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Van de Sfroos racconta Davide Bernasconi

Intervista al cantautore italiano autore della canzone Yanez al Festival di Sanremo 2011

Davide Bernasconi, in arte Van De Sfroos, cantautore italiano autore di numerosi album e pezzi in dialetto tremezzino, e noto al pubblico nazionale per il grande successo ottenuto con la presentazione della canzone Yanez al Festival di Sanremo del 2011.

Bernasconi, esprime emozioni raccontando la propria terra, in un sincrono di storie diverse, racconti ed esperienze personali, trasmettendole in una lingua che manca di una regolamentazione grammaticale univoca (lombardo occidentale), che è senza alcun dubbio un lavoro difficile. Ma forse, da un punto di vista artistico-emotivo, la parte più complessa è riuscire a trovare il giusto equilibrio tra i vari elementi che compongono le sue canzoni, senza che il brano ne risenta in termini di comprensibilità emotiva. Bernasconi, in questo, è indubbiamente riuscito nell'intento; e ci è riuscito nella misura in cui le sue canzoni, anche all'evidenza del tour che ha appena fatto, sono riuscite a trasmettere un'emozione musicale anche a chi è estraneo al contesto linguistico-culturale lombardo.

Signor Bernasconi, se vuole, può svelarci qualche trucco del mestiere? Come si scrive una canzone che, interpretando la personalità di una località circoscritta, riesce a fare breccia in un pubblico ben più vasto di quello coincidente con la sua terra d'origine, arrivando persino in Sicilia?
Io credo che se esiste un trucco (chiamiamolo trucco, ma in realtà è il motivo che porta una persona a decidere di scrivere in dialetto lombardo, in dialetto cosiddetto tremezzin), è contrario a qualsiasi strategia di marketing e ovviamente dello show business, perché alla base di tutto c'è la passione per questa musica, quindi come uno è appassionato di bonsai sa benissimo che il bonsai non dovrà diventare una magnolia gigante, ma deve essere curato e deve avere la sua credibilità. Allo stesso modo, far leva sulla credibilità di un territorio, del suo linguaggio e dei suoi personaggi è il fattore fondamentale che abbiamo appunto chiamato "trucco". Facciamo ora un esempio un po' "ingombrante": un Pasolini, un Ermanno Olmi, hanno preso nei loro film delle figure di strada, delle figure comunque che parlavano il loro vernacolo, i loro dialetti, perché volevano far leva sulla credibilità di quelle situazioni, di quei luoghi. Che fossero l'antica Mantova piuttosto che i ragazzi di borgata, bisognava far leva sul rispetto dialetto e linguaggio. Allo stesso modo io scrivo canzoni che riguardano credibilmente un territorio, un modo di essere, di fare (non certo scurrile, perché non è semplicemente un momento buffo, è proprio il modo in cui si nasce, si vive, si muore). Quindi, questo è stato il mio punto di riferimento.
 

Probabilmente il suo pezzo più noto al pubblico italiano è quello di Yanez, prima e unica canzone dialettale non napoletana cantata al Festival di Sanremo, dove tra l'altro riuscì a posizionarsi quarta in classifica. Ci racconta qualcosa di questo brano, che ben rappresenta quel sincrono di cui si è parlato poc'anzi?
La canzone in questione ha una storia abbastanza lontana. Probabilmente è l'ironia della sorte. Una canzone d'ispirazione vagamente santeriana; un autore che pure non essendo mai andato da qui a lì aveva descritto luoghi, personaggi esotici semplicemente per sentito dire e più perché aveva letto dei libri. Io invece continuavo a girare, a viaggiare, a visitare l'Italia in lungo ed in largo, così come l'Europa e non solo. La figura di Yanez è allora per me una sovrapposizione a quella di mio padre, che era scomparso da qualche anno: dunque la canzone non nasce assolutamente per Sanremo. Nessuno sapeva che sarebbe arrivato Gianni Morandi a chiedere una partecipazione, a dire che avevano bisogno di una novità in un festival che loro avevano strutturato in maniera differente anche per l'occasione dell'anniversario dell'Unità d'Italia. Quindi la canzone nasce assolutamente libera, per il disco nuovo che si chiamava appunto Yanez. Nel momento in cui vennero a chiedere, ecco che viene scelta perché secondo loro è orecchiabile, bella, e perché secondo loro funziona; allora io la registro e la porto con la mia band. Quindi quella è una canzone libera, pura, non sanremese: eppure sale sul palco, quello stesso palco che io avevo visitato nei vari premi Tenco. Dunque un palco molto più popolare ed esteso a tutta Italia. E l'Italia cosa fa? Contrariamente a quel che dicono i bookmaker inglesi (che ci davano sfavoriti nel festival, perché non era assolutamente concepibile che ci fosse una canzone in dialetto in un festival italiano), arriviamo addirittura quarti, e non certo perché avevamo tanti parenti a casa, perché poi, viaggiando, specialmente nella zona di Roma venendo alle trasmissioni del post-San Remo, ed andando anche molto al Sud, si vedeva e si sentiva una gran simpatia per questo personaggio, questo Yanez. Dunque la canzone ha funzionato in questo modo: innanzitutto perché suonava esotica, e tutti in quell'esotico trovavano qualcosa di casa: fa niente che fosse la casa di un altro, perché era sovrapponibile ad una casa del Salento, ad una di via Tiburtina, ad una sul lago Trasimeno oppure ad una a Venezia. Ed è questa una cosa che ho dovuto capire anche io dopo, perché all'inizio non avevo tutto predisposto, ed era capitato tutto molto casualmente. E poi è stato divertente analizzare questo fenomeno a livello diciamo sociologico: perché questa gente, in stazione a Roma, mi riconosce, mi dice "Yanez!"? Lo fa perché in quel momento la canzone aveva avuto una sua libertà, una sua simpatia, avendo allo stesso tempo una ritmica abbastanza coinvolgente.

Torniamo ora a fatti più recenti, e parliamo del suo Tùur Teatràal, la tournée che rilancia alcuni suoi brani storici ed il suo nuovo album Goga e Magoga, e che ha attraversato (e attraverserà) molte città italiane, tra cui anche Roma, dove si è esibito questo 14 gennaio.

Come sta andando? E poi, ci tolga una curiosità. Firenze, Roma, Udine, Lodi, Varese: ognuna di queste città, tramite il pubblico che ha assistito al suo concerto, ha adottato e fatto sua una canzone in particolare? Intendo una che ha fatto chiedere il proverbiale bis, e che si è legata con quel dato pubblico ed a quel dato evento.
Volevo fare un tour teatrale che prendesse in rivisitazione tutti i brani del passato, della mia storia, e rivederli in quartetto acustico, in una versione molto più confidenziale, da teatro, e poi per usare tantissimi strumenti (con due dei quattro della band a fare addirittura da poli strumentisti), che consentono di vedere, durante gli spettacoli, un cambiamento di atmosfera dovuto al cambiamento di strumenti in corso d'opera: la cosa affascinante è dunque questo continuo creare suggestioni. Lo spettacolo poi si snoda intorno alle tre ore, durante le quali oltre ai brani c'è anche un racconto, che proprio per il fatto di essere in teatro permette all'ascoltatore di lasciarsi trasportare anche dietro gli elementi e le storie che quelle canzoni hanno fatto, diventando così un pò anche teatro-canzone. E devo quindi dire che la risposta è sempre stata buona, anche perché si tratta di uno spettacolo generoso, che non si impunta sulla grandezza della band (tanti suoni, tanti strumenti), ma nella semplicità di un tentativo di ritornare alla radice della canzone acustica con tutta la calma del racconto che in teatro trova proprio la sua dimensione ideale. Infine, per quanto riguarda il come stia andando il tour, beh posso dire che ci ha riservato delle grandissime sorprese, poiché, sia dalle nostre parti sia fuori, abbiamo registrato un sold out o comunque dei teatri ragionevolmente pieni. Adesso stiamo per andare a Trento e Belluno, ed anche lì quasi sold out.

Passiamo ora a qualcosa di personale, per parlare un pò di Davide Bernasconi oltre che di Davide Van de Sfroos. Spesso la risposta a qualche domanda particolare riesce a dirci di più di un'intera biografia, aiutandoci a capire meglio la personalità della persona che si vuole conoscere; proprio per questo abbiamo rivolto alcune domande mirate.

Se non avesse fatto il cantautore, se avesse mantenuto una passione per la musica senza trasformarla in un lavoro, che mestiere avrebbe desiderato fare?
Mi sarebbe piaciuto tantissimo lavorare in una radio; ma non una radio per forza commerciale nello stile odierno (anche se quelle vanno benissimo). Sicuramente mi sarebbe piaciuto una radio vecchio stile, tipo "Lupo solitario", dove una persona racconta, parla, magari anche di notte, proponendo musica. Ecco, personalmente avrei potuto, e potrei, vivere senza dover cantare e suonare, anche se questa cosa mi mancherebbe; farei però molta fatica a vivere senza la musica da ascoltare, e questo è fondamentale. Quindi quello sarebbe stato sicuramente un lavoro interessante. L'altro sarebbe stato (e un pò lo è divetato ultimamente, con questo mio format televisivo di riprese e di filmati), inerente all'antropologia: vedere, studiare, osservare territori e culture è una cosa che in parte, grazie a Dio, è arrivata e che nel lavoro che sto facendo traspare. Quindi queste sarebbero le due cose che mi sarebbe piaciuto fare.

Ha un libro preferito? Un testo/autore che fa parte di lei e che torna periodicamente a leggere?
Beh, ho letto molti autori che mi hanno colpito, come Grazia Deledda, Ignazio Silone, il Verismo italiano con Verga, Elio Vittorini: tutti autori che mi hanno sempre molto affascinato perché parlavano del mio Paese, della mia terra, dell'Italia, senza troppi filtri. Ovviamente mi piaceva anche la letteratura francese, del verismo e del realismo, con ad esempio Zolà (Ventre di Parigi è un libro che mi ha colpito molto per la sua capacità iper-realistica e fotografica di un tempo che ovviamente non avevo vissuto); allo stesso modo mi colpiva tantissimo Louis-Ferdinand Céline, con Viaggio al termine della notte: non pensavo ci fosse un tale coraggio di scrittura nel bene e nel male. E poi sono molto affezionato alla Beat generation, perché quella è proprio la poetica della strada, del viaggiare, del mettere immagini a volte anche abbastanza allucinate/allucinogeno. Oltre a questi, ci sono poi tanti altri artisti che ti colpiscono perché hanno un modo di raccontare che va a toccare delle cose incredibili, come la neozelandese Janet Freme, che era stata nove anni in manicomio, con il suo Un angelo alla mia tavola, Giardini profumati per ciechi e quel bellissimo Gridano i gufi.

Da ragazzo (ma anche oggi, ovviamente), ha mai avuto un cantautore italiano preferito? Diciamo un modello artistico a cui all'inizio della sua carriera si è ispirato.
Pur avendo ascoltato tutta la musica italiana, credo che De André e De Gregori, per il tipo di scrittura, per il tipo di rimando anche a determinate visioni legate poi ad altri cantautori americani, sono stati quelli che più mi hanno affascinato, senza però nulla togliere agli altri cantautori italiani di cui ho quasi tutti i dischi.
 

Abbiamo detto che raccontare la propria terra con la musica è un lavoro certo non semplice; ed abbiamo anche detto che lei, all'evidenza della sua carriera, ci è riuscito, ottenendo un grande successo anche fuori dalla Lombardia. La congiunzione di queste due caratteristiche, e cioè la capacità di fare produzioni artistiche del genere ed il successo extra-territoriale delle medesime, fa balenare in testa un'idea, che prende spunto da una necessità culturale del nostro intero paese. Mi spiego meglio. Ogni regione italiana ha la sua storia, le sue particolarità, le sue peculiarità linguistiche e culturali; e c'è da dire che in molte delle medesime viene attualmente a mancare un'interpretazione artistico-musicale delle storie, delle tradizioni e, perché no, anche del dialetto locale. Tranne rare eccezione (penso alla Lombardia con lei, alla Campania, alla piccola parentesi della Liguria con De André e poche altre) le altre regioni italiane non hanno rappresentanze musicali di rilevanza nazionale.

Dunque, signor Bernasconi, un'ultima domanda. Ha mai pensato di poter sfruttare la sua esperienza per farsi interprete anche di altre storie fuori da quella del Comasco? Intendo fare come hanno fatto altri cantautori come De André, Modugno ed altri e mettersi in prima linea per raccogliere, nei diversi dialetti, altre tradizioni, altre memorie, e diventarne la voce, avvicinandosi così sempre di più ad un taglio nazionale. A Roma, ad esempio, troverebbe terreno fertile, giacché questa città è sia nota per l'apertura verso i non-romani, sia per la passione per la musica tradizionale.
Diciamo che io faccio parte di una realtà discografica molto piccola, quindi non è che possa fare di colpo il maestro, il genio della lampada che può far tutto quello che vuole. C'è però da dire che questo discorso io l'ho affrontato con molto entusiasmo, tanto più che dove ho potuto, e cioè all'interno di festival dove io ero direttore artistico, ho sempre coinvolto e mi sono sempre circondato di artisti di altre regioni, proprio per riuscire a portare questo messaggio di coinvolgimento delle lingue comprese nell'Italia. Dunque i lavori con Peppe Voltarelli, qualche volta con i Tazenda, e persino un incontro con Mannarino (con cui tra l'altro mi piacerebbe fare qualcosa, perché è un artista che stimo molto). Il mondo di tutti questi desperados del dialetto mi affascina sempre di più; ed ultimamente sto cercando di raccogliere nomi, presenze, che dentro questo festival che stiamo portando in giro una volta al mese. Con l'avvento dell'expo, c'è questo progetto di musicisti a chilometri zero in ogni città lombarda, dove io cerco di far salire sul palco, nel mio show, i musicisti di quella specifica zona. Ovviamente se questa cosa fosse estesa a tutta l'Italia sarebbe un lavoro galattico e stupendo. Chissà mai se ci sarà l'energia per farlo. Con me diverse volte è successo: per esempio, una volta, in un'iniziativa che si chiamava identità e musica, che vedeva fianco a fianco grandissimi autori ed altri sconosciuti, io duettai con Francesco De Gregori, facendo la versione di Sciur Capitan mescolata a Generale, che fu quasi proposta da lui, giacché io ero soltanto il direttore artistico dell'evento più che in edizione sul palco. E li poi abbiamo fatto venire diversi cantautori italiani, che cantavano canzoni legate al loro territorio, possibilmente anche in dialetto. Quindi la mia risposta è: certo che mi piacerebbe e che vorrei, ma certo anche che un pò lo sto già facendo per quella che è la mia possibilità.

Grazie mille per l'intervista e la disponibilità dimostrata.
Grazie a lei e buon lavoro!

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