Il loro interessamento, quindi ha portato alla costituzione del Comitato Discarica abusiva Castelverde-Lunghezza, che ha subito chiesto di essere informato sulle procedure di bonifica e di poterne far parte attivamente”. Il dato rilevante è che l’amministrazione pubblica si è resa “inadempiente rispetto alla campionatura di tutto il materiale raccolto e trasportato per il suo definitivo trattamento e, soprattutto, non è stata effettuata nessuna verifica del contenuto della discarica e il suo grado di tossicità”.

Per tutti questi motivi, “è stata inoltrata un'istanza, secondo gli artt. 2, 3, 7 e ss. Della L. n. 241 del 1990, alle Amministrazioni, affinché si organizzasse un tavolo tecnico che verificasse l'effettiva situazione della discarica, il relativo danno ambientale e il disagio personale dei cittadini. A questa istanza non è mai seguita alcuna risposta e solo dopo la denuncia al Tar del Lazio, è stato istituito il tavolo tecnico al quale hanno partecipato i soggetti interessati. I risultati di questo tavolo non sono stati mai resi pubblici”.

UN AVVOCATO MINACCIATO – Andando avanti con la storia, si apprende che “il Comitato Discarica, dopo avere saputo che alcune famiglie (circa una ventina) riuscirono a farsi indennizzare di circa 15-20 mila euro ciascuna dal Consorzio Pegaso, per il disagio creato dal cantiere (polvere, rumore, svalutazione degli immobili e dei terreni vicini, ecc), spostò anche lui il suo interesse su indennizzi di questo tipo per gli abitanti limitrofi la discarica (circa 300-400 famiglie), anziché per danni biologici. A questo punto il Comitato affidò tutta la documentazione raccolta fino a quel momento a un avvocato, in seguito divenuto anche membro dello stesso, che arrivò a presentare l'argomento anche a Strasburgo, sede del della Corte Europea. Dopo qualche tempo però, l'avvocato, che prima era molto presente, comincia a disertare le riunioni e i tavoli di lavoro e all'accusa di essersi venduto alle amministrazioni rispose molto contrariato di essere stato minacciato da un componente del consiglio capitolino se non avesse abbandonato la causa. La situazione della discarica di Castelverde fu portata anche in sede di consiglio municipale da un esponente dell'allora Partito Democratico di Sinistra (PDS), che però invece di ricevere una risposta positiva e d'interessamento all'argomento, fu costretto a lasciare la carica di consigliere e ad uscire dal partito” – spiega ancora il MoVimento 5 Stelle nel suo post.

E OGGI? – "Ad oggi – si legge – i grandi fabbricati non ci sono più, al loro posto è stato messo un grande telone a coprire non si sa che cosa, le ecoballe anche sono sparite, senza lasciare nessun tipo di traccia (bolle di accompagno e documenti che attestino il loro spostamento e la loro precisa allocazione). Questa informazione è stata estrapolata dalla discussione avvenuta nell'ultima Conferenza dei Servizi, tenutasi nell'inverno del 2012 e alla quale parteciparono il Comune di Roma, la Regione Lazio, l'ARPA Lazio, la ASL di Roma RMB, il Consorzio Pegaso e il Comitato Discarica Castelverde-Lunghezza. Da questa Conferenza emerse che il Comune di Roma avrebbe stanziato per la bonifica della discarica circa 3 milioni di Euro, affermando che sarebbe stato direttamente il comune di Roma ad occuparsi della bonifica della discarica e questa cifra fu messa e approvata anche nella previsione di bilancio 2012, ma non si hanno più notizie”.

Arriviamo così all’ottobre 2013 quando, dopo un anno di silenzio, “una cittadina ha riaperto il caso facendo delle domande specifiche sulla questione. Non ricevendo risposte chiare, la cittadina si rivolge ad alcuni attivisti del Movimento 5 Stelle che rigirano la questione al Movimento stesso. Nel Novembre 2013 il Comitato discarica si riunisce, incontra l'assessore comunale all'Ambiente Estella Marino, la quale si impegna a sbloccare il progetto di bonifica”.

Anche il Consiglio del Municipio, per il tramite del presidente della Commissione municipale Ambiente, Pasquale Gidaro, sembrava essersi mobilitato e, nel gennaio 2014, a seguito di un articolo apparso su abitare aroma.net in data 7 gennaio 2014, comunicava che le aree in questione erano oggetto di valutazione.

Ad oggi, però, tutto è fermo e ci si chiede se a Lunghezza non ci siano altre arre contaminate, come ad esempio la Riserva dei Selci.

L'ARTICOLO DI ABITAREAROMA.NET – Nell’articolo di abitarearoma.net si leggeva che “se buttate gli occhi oltre i cespugli vi accorgete che quel verde è un tappeto che nasconde l’ennesima bruttura ambientale: il terreno è fatto di scarti in vetro, e di altri rifiuti chimici industriali. Prendetene una manciata e di terra in mano ve ne rimarrà ben poca. La vostra terrà potrebbe chiamarsi ACE, Garnier, P&P. Oppure potrebbe assumere la forma di un famoso smacchiatutto, o più facilmente potrebbe contenere analgesici, deodoranti, crema mani e candeggina: questo è il micidiale compost chimico su cui nascono i prati verdi che vediamo da lontano. Su quegli stessi terreni, stanno pascolando pecore. Bene, quelle pecore produrranno latte, e quel latte in qualche maniera arriverà anche su alcune delle nostre tavole. Ma l’infelice distesa verde non è solo terra di pascolo, è anche terreno agricolo: ortaggi e verdure che tra qualche mese vedranno la luce esattamente su quella stessa distesa di rifiuti tossici ed entreranno con molta facilità nella nostra catena alimentare. Il problema è la mancanza assoluta di controlli da parte di enti preposti come Comune di Roma, ASL e ARPA Lazio che sembrano non immaginarsi assolutamente che la costruzione di una grande opera come la TAV  potrebbe essere un buon diversivo per qualche sversamento abusivo”.

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