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17ª Festa del Cinema di Roma. Senza guardare ai premi, i film da cercare e quelli da evitare

Una bussola non intellettualistica per un pubblico non necessariamente festivaliero, da consultare all’uscita di questi film nelle sale

Locandina "Festa del Cinema di Roma" 17a edizione

Cala il sipario sulla Festa. Il nuovo vertice dice nuovamente Festival (con conseguente confusione anche nella comunicazione); ma a cose finite direi ancora Festa.
Ne ho visti 37, non mi sono emozionato mai ma in cambio sono meno le volte che mi sono rotto davvero le scatole rispetto a certe passate edizioni.
Con spirito di servizio vi lancio qualche segnalazione e qualche warning sui titoli che promettono di approdare nelle sale. Parto dal basso.

Astenersi con serena fermezza

Alcuni di questi titoli sono candidati all’Oscar (!) come miglior film straniero. Due di loro – scusate se è poco – hanno fatto incetta dei maggiori premi al festival: il lettone/lituano “January”, un’ora e mezza in cui non succede nulla in uno “sporco” d’autore (?) fatto di dominanti giallastre, fuori fuoco, riflessi in macchina (che sono valsi un premio anche al regista). E “Jeong-sun”, coreano, una storia di cyber violenza fra poveracci con venature di commedia, dove tutti, tranne la protagonista, si comportano da scemi. Anche qui non hanno pagato il direttore della fotografia, e lui per dispetto non ha messo le luci.
Seguono:


Alam”, Francia e vari Paesi Arabi. Studenti palestinesi apatici bevono, fumano e fanno dei blitz sul tetto della scuola per togliere la bandiera israeliana.
Ma parliamo di Italia, presente con una messe generosa di titoli. Evitate almeno i seguenti:


War, la guerra desiderata” (da chi? non si capisce), in quanto l’Idea è che un equivoco in una discoteca estiva scatena una guerra (vera) fra Italia da un lato e Spagna e Francia dall’altro. Una inesplicata sarabanda agrodolce dal ricco cast. Con scorribande di guerriglieri fascistoidi per le vie di Roma, fake TG Sky, rapimenti di generali, comitive gozzoviglianti. La produzione prescrive di adottare le chiavi “surreale” e “distopico” ma, attenzione, “vicino alla nostra realtà quotidiana”.


L’ombra di Caravaggio”. Raccomandato a chi ama la docufiction didascalica, le narrazioni pretestuose (qui una sorta di inquisitore interroga una serie di personaggi famosi contemporanei al pittore, in modo che loro possano sfornare una sfilza di dati biografici per l’educazione dello spettatore). Ma anche solo a chi ama Scamarcio e la sua duttile recitazione. Michele Placido ha trovato un posto pubblico da regista a tempo indeterminato.

Educazione fisica” è un lodevole tentativo di fare anche da noi un “teatro filmato”, quattro/cinque personaggi finiti chiusi in uno stesso posto a fare bla bla. Cosa che – come ci insegna il cinema d’oltralpe – fa poi montare e infine esplodere la pentola a pressione dei non-detti individuali che aspettava solo un innesco. Ma qui solo dialoghi retorici e sviluppi insensati, contando sulla captatio benevolentiae imposta dal tema di uno stupro scolastico.


Il peggiore degli italiani che ho visto io è – ahimè – prodotto dalle mie parti: “La Divina Cometa”, diretto da un artista non-filmaker, Mimmo Paladino; gronda velleità da tutti i pori nel mettere in scena – con una messe di attori di primo piano – una cosa che allude alla Commedia ma anche al presepe e alla natività e all’arte povera, attraverso quadri quasi statici, recitazioni parossistiche. Un incubo; a metà ho lasciato la sala, cosa che non faccio quasi mai.


Restando in ambiente napoletano, eviterei anche di andare a vedere “La cura”, rivisitazione de La peste di Camus in chiave, si suppone, coronavirus. Si salvano i droni a volo d’uccello su una Napoli deserta per il lockdown; ma sono troppo pochi.

Se proprio ci tenete…

Stanno pompando molto “Astolfo”, l’avrete notato. Sì, Di Gregorio è simpatico e fa un cinema – come si dice – delicato intimo e delle piccole cose, come se ne vedeva una volta. Ma il rischio è che diventi un marchio di fabbrica, con tentazione di innestare il pilota automatico. Come qui, con personaggi stereotipati, ruffianerie sparse, sviluppi enunciati anziché costruiti. Sandrelli richiamo per cucciarde.

Il colibrì” è meglio del libro perché ne dribbla gli aspetti stucchevoli e insistiti, autocompiaciuti. Archibugi si affida a Favino (ma può il cinema italiano essere retto solo da lui e Servillo?). Attenti al mal di mare degli sbalzi temporali: si perde la cognizione del tempo.

Qui, finalmente, andateci

Raymond & Ray”, bel reincontro tra fratelli distanti, alla morte del padre. Potrebbe essere il solito clichè, ma non lo è affatto grazie a un tono spiazzante, alla bella recitazione di Ethan Hawke e Ewan McGregor, e a dialoghi ben scritti.

Correte a vedere “Mrs. Harris goes to Paris” per addolcirvi la vita con una fiaba mai giuggiolosa, confezione raffinata, personaggi di contorno disegnati benissimo. Nella grande tradizione della commedia sofisticata anglosassone.

The menu” è un’affilata messa in scena grottesca degli ormai ridicoli eccessi stellati della ristorazione, e della loro rappresentazione. E’ un film “cattivo”, implacabile, che vira al thriller, confezionato lussuosamente, dove si muove a suo agio la marziana Anya Taylor-Joy (La regina degli scacchi) ed anche Ralph Fiennes, che una volta tanto dismette la sua aria da cane bastonato.

Mi è piaciuto assai “Corsage”, che guarda all’imperatrice Elisabetta d’Austria (Sissi) in modo del tutto nuovo, mostrandoci una donna alle difficili soglie dei quarant’anni dell’epoca, volitiva ma fragile, stravagante, amante della vita, insofferente alle rigidezze di corte. Lei è la per me bravissima e bella Vicky Krieps (Il filo nascosto, Das Boot). Fascinosa e spiazzante la musica; in una scena un’arpista suona in un giardino As tears go by di Mick Jagger. Ma non fraintendete: il film è raccontato in uno stile molto asburgico.

Non voglio tediarvi, mi fermo; limitandomi alla sola segnalazione di qualcos’altro che potrebbe piacervi:
L’innocent (un lieve, francesissimo polar)
Ramona (nuovo, fresco e ben interpretato)
As bestas (un thriller agreste che fa rabbia)
In a land that no longer exists (fermenti di vitalità giovanile preannunciano caduta del Muro).

Complimenti a chi ha letto fino in fondo; se abbiamo visto giusto, si sarà risparmiato qualche scivolone.