Sigfrido Ranucci racconta la sua Rai: tra libertà, pressioni e il futuro di Report
L’intervista di Ranucci a Il Foglio riaccende il dibattito sul ruolo di Report, sulla Rai e sull’attentato che lo ha colpito. Ecco cosa ha detto davvero
L’intervista concessa da Sigfrido Ranucci a Il Foglio arriva in un momento delicato per la tv pubblica e rilancia interrogativi che riguardano anche Roma, città dove il conduttore è cresciuto e dove affondano parte delle sue radici professionali. Le sue parole toccano temi sensibili: la libertà nel lavoro giornalistico, i rapporti con la politica, il clima dentro Viale Mazzini e il peso dell’attentato avvenuto a ottobre. Dichiarazioni che fanno discutere e che illuminano meccanismi spesso poco visibili al grande pubblico.
Libertà editoriale e funzionamento della Rai secondo Ranucci
Uno dei passaggi più citati riguarda la libertà che Ranucci rivendica per la sua squadra. Il conduttore di Report spiega che ogni puntata viene visionata in anticipo dal direttore dell’Approfondimento, Paolo Corsini, con cui mantiene un dialogo costante. Corsini segue i lavori, invia osservazioni e valuta insieme a lui eventuali punti critici. Ranucci precisa che non percepisce imposizioni esplicite, ma ricorda che l’indipendenza è un valore irrinunciabile. Tanto che, a suo dire, un’eventuale uscita da Rai significherebbe averla perduta. Sul rapporto con l’amministratore delegato Giampaolo Rossi afferma di non averci mai parlato, se non durante un incontro avvenuto solo di recente, dettaglio che a molti addetti ai lavori è sembrato sorprendente.
La politica vista da chi fa inchieste
Quando nel colloquio si passa alla politica, Ranucci chiarisce di aver avuto in gioventù una sola tessera, quella della corrente sbardelliana della Democrazia cristiana, ricevuta quasi senza rendersene conto. Oggi si descrive come «cattocomunista» con un’impronta legalitaria derivata dal padre, brigadiere della Guardia di Finanza. Negli anni ha ricevuto numerose proposte per una candidatura, ma le ha sempre respinte. Non si riconosce in nessun partito, compresi quelli che spesso esprimono sostegno verso Report. Sottolinea che questo appoggio, specie da Pd e Movimento 5 Stelle, è spesso interessato e non privo di ambiguità. Ricorda che la sua redazione ha pubblicato la vicenda del presunto piano pandemico attribuito al governo Conte, proprio per ribadire l’autonomia del programma.
L’attentato di ottobre e i passaggi rimasti nell’ombra
L’episodio più grave evocato nell’intervista riguarda l’esplosivo collocato sotto la sua abitazione alcuni mesi fa. Ranucci racconta che prima di quella notte c’erano stati undici episodi mai divulgati: proiettili lasciati davanti casa, pedinamenti, persone che lo filmavano mentre incontrava fonti sensibili. Le indagini in corso, riferisce, si stanno concentrando su figure legate a un’inchiesta recente sul traffico di armi e sulla rotta che condu- ce verso la Libia. Non sa ancora se chi ha agito volesse riferirsi a un lavoro già mandato in onda o a qualcosa che deve essere trasmesso. Esclude invece un collegamento con l’area politica, pur citando un certo nervosismo osservato in alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, molto attivi nel chiedere una rapida chiusura del caso come fatto di criminalità minore.
Il caso Sangiuliano e l’audio sparito da Raiplay
Un altro tema caldo è la telefonata dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano con la moglie Federica Corsini, episodio finito sotto l’attenzione del Garante della Privacy. Ranucci afferma di non sapere delle condizioni di salute della donna e sostiene che la scelta di trasmettere il frammento fosse giustificata da un interesse pubblico: la moglie di un ministro che dà indicazioni su un contratto riguardante un’altra persona. Svela inoltre che l’audio non compare più su Raiplay per una decisione superiore, senza precisare da quale livello sia arrivata.
Dalla Garbatella al primo incarico in Rai
Il racconto assume toni più personali quando Ranucci ricorda la sua infanzia nella Garbatella, quartiere popolare romano che ha segnato la sua formazione. Rievoca perfino un equivoco legato al soprannome Lello, che condivideva con un noto spacciatore della zona, provocando diffidenze ingiustificate a scuola. Lo stesso candore lo usa nel descrivere il suo ingresso in Rai nel 1989: non esita ad ammettere che avvenne grazie alla raccomandazione della segretaria di un dirigente, conosciuta mentre le impartiva lezioni di tennis pagate in nero. Prima di approdare in tv insegnava italiano e storia a Ostia, e il debutto fu come assistente ai programmi di Domenica sul tre.
Rapporti con altre emittenti e un possibile “New Report”
Nella parte finale dell’intervista il giornalista affronta il capitolo del suo futuro. Conferma un lungo incontro con l’editore Urbano Cairo, inizialmente nato per discutere un libro. La conversazione si è poi ampliata includendo riflessioni sulla televisione. Ranucci non nasconde che un eventuale passaggio a La7 sia plausibile, pur chiarendo che il marchio Report appartiene alla Rai e non potrebbe seguirlo. Un programma nuovo, però, sì. E assicura che, se dovesse lasciare, l’intera squadra lo seguirebbe. Una frase sintetizza bene il senso del suo ragionamento: se cambia casa, nessuno resta indietro.
L’effetto delle sue parole in un momento delicato per Viale Mazzini
L’intervista mette in luce un professionista che difende il suo metodo e la sua autonomia, mentre il servizio pubblico attraversa una fase sensibile anche sul piano politico. Le sue dichiarazioni offrono uno sguardo interno su dinamiche che raramente emergono e riaccendono il dibattito sul ruolo dell’inchiesta televisiva in Italia. Per Ranucci, rimanere in Rai resta la scelta più naturale, a patto di potersi muovere con la stessa libertà che ha caratterizzato il percorso di Report.
