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Vigile suicida dopo insulti social per parcheggio disabili: “Parole come pietre”

E’ stato bersagliato da messaggi di insulti, scherno e minacce sui social, nonostante abbia chiesto scusa e sia sia automultato

A Palazzolo, in provincia di Brescia, un agente di Polizia locale si è ucciso sparandosi con la pistola di ordinanza. L’agente, 44 anni, si è ammazzato vicino alla sede della Polizia locale dove lavorava. Era finito tra le polemiche qualche giorno fa per aver parcheggiato l’auto della polizia in un parcheggio riservato ai disabili, a Bergamo, vicino a una sede universitaria. L’uomo è stato oggetto di linciaggio mediatico sui social media, si era scusato e si era anche automultato. Al momento non si sa se il vigile abbia lasciato un biglietto per spiegare i motivi del gesto.

Un episodio triste che induce noi tutti a ponderare le parole soprattutto nell’epoca attuale della diffusione dei social media. Nonostante l’agente di polizia locale si sia scusato e automultato, la gogna mediatica sulla rete non si era fermata, anzi. “Credo che mai come in questo periodo le parole pesino come pietre – afferma il neuropsichiatra Antonio Guidi a Romait, commentando l’episodio – le parole vengono amplificate, esplodono peggio di una bomba nucleare, hanno una vicinanza anche corporea, non è come la televisione che si spegne, o un giornale che poi si chiude, ma è un cellulare, un tab che in qualsiasi momento ci preme l’anima”.

“Mai come in questo periodo noi siamo fragili – continua Guidi – per scarsa fiducia nel futuro, per difficoltà economiche, emotive, per perdita di punti di riferimento – dalla politica alla famiglia – per perdita di rituali, spesso dissacrati oppure che non esistono più. Mai come in questo periodo bisogna stare attenti a comunicare, perché troppo spesso si fa male ad un’altra persona più indifesa delle altre. Sovente le notizie vengono sparate nel mucchio, allo stesso modo di un cecchino, si ferisce e si uccide”.

Ancora una riflessione dell’ex ministro per la Famiglia: “Abbiamo sempre detto nel caso di femminicidi, abusi di sostanze, malattie alimentari o comportamenti sbagliati, nei casi di autolesionismo, persino nei suicidi o omicidi – che bisogna agire a livello educativo, ma la prima educazione deve essere quella sui sentimenti forti: il linguaggio dello stadio descritto troppo spesso come un linguaggio violento, il linguaggio sui social e perché no anche il linguaggio al Festival di Sanremo”.

“Chi ha fotografato e fomentato la notizia, chi l’ha portata oltre ogni limite, è un dirigente locale e anche del direttivo nazionale dell’Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili), questo ci fa pensare che spesso le persone con disabilità che rappresentano un settore importante come il terzo settore della cultura, proiettano una rabbia in accettabile violenza, a difesa dei loro diritti, ma in realtà proiettano le loro frustrazioni.

Questo episodio sta lacerando l’associazionismo del settore, perché se superiamo certi limiti diventiamo noi stessi killer di chi ci offende e addirittura diventiamo razzisti, perché ci difendiamo come se fossimo una razza a parte. E, conclude Antonio Guidi, “In realtà non esiste peggior razzista di chi, non accettando la propria diversità, la vede e la perseguita solo negli altri, questo è il rischio enorme di chi promuove i diritti delle persone che non hanno diritti”.

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