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Una società, la nostra, fondata più sulla morte che sull’amore

Ma sul serio esistono ancora pregiudizi e discriminazioni riguardo al sesso occasionale?

Tutti, o quasi, abbiamo fatto almeno una volta sesso occasionale, ma non è detto che lo si racconti e, per di più, online come, invece, ha fatto Zhana Vrangalova, ricercatrice con un dottorato PhD in 'Psicologia dello sviluppo' alla Cornell University e insegnante di 'Sessualità' alla New York University, che ne ha fatto oggetto di indagini e studio creando un database online. Il sito in questione, nato nel 2014, si chiama: casualsexproject.com e raccoglie le esperienze di sesso occasionale di tutti quelli che vogliono raccontarle rispondendo a delle domande di un forum. Ne esce un vasto campionario di esperienze sessuali.

Non si tratta di un metodo di ricerca scientifica, però dice molto delle abitudini sessuali di individui assai diversi tra loro, uomini e donne che vanno dall'adolescenza ai settanta anni. Il New Yorker scrive che la stessa fondatrice ha come intento raccontare, sensibilizzare e non giudicare il sesso occasionale, reazione che secondo lei avverrebbe di frequente, perché spesso è considerato un comportamento da tenere segreto per timore e vergogna.
 
Ma sul serio esistono ancora pregiudizi e discriminazioni riguardo al sesso occasionale? Al contrario, ci sembra che spesso si venga giudicati perché si ha un comportamento sessuale tradizionale, ''abitudinario'': partner fisso, convivenza, matrimonio, più che per una vita sessuale movimentata.
D'altro canto, tanti articoli sono stati scritti per smitizzare l'idea romantica dell'amore coniugale e del matrimonio, ma, al contrario, pochi o rari sono stati quelli che hanno provato ad analizzare e, perché no, stigmatizzare il sesso occasionale, anzi sovente lo hanno enfatizzato come qualcosa che può dare l'adrenalina giusta in una giornata di ménage familiare stantio e noioso.
 
Ancora meglio, se al sesso abbiniamo il concetto di desiderio persistente, il gioco erotico e, infine, il senso dell'amore come dolore e struggimento. Tanta letteratura e troppa cinematografia si sono affaccendate per dimostrare che l'amore vero è quello incompiuto, quello che più semplicemente ci fa soffrire. Le ultime lettere di Jacopo Ortisdi Ugo Foscolo, I dolori del giovane Werther di J. W. Goethe, L'amante di Marguerite Duras, L'animale morente di Philip Roth: struggimento, amore, eros (negli ultimi due) e morte, dalle letture scolastiche a quelle scelte per piacere, l'elenco potrebbe essere infinito. ''Tu non vuoi essere innamorata, tu vuoi essere innamorata in un film'' faceva dire a uno dei suoi personaggi Nora Ephron in ''Insonnia d'amore''. Un film su tutti: ''Ultimo Tango a Parigi'', in cui la morte è centrale, sia quella fisica col suicidio della moglie (non visibile ma comunque presente, in apertura) e l'omicidio ai danni di lui in chiusura, sia quella psicologica esistenziale del protagonista, interpretato da Marlon Brando, come pure la solitudine.

Tutto si snoda lungo un percorso di erotismo che sembra quasi un cammino di salvezza e che invece porta alla morte, con la mera illusione di aver trovato l' amore. Qui come non mai: Eros è Thanatos, perché pur avendo pulsioni diverse, spesso convivono. Tutte le opere succitate, certamente capolavori, evocano dei fantasmi che ci abitano dentro, forse dei veri e propri demoni che, sopiti, tornano a galla e sobillano un qualcosa di spaventoso eppure irrimediabilmente attrattivo, una sorta di ''perturbante'' freudiano, che genera una pulsazione di infinito e ci obnubila facendoci dimenticare l'elemento mortifero che lo connatura.

Ogni volta che quella pulsazione ci sobilla noi crediamo che quello sia l'amore, impetuoso, impossibile, travolti da una passione esclusiva che mai più sarà ripetibile. Facciamo di tutto per un brandello di ''infinito'', almeno in quell'istante crediamo che lo sia. Nel desiderio siamo protagonisti, sempre, ci illudiamo di riappropriarci di noi ogni volta. Poi c'è una digressione da fare sul modo, naturale e fisiologico, nonostante l'emancipazione e il femminismo, in cui donne e uomini concepiscono l'amore, l'innamoramento, le relazioni, il sesso e la passione.

E a proposito di letteratura che nutre l'immaginario collettivo e si sedimenta nei lettori futuri-e fidanzati-e mariti, mogli o singles, tempo fa, un altro articolo sul New Yorker descriveva quali e quante differenze ci siano da parte di scrittori uomini e scrittrici donne nel narrare l'innamoramento all'interno dei propri romanzi. A esempio, piuttosto stimolante era la descrizione dell'innamoramento narrato da Lev Tolstoj e Karl Ove Knausgard . I due autori vengono in un certo senso assimilati. Si innamorano quasi ''a prima vista'', Levin di Kitty in Anna Karenina, e Karl di Linda ne ''La mia lotta'', non fanno riferimento a ciò che dicono, come invece fanno le autrici donne analizzate nel pezzo: Elena Ferrante (ammesso che dietro lo pseudonimo si celi una donna ), Charlotte Bronte, Jane Austen che partono proprio da lì per innamorarsi. Knausgard e Tolstoj, o meglio i loro personaggi, si sentono attratti come fosse un 'esplosione, un'attrazione che ha qualcosa di inspiegabile e misterioso. ''Questo senso di un potere emotivo misterioso fa eco alla reazione di Levin al sorriso di Kitty, che lo ha "trasportato" indietro alla sua infanzia''.

La concezione di Knausgard sull'amore non è la stessa di Tolstoj più di quanto non lo sia quella di Philip Roth o Bellow, questi ultimi ritrattisti di sensualità ed erotismo tali da rendere il sesso e la sensualità esteticamente ricchi e intellettualmente potenti, scrive l'autrice. Le idee sull'amore, sulla sua natura peculiare e le sue cause, sono instabili e idiosincratiche. Però, tra le varianti infinite, l'idea romantica sembra appoggiarsi a una o all'altra di due poli: il concetto di amore come una profonda, misteriosa attrazione, che è più smaccatamente maschile, almeno negli autori esaminati nell'articolo, o l'idea di una collaborazione con un'anima, una persona unicamente in grado di comprendere la propria vita interiore, che è più femminile e delle autrici donne come Jane Austen, Charlotte Bronte, George Eliot, conclude la scrittrice nel suo pezzo. E, dunque, tornando al concetto di amore come desiderio e fuggevolezza, instabilità e attrazione verso il perturbante, la domanda potrebbe essere la seguente: quanto siamo attratti eppure respinti dalla ''morte'' intesa come mistero, pericolo, amore mancato e tormentato desiderio?

Non ci vogliamo perdere in bollette da pagare e serate sul divano a vedere la tv, ma l'ossessione del mancato raggiungimento amoroso ci fa essere vivi: ci chiamerà? Ci messaggerà? Ci scriverà sulla chat di facebook? Quando ci rivedremo? È uno dei modi più comuni che conosciamo di amare. L'oggetto mancato, che non può essere completamente nostro, che può darci una passione sfrenata e poi lunghe attese in cui vibrare aspettando un altro incontro, un nuovo sms, intriganti messaggi su WhatsApp.

Potremmo concludere che più che una società fondata sull'amore, la nostra sia una società, ahinoi, fondata sulla morte che poi edulcoriamo attraverso la commemorazione dei morti, rituali pagani e-o religiosi e botte di adrenalina (per dirla con Quentin Tarantino). Le relazioni che chiudiamo frettolosamente, le ricerche compulsive di partner, più o meno occasionali, sui social network, un bel supermercato dell'umana varietà, per godere provando orgasmi come fossero sedativi, aiutano a calmarci, ad afferrare qualcosa che non c'è e non dura nel tempo. Crediamo di sconfiggere il tempo e, quindi, la morte. ''E giunse la Morte a perdifiato lungo il Boulevard nell'esangue luce color seppia. E giunse la Morte volando come in un cartone animato in sella a una massiccia e austera bici da postino. E giunse la Morte infallibile. La morte inesorabile. La Morte impaziente. La Morte che pedalava furiosamente […]''. Joyce Carol Oates, ''Blonde''.

 

* Articolo pubblicato anche su Huffington Post, per gentile concessione dell'autrice.

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