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Zelensky su Vogue come Maria Antonietta: il popolo ha fame? Dategli brioches!

Le reazioni dal web al servizio di Vogue sugli Zelensky non hanno tardato a farsi sentire per condannare una scelta completamente inopportuna

Il servizio di Vogue sui coniugi Zelensky

Il servizio di Vogue sui coniugi Zelensky

Ecco come trasformare un teatro di guerra in una sorta di banale intrattenimento mediatico: tutti ricorderanno la frase che rese tristemente celebre la regina di Francia, Maria Antonietta che, durante la sanguinosa Rivoluzione Francese, al grido del “popolo che non ha il pane!”, rispose candidamente “allora date loro brioches!” Spontaneo il paragone, quanto inaccettabile il fatto in sé.

Vogue: in copertina Olena e Volodymyr Zelensky

Riportando testualmente un “pezzo” tratto dall’intervista rilasciata a Vogue, la first lady ucraina, Olena, moglie di Volodymyr Zelensky, servendosi di un traduttore e ispirandosi ai suoi compatrioti che sarebbe interessante sapere cosa ne pensano, ha infatti così esternato: “…questi sono stati i mesi più terribili della mia vita e di quella di tutti gli ucraini. Francamente, non credo sia possibile capire come ce la siamo cavata dal punto di vista emotivo. Non vediamo l’ora di vincere. Non abbiamo dubbi sul fatto che prevarremo. Ed è questo che ci aiuta ad andare avanti”.

La coppia presidenziale ucraina ha quindi scelto la più prestigiosa rivista di moda americana (Vogue, per l’appunto) per farsi fotografare sia in copertina che in un servizio all’interno. Dall’alto della “gabbia dorata” in pose affettuose in diverse situazioni, ovvero come quella – mano nella mano – all’interno del blindato palazzo presidenziale della capitale.

Dopodiché, si passa alla visione delle altre fotografie con Olena Zelenska da sola con sguardo stanco e “in posa” tra soldati e macerie.

Grottesca analogia con i Ferragnez

Definita da alcuni come “influencer” internazionale (ma rispetto alla nostrana Chiara Ferragni sembra una dilettante), ha un marito che proviene dal mondo dello spettacolo e quindi, se pur non possa propriamente paragonarsi a Fedez, Volodymyr Zelensky ben conosce l’arte della comunicazione.

Ma questo è un indubbio autogol.

L’analogia con i Ferragnez è qui volutamente polemico, perché mentre quest’ultima coppia vive ed opera esclusivamente nel mondo della moda e della musica, la coppia Zelensky è a capo dell’Ucraina in una pesantissima guerra contro la Russia. E che oltre ad aver determinato e determinare ancora perdite umane civili e militari, presenta connotazioni di rilievo mondiale e con risvolti di natura economico-politica mai visti in precedenza.

Cioè, in odore di terza guerra mondiale, mentre siamo tutti in globale tensione continua a causa dei loro guai interni, questi due, invece di dare contezza degli accadimenti ai media che trattano politica internazionale, “fanno le faccine” al fotografo di Vogue?

La comunicazione in tempo di guerra

Quale potrebbe essere un segnale comunicativo peggiore di questo, dinanzi al mondo civile?

Correttamente, le indignate reazioni dal web al servizio patinato di Vogue sugli Zelensky non hanno tardato a farsi sentire per condannare questa scelta che a molti è apparsa completamente inopportuna, di cattivo gusto e soprattutto fuori contesto.

In particolare, nella stessa stampa statunitense non filorussa, ovvero da parte di chi vive in un Paese in cui le presunte sollecitazioni belliche di provenienza USA sono ancora in discussione, sono stati espressi giudizi estremamente negativi. Perché da un lato si riconosce la superiorità comunicativa ucraina espressa nella guerra dell’informazione contro quella russa, ma al tempo stesso è stata definita “pessima” l’idea del servizio fotografico di moda al tempo di guerra, in relazione al contestuale quanto paradossale invio continuo di “…pacchetti settimanali di aiuti da miliardi di dollari per proteggere la “democrazia“.

Gli Zelensky su Vogue: superficiale divismo

“Sensibilità zero”, è stato anche detto, viste le immagini televisive continue di morti mutilati e sanguinanti per strada sotto le bombe, generatrici di angoscia per tutti noi che siamo dediti da ottant’anni alla cultura della pace. E che invece siamo costretti a ritrovarci a fare i conti con i problemi delle invasioni territoriali che già Camillo Benso risolse cedendo aree italiane meravigliose in cambio della nostra faticosa unità nazionale.

Manifestazioni, queste, di superficiale “divismo” mescolate ai gravissimi fatti che hanno trasformato in un inferno le nostre vite dallo scorso mese di febbraio. A questo punto potrebbero essere forse utili soltanto a gettare dubbi e ombre di inadeguatezza su questi personaggi che, magari sostituiti da altri più esperti e responsabili al loro posto, avrebbero magari potuto gestire meglio i termini politici generali di questa catastrofica situazione.