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30 chilometri ora: a Bologna è una decisione forzata. A Roma, metropoli di ben altra vastità e complessità, è pura follia

Se i limiti di velocità fossero giustificati, molti lo capirebbero e li accetterebbero come un vincolo sacrosanto. Ma non è così: spesso servono per fare cassa

Limite di velocità a 30 km/h

Limite di velocità a 30 km/h (© KarlHildebrand via Pixabay)

Bologna l’ha già fatto. Roma ha in programma di farlo. Imporre su grandissima parte del territorio cittadino il limite, risibile, di 30 chilometri all’ora.

A Bologna, centro importante ma di dimensioni abbastanza contenute, è una decisione forzata e velleitaria. A Roma, metropoli di ben altra vastità e complessità, è pura follia.

In entrambi i casi, manco a dirlo, si tratta di sindaci del PD (Lepore e Gualtieri) e di maggioranze di centrosinistra. Che inalberano la solita giustificazione e il solito alibi: la sicurezza stradale. O ancora peggio: la difesa dei “fragili”.

Quella che ha avuto la sua apoteosi, retorica e capziosa, al tempo del Covid. Ma che da lì in poi è stata acquisita come la scusa ideale per legittimare ogni sorta di imposizione. E di restrizione. In modo che chiunque sia dissuaso a priori dal contrapporsi: se ti azzardi a protestare vieni stigmatizzato all’istante.

Sei proprio un dannato egoista che se ne frega del benessere altrui. O persino della loro stessa sopravvivenza. Il benessere e la sopravvivenza degli anziani. Dei bimbi. Dei disabili.

Tutto ammantato di nobilissime intenzioni, ma con una tendenza crescente a governare a suon di divieti e con forme sempre più ampie, e invasive, di controllo personale.

La direzione è inquietante. Il traguardo si chiama “citizen wallet”, in inglese. Tradotto, qui da noi, come “credito sociale”. In pratica è una patente a punti. Su base individuale.

Per vedere, verificare, registrare, se e quanto ti comporti bene. Ovverosia quanto corrispondi, con le tue azioni quotidiane, ai desideri di chi comanda.

I desideri. Gli scopi.

Multare fa rima con vessare

È innanzitutto questo, che bisogna capire. È che i limiti di velocità sono solo un caso particolare, all’interno di un approccio molto più ampio.

L’unico aspetto positivo, nell’introduzione delle “zone 30”, è paradossale. È quello di aver fatto esplodere, finalmente, un problema che per troppo tempo era rimasto in una specie di limbo. Arcinoto per un verso ma sostanzialmente ignorato per l’altro. Un esempio lampante di “ordinaria sopraffazione” che spara nel mucchio. Un meccanismo perverso che oscilla tra l’eccesso di zelo e l’arbitrio totale.

La finalità esibita è di ridurre il numero, oggettivamente cospicuo, dei sinistri e delle vittime. Il lato oscuro è che non si tiene conto di tutto il resto. A cominciare dalle esigenze di rapidità che sono imposte dalle attività economiche e dai tempi, spesso frenetici, che dalla sfera lavorativa tracimano negli ambiti privati.

Se i limiti di velocità fossero davvero giustificati, la stragrande maggioranza delle persone lo capirebbe e li accetterebbe come un vincolo sacrosanto. Ma non è così: in una miriade di occasioni vengono fissati al solo scopo di farne il presupposto legale per irrogare quante più multe possibile.

Come si dice, “per fare cassa”. Con un’insistenza che sconfina nella protervia. E che, fatalmente, porta moltissimi cittadini all’esasperazione.

La politica degna di tal nome ragiona su questo. Quella posticcia si appella a una filantropia di facciata: e ciò che non risolve, lo vieta.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia