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15enne ucciso a Napoli, il perito: Anche una pistola a salve può fare molto male

Il carabiniere 23enne aggredito è ora indagato per omicidio volontario

Il carabiniere 23enne che la notte tra sabato 29 febbraio e domenica 1 marzo è stato rapinato da un quindicenne a Napoli, con una pistola risultata poi essere una replica di quelle vere, priva del tappo rosso, è al momento indagato per omicidio volontario. Nel frattempo si è scoperto che la giovane vittima aveva in tasca un Rolex e una catenina rubati in un colpo precedente. Il ragazzo aveva cercato di rapinare il carabiniere, uscito con la sua fidanzata, puntandogli contro l’arma, con un suo complice di 17 anni. Alla morte del ragazzo ha fatto seguito una vera e propria rappresaglia di facinorosi che hanno devastato il pronto soccorso dell’Ospedale Vecchio Pellegrini e sparato contro la caserma Pastrengo. Abbiamo chiesto al perito balistico del Tribunale di Roma, Massimiliano Burri, di spiegarci l’accaduto analizzando l’arma che è stata usata per l’aggressione.

“Innanzitutto una premessa doverosa: non avendo accesso agli atti, analizziamo solo gli elementi che trapelano dalla vicenda, e ragioniamo in forma di supposizione. In prima istanza occorre tener conto del fatto che anche una pistola a salve, a causa dello spostamento d’aria che causa, può procurare delle ferite gravi. Un’arma a salve, portata alla tempia come ha riferito il carabiniere, può quindi ferire gravemente. La seconda questione di cui tener conto è che le pistole a salve, se si è trattato effettivamente di un’arma di questo tipo, (elemento di cui non abbiamo ancora la certezza giuridica), e soprattutto se è stato tolto il tappo rosso, come pare il ragazzo abbia fatto, è pressoché irriconoscibile.

Inoltre, in un momento di panico, colto di sorpresa, come è accaduto al carabiniere in questa dinamica, è praticamente impossibile distinguere un’arma vera e propria, da una a salve. Anche per gli esperti di armi è difficile differenziarle, perfino in un ambiente controllato, con la totale lucidità e sicurezza, in un negozio ad esempio; figuriamoci in una situazione di paura e minaccia come quella in cui si è trovato il carabiniere. L’uomo non era in grado di stabilire se l’oggetto che gli era stato puntato contro lo avrebbe ferito o ucciso dunque ha reagito semplicemente difendendosi. Questo significa che coloro che affermano che il carabiniere avrebbe sparato per difendere il suo Rolex non conoscono le armi e questa impossibilità di distinguerle nell’immediatezza, dall’interno di una macchina e al buio. Il carabiniere a mio avviso stava difendendo la sua vita e proteggendo anche quella della fidanzata con lui.

Un terzo argomento riguarda la sequenza dei colpi e la loro distanza, elementi che ci diranno molto su questa drammatica storia: il fatto di aver sparato al ragazzo che si trovava di spalle non mi pare in nessun modo un elemento che possa far pendere la responsabilità da omicidio colposo verso l’omicidio volontario. Sul colpo alle spalle le opzioni potrebbero essere due: o il colpo é partito durante la colluttazione oppure perché  il carabiniere si è sentito ancora minacciato durante il tentativo di fuga del ragazzo.

Credo quantomeno che si dovrebbe essere più prudenti prima di affermare che il carabiniere abbia addirittura volontariamente ucciso. Ricordiamoci, nel cordoglio per la morte di un giovane in un contesto familiare difficile e probabilmente criminale, che l’uomo era fuori con la sua fidanzata per un sabato sera, non era certo uscito per rapinare o uccidere qualcuno”.

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