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Un indovino mi disse, Tiziano Terzani

Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi

Nella primavera del 1976 il grande giornalista e scrittore fiorentino Tiziano Terzani lavora come corrispondente del settimanale tedesco “Der Spiegel” dall’Asia.  Nella città letteralmente chiamata "Porto profumato", in un appartamento abbandonato nella periferia di Hong Kong, un vecchio indovino cieco e malandato lo sceglie tra la folla, lo guarda in faccia e di fronte al suo sorrisetto un po’ sarcastico e all’atteggiamento scettico, lo avverte: «Attento! Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell'anno non volare. Non volare mai». Sul momento quelle parole lo colpiscono, ma non se ne fa un gran cruccio… il 1993 è ancora lontanissimo. Sedici anni sembrano tanti, ma come tutti gli anni passano veloci, e presto Terzani giunge alla fine del 1992 con un tale livello di depressione da sfiorare la soglia del suicidio.

Riguardo all’anno a venire, che fare?  Terzani pensa che il miglior modo di affrontare quella «profezia» sia il modo asiatico: non mettercisi contro, ma piegarcisi. Perché provocare la sorte se proprio quella ti fa un cenno, ti dà un suggerimento? Egli ama scommettere al tavolo della roulette e, da grande giocatore d’azzardo, più per gioco che per paura, decide di rispettare la profezia: scommette sulla sua vita e su un anno vissuto in Asia viaggiando con ogni mezzo possibile purché non sia un aereo, un elicottero, un aliante o un deltaplano, senza tuttavia rinunciare al suo mestiere di corrispondente.

Un indovino mi disseè insieme romanzo d’avventura, autobiografia, e grande reportage di viaggio del 1993, uno degli anni più particolari di una vita già tanto straordinaria. Muovendosi fra l’Asia e l’Europa, in treno, in macchina, in nave e a volte anche a piedi, attraversando bracci di mare, superando fiumi, le frontiere segnate dalla natura e dalla storia, radicate nella coscienza dei popoli che ci vivono dentro, le distanze riprendono il loro valore restituendo al viaggiare il vecchio gusto di scoperta e avventura.

Il viaggiare in treno o in nave, su grandi distanze, ridà il senso della vastità del mondo e fa riscoprire un’umanità, quella dei più, quella che si sposta carica di pacchi e di bambini, quella cui gli aerei e tutto il resto passano in ogni senso sopra la testa. Gli aerei impongono la loro limitata percezione dell’esistenza: essendo una comoda scorciatoia di distanze, finiscono per scorciare tutto, anche la comprensione del mondo.

Egli scopre la vera Asia, alloggia in pensioni a una o due stelle avvicinandosi a quella parte di mondo che fino al 1992 aveva sempre guardato dall’alto in basso, quella della gente comune e non dei ministri, degli ambasciatori e delle grandi personalità. Con la decisione di non volare ne prende anche un’altra, quella che dovunque fosse arrivato durante questo viaggio, sarebbe andato a trovare il più noto indovino locale, il mago più potente, il santone più stimato, il veggente, l’invasato o il matto del posto per sapere qualcosa sul suo destino e per carpire i segreti dell’occulto orientale.

Incontra così diversi veggenti: i più particolari hanno un’insolita comprensione della condizione umana e una capacità psichica che lascia davvero pensare che abbiano come un senso in più. Essi pongono interrogativi sugli aspetti di una realtà culturale che la razionalità occidentale tende a irridere. In Cina, in India, in Indonesia, quella che noi chiamiamo superstizione è ancora roba di tutti i giorni. Il lungo viaggio che partì dalla Thailandia, toccando Laos, Birmania, Singapore, Cambogia, Vietnam, Cina, Mongolia e via Transiberiana il ritorno in Europa, riporta la testimonianza dei segni delle guerre che nello scorso secolo hanno generato tragedie sanguinose. Della pesante transizione dalla realtà sociale e culturale del passato, in cui spiritualità e magia avevano un ruolo forte, ad un modello globalizzato imposto dalla Cina e dalla sua evoluzione, dopo la rivoluzione culturale.

Il misticismo orientale, il buddhismo, i guru asiatici sembrano poter aiutare chi vuole sfuggire alla prigionia dei consumi, alla dittatura della televisione, ai bombardamenti della pubblicità. Egli recupera la sua spiritualità attraverso la laicità del buddhismo: una filosofia che ti lascia essere quello che vuoi e libero di intraprendere qualunque strada tu voglia per arrivare all’illuminazione, per trovare una motivazione valida e sufficientemente consolatoria all’evento al quale nessuno di noi potrà rinunciare: la morte.

Parte laico da Bangkok e finisce in un Asharam ossia un luogo di meditazione dove i saggi vivono in pace in mezzo alla natura, assieme a un monaco buddhista. A questo punto Terzani scopre quel tipo di spiritualità che gli permetterà di passare da corrispondente di guerra a messaggero di pace. Inizia un nuovo percorso esistenziale, segnato dalla ricerca di un punto di incontro tra una spiritualità non dogmatica e la razionalità della cultura occidentale, alla ricerca di una risposta agli interrogativi che tormentano, al termine di una vita, un’intelligenza mai totalmente appagata.

«La profezia era la scusa. La verità è che uno a cinquantacinque anni ha una gran voglia di aggiungere un pizzico di poesia alla propria vita, di guardare il mondo con occhi nuovi, di rileggere i classici, di riscoprire che il sole sorge, che in cielo c’è la luna e che il tempo non è solo quello scandito dagli orologi. Questa era la mia occasione e non potevo lasciarmela scappare

Ovviamente il Giornalista che ha legato la sua vita e il suo lavoro alla ricerca di verità, nel corso dei suoi viaggi ne avrà sentite dire ai veggenti di tutti i colori da non poter dare retta a tutti gli avvertimenti e a tutte le proibizioni. Ma avrebbe dovuto credere alla più famosa strega veggente di Ulan Bator che nel 1993 gli disse:

«Nell’anno del Maiale i tuoi libri avranno successo»

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