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Storie in divisa di sbirri e piedipiatti, spesso eroi nell’ombra

La divisa era simbolo di protezione e giustizia e rappresentava un forte deterrente per i malintenzionati, da Pinocchio al terrorista

Il Carabiniere Michele Farneti e il Maresciallo Fabio Ventanni, Comandante della stazione dei Carabinieri di Cantiano

Il Carabiniere Michele Farneti e il Maresciallo Fabio Ventanni, Comandante della stazione dei Carabinieri di Cantiano

Non avevo ancora compiuto 18 anni e il servizio di leva alla fine degli anni 80 era ancora obbligatorio. Come gli altri miei coetanei attendevo con timore l’arrivo della famigerata “cartolina rosa“ che convocava il futuro milite presso il distretto militare per le visite mediche durante i famosi “3 giorni“, poi al CAR (Centro Addestramento Reclute) e infine verso la caserma ove trascorrere i 12 mesi nella naja.

Era il tempo della naja

Il termine naja, col quale in modo poco affettuoso si usava chiamare il servizio militare, sembra abbia origini venete. Una delle spiegazioni dell’origine del termine è che possa derivare dalla parola tenaja (tenaglia) per sottolineare appunto il sentimento di “morsa” e di “costrizione” percepito dai soldati già dai tempi del primo conflitto mondiale.

Ero molto indeciso sul da farsi, se tentare la carta della riforma per inidoneità fisica (ma era evidente la mia sana e robusta costituzione), oppure provare almeno ad entrare in un corpo militare specifico come l’Arma dei Carabinieri o l’Aeronautica. Così mia mamma decise di presentarmi un suo cugino, un Generale dell’Arma, dicendomi che magari, parlando con lui, avrei avuto le idee più chiare. Il cugino Generale abitava a Roma in zona Piazzale Jonio dove all’epoca c’erano ancora degli esercizi commerciali storici come il ristorante pizzeria Il Nazareno e il bar Di Biagio, il negozio di scarpe Gaetano e il supermercato iN’s. Poi c’era Eldo che vendeva qualsiasi cosa fosse di matrice elettronica e il negozio di dischi Musicopoli.

Il cugino di mamma era un uomo che suscitava grande rispetto ma aveva gli occhi buoni. Scoprii, in quel pomeriggio del 1987, che la canzone Anema e core era stata composta e dedicata alla moglie del Generale così che, se già le numerosissime onorificenze esposte nel salone gli attribuivano un’aria importantissima, la scoperta musicale aggiunse un alone di ulteriore straordinarietà a quell’incontro.

Il fascino della divisa

I dubbi sul mio prossimo destino in divisa e l’idea sgradevole di dovermi eventualmente tagliare i capelli che già scendevano abbondantemente oltre le spalle (ero già un giovane musicista rocchettaro) furono spazzati via da un fatto inaspettato. Moltissimi, nati come me nel 1970, ricevettero il congedo illimitato per esubero. Nell’anno precedente alla mia nascita, complici sicuramente le conquiste delle libertà sessuali del ’68, le coppie si erano date da fare più del solito sotto le lenzuola. Ci furono talmente tante nascite nel 1970 che moltissimi ragazzi, come me destinati al servizio di leva nel 1988, furono esonerati dalla naja. Così almeno mi fu spiegato all’epoca. Fatto sta che non indossai mai l’uniforme.

Sollevato dall’obbligo di dover trascorrere 12 mesi in una caserma da qualche parte in Italia e felice di conservare la mia folta chioma, mi rimase tuttavia il gusto mai assaporato dell’idea di arruolarmi.

Ad oggi rimane forse uno dei pochissimi rimpianti chiusi nel cassetto delle cose che avrei voluto fare.

In famiglia, da parte di mamma, molti hanno indossato l’uniforme. Suo fratello maggiore, mio zio Paolo Genoese Zerbi, divenuto cittadino degli Stati Uniti d’America, aveva servito come medico nel U.S. Army Reserve col grado di Tenente Colonnello. Mio Nonno paterno, nonno Gianni, aveva combattuto nella guerra d’Africa del 1936 nel Secondo Reggimento Genio Pontieri.

Infine mio padre, che indossò per 25 anni la divisa di Assistente di volo Alitalia e che mi diceva sempre di essere fiero di rappresentare l’Italia nel mondo. E oggi che è in pensione, è, assieme a me, iscritto all’Associazione Nazionale Carabinieri e membro volontario della Protezione Civile di Cantiano nelle Marche.

Il rispetto per le forze dell’ordine

Per tutte queste ragioni, il rispetto per le autorità e per le forze dell’ordine è a tutt’oggi qualcosa di fortemente radicato in me.

Sono figlio della prima generazione nata dopo la seconda guerra mondiale e quando ero bambino sugli autobus dell’ATAC (all’epoca erano di colore verde), vi erano ancora le targhette vicino ad alcuni sedili che riportavano la dicitura posto riservato agli invalidi di guerra e del lavoro.

Al terzo piano del palazzo in cui abitavo a Roma nei primi anni 70, vi era l’appartamento del Colonnello Paci il cui solo nominarlo da parte di mia madre provocava l’interruzione istantanea di qualsiasi bricconata messa in atto da mia sorella e me. Quelle poche volte che incrociai il colonnello in ascensore era puntualmente vestito in altissima uniforme. Una sorta di antesignano colonnello Trautman nel film Rambo.

Durante la mia prima parentesi di vita in Marocco, dal 1979 al 1984, ogni 4 novembre, in occasione della giorno dell’Unita Nazionale e giornata delle Forze Armate, ci si radunava nel cortile del Consolato Generale d’Italia a Casablanca. La comunità italiana, rappresentata dall’Ambasciatore e dal Console, onorava i caduti delle due guerre mondiali in presenza di alcuni reduci: I Cavalieri di Vittorio Veneto (onorificenza conferita ai combattenti della guerra 1914-18 e delle guerre precedenti ). Mi emozionava moltissimo vederli in alta uniforme e pluridecorati, decisamente anziani, ma con la fierezza di un giovanotto, sull’attenti davanti al monumento degli italiani caduti, col tricolore che sventolava. Era un momento molto toccante.

Per me i carabinieri erano anche i gendarmi che arrestavano Pinocchio nello sceneggiato Rai con Nino Manfredi, e che a me facevano molta paura. Ma il timore non nasceva da qualche preconcetto nei confronti delle forze dell’ordine, bensì dal fatto che facessero rispettare la legge con fermezza e decisione e anche una bighellonata, come il “marinare“ la scuola, poteva essere motivo di un loro intervento.

La divisa simbolo di protezione

La divisa era simbolo di protezione e giustizia e rappresentava un forte deterrente per i malintenzionati, da Pinocchio al terrorista. Non ho mai amato gli slogan che inneggiano contro Polizia o Carabinieri. I termini sbirro o piedipiatti non hanno mai fatto parte del mio vocabolario.

I miei eroi cinematografici da bambino erano l’ispettore Callaghan, Starsky e Hutch, Kojak. I telefilm degli anni 70 che vedevano protagonisti lo sceriffo a New York e l’ispettore Cannon.

Eroi in divisa positivi, al servizio della legge e del bene.

Salvo D’Acquisto

Sono cresciuto nel mito del Carabiniere Salvo D’Acquisto e mi dispiace constatare che oggi, per ragioni politiche, ideologiche o culturali, le forze dell’ordine vengano guardate spesso con diffidenza, quasi che essere nemico del cittadino non sia il delinquente ma il Carabiniere o il Poliziotto.

In un episodio della sesta stagione di NCIS, l’agente Speciale Anthony Dinozzo si getta in acqua per salvare il proprio capo, Gibbs, rimasto intrappolato in un automobile. Scena emozionante ed eroica.

Ora immaginate più o meno la stessa situazione solo che invece di essere a Washington e in una fiction, siamo a Cantiano, nelle Marche e che i rappresentanti delle forze dell’ordine, coinvolti in un salvataggio eroico, siano due nostri Carabinieri: il Maresciallo dell’Arma Fabio Ventanni, Comandante della stazione dei Carabinieri di Cantiano appunto, e il Carabiniere Michele Farneti.

La notte dell’alluvione

Nella notte della drammatica alluvione del 15 settembre scorso, erano stati chiamati a soccorrere un cittadino bloccato in un automobile nel mezzo di uno spaventoso torrente che stava per trascinarlo via. E’ stato un attimo, si sono guardati e in dialetto umbro si sono detti:

Michè, che famo?” “E Fa che famo…gimo. Rompemo sto vetro!

E così, senza esitare, rischiando le propria vite, hanno infranto il parabrezza dell’auto e tratto in salvo Luca Buraglia dalla furia delle acque.

Ma le cronache televisive preferiscono dare risalto al poliziotto americano che spara al criminale di colore (che poi si scoprirà essere armato e pregiudicato), oppure alle nostre forze dell’ordine che sgombrano (per altro in un clima pacifico) un rave party abusivo, gettando così su chi è lì per “servire e proteggere” il cittadino, un’ombra di negatività.

Salvo D’Acquisto
Vicebrigadiere dei Carabinieri
dando esempio di estremo altruismo,
non esitava nei tristi tempi
della seconda guerra mondiale
a donare la sua giovane vita
per salvare quella di 22 ostaggi
dalle spietate orde naziste.

(Loreto, Lapide in piazza Giuseppe Garibaldi)