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A Gabriel García Márquez

Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi, dedicato a Gabriel García Márquez

Città del Messico, Giovedì Santo 17 aprile 2014, muore lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez.

Soltanto tre settimane fa questa rubrica si era occupata di consigliare una delle sue opere principali insieme a 'Cent’anni di solitudine' e 'L’amore ai tempi del colera'. In altre parole l’invito era quello di spostare gli occhi sulla realtà dei Caraibi, dell’America Latina, o su quella realtà più complessiva della restrizione geografica, così povera e magica che attraverso la singolare intuizione poetica di Màrquez ha emozionato centinaia di lettori in tutto il mondo. Intuizione e chiara dimostrazione di come ogni azione poetica sia il punto di arrivo di una vita.

E’ infatti così che voglio ricordarlo, come uno scrittore la quale arte è stata occuparsi dell’arte dei più poveri.

Nel 1967 pubblicò 'Cent’anni di solitudine' il romanzo che ha fatto la sua storia, e quella della famiglia Buendìa nel (non luogo) villaggio di Macondo “un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane”.

Shakespeare scrisse: “C’è un mondo altrove”, Macondo in questo senso è diventato il nome per raccontare l’irrazionale del quotidiano, per descrivere quell’altrove che si vede quando si spia da una fessura della vita reale e che può rendere la realtà molto più magica di quanto possiamo immaginare.

La più bella frase d’amore la scrisse per uno dei due amanti del romanzo 'L’amore ai tempi del colera'. Due amanti clandestini che si amano alla follia sono abbracciati in un giardino al chiaro di luna, lei mentre è nel mezzo di un lungo e appassionante discorso d’amore si ferma, ed esitante chiede a lui: “Dove sei? Sembra che tu stia guardando altrove”, e lui risponde: “Io ti stavo guardando altrove”.

In una intervista, a proposito dell’essere considerato un “realista magico”, lui sorridente si definì un “realista triste”; triste come la fame della gente dei Caraibi, quella fame di essere gente allegra.

La prima parte della vita di Marquez fu segnata dalla fame, quando lasciò gli studi di giurisprudenza e scienze politiche spiegando al padre che nella vita voleva fare lo scrittore, egli con sconforto gli disse: “Mangerai carta”. Da allora lo scrittore scoprì che la carta non aveva poi un cattivo sapore, finché proprio quella carta lo fece diventare un uomo ricco o meglio un uomo povero con del denaro. Il passaggio da uomo povero a uomo ricco avvenne senza compromettere la sua personalità, poiché come piaceva ricordare allo scrittore, il pensiero del filosofo Sartre, la coscienza di classe inizia quando uno si rende conto che è impossibile cambiare classe, la verità è che uno non cambia mai classe, e lui nonostante lo stravolgimento dello stile di vita rimase “lo stesso vagabondo di sempre”.

Marquez è stato anche un giornalista con un impegno politico, e un grande amico di Fidel Castro; ciò nonostante non si iscrisse mai a nessun partito. Le sue idee politiche convergevano con il desiderio di un socialismo come sistema di progresso, libertà e uguaglianza relativa. Egli come tutta la sua generazione, fu segnato dalla speranza di rinnovamento rappresentata dalla Rivoluzione cubana.

Di seguito una parte del memorabile discorso alla cerimonia di consegna del Nobel, nel dicembre 1982: «Mi nego ad ammettere la fine dell’uomo. Noi inventori di favole, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non è ancora troppo tardi per intraprendere la creazione» di una «nuova e devastante utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla terra».

In seguito all’aggravarsi di una polmonite, all’età di 87 anni, a casa, in calle Fuego 144, attorno a mezzogiorno, assistito dalla moglie e dai figli, è morto un altro inestimabile premio Nobel per la letteratura; la verità è che per la morte non c’è spazio e quando muore un grande uomo, egli continua a respirare silenziosamente, in questo caso tra le pagine dei suoi libri.

Da oggi, cent’anni di gratitudine.

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