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Scuola, si guarda al 2023: sui banchi dai 3 ai 18 anni. E lotta alla dispersione

Dall’ampliamento dell’obbligo di frequenza alla gratuità dei libri di testo e altro ancora. Un piano ambizioso ma necessario

Per ora sono solo delle anticipazioni. Che però sembrano andare nella direzione giusta: un’istruzione pubblica che sia potenziata e che riesca a raggiungere davvero i suoi fini istituzionali. Formare degli studenti che non solo portino a compimento il loro percorso nelle aule, conseguendo il diploma o addirittura la laurea, ma che acquisiscano delle competenze effettive.

Laddove, attenzione, la prima e fondamentale competenza è l’attitudine a non smettere mai di imparare.

La partita (o meglio: il rapporto) con lo studio smette di essere una fase giovanile che si esaurisce con il conseguimento del famoso, o famigerato, “pezzo di carta” e si estende all’intera esistenza. Per motivi che certo sono innanzitutto economici, ma che allo stesso tempo dovrebbero inglobare molte altre aree di apprendimento. Di attenzione. Di sviluppo intellettivo. Di crescita interiore.

La pietra angolare, nel piano su cui il governo sta iniziando a riflettere, è l’estensione della frequenza obbligatoria. Attualmente si va dai sei ai sedici anni. L’obiettivo è di portarla dai tre ai diciotto. In pratica, anticiparne l’inizio alle scuole materne e farlo proseguire fino al completamento delle superiori.

Il grande rischio, alle solite, è che le buone intenzioni rimangano sulla carta. Ma nell’intento di evitarlo si parla già di una serie di interventi paralleli, tra cui ne vanno sottolineati almeno due: da un lato, la gratuità dei libri di testo; dall’altro, una lotta più accurata ed efficace alla dispersione scolastica. Le cui cifre sono ancora troppo alte, come confermato dal MIUR nel suo ultimo report, pubblicato nel luglio scorso.

La neoministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, si dice «molto soddisfatta». E aggiunge: «Ci sono dei punti programmatici che vanno valorizzati immediatamente: il tema degli insegnanti di sostegno perché gli studenti disabili hanno priorità assoluta, hanno diritto a insegnanti specializzati e assunti, la valorizzazione degli istituti tecnici e professionali che non sono scuole di serie B. Poi la programmazione, parola spesso sconosciuta. C’è un clima sereno a costruttivo».

Poi, figurarsi, non manca il risvolto propagandistico, per non dire auto celebrativo: «Tanta parte della Buona Scuola è già stata riformata… Si aprirà una ulteriore riflessione ma siamo assolutamente sereni. La maggioranza vola alto sui temi della scuola».

Lo stesso vizietto, pressoché onnipresente tra i politici-imbonitori, in cui incappa via Twitter pure la vice ministra Anna Ascani, del PD: «Al tavolo su agenda governo 2020/2023 abbiamo portato le priorità del pdnetwork sulla scuola. Investiamo sui talenti di ognuno, sul diritto allo studio universale per far crescere il Paese».

Proprio come a scuola: a inizio anno, o triennio, il quaderno è immacolato. Ma solo perché i compiti sono ancora tutti da fare.

Verrà l’Intelligenza Artificiale…

Era vero anche in passato. Lo è ancora di più in prospettiva futura: l’ignoranza e la pigrizia dei singoli non sono solo dei (gravi) difetti individuali, ma si risolvono in una debolezza collettiva. Una debolezza innanzitutto economica. E che però, a seguire, diventa anche politica.

Uno scenario su cui è legittimo, o persino doveroso, mantenere uno sguardo assai critico, ma con il quale siamo comunque chiamati/costretti a fare i conti. Nel mondo della competizione globale una nazione che voglia essere forte ha assoluto bisogno di una popolazione all’altezza delle sfide che ci vengono imposte dai modelli imperanti. Le sfide già in atto e quelle, ancora più impegnative, che si prospettano. A causa della crescita, vertiginosa, delle tecnologie. A causa dell’incombere della IA, l’intelligenza artificiale che estenderà l’automazione a una miriade di ambiti, non soltanto nella produzione di beni ma anche nell’erogazione di servizi.

Un ampliamento di cui non si parla ancora a sufficienza e che nel volgere di pochi anni cancellerà moltissimi posti di lavoro, resi superflui dalla loro natura fondamentalmente ripetitiva e passiva. Che rende gli esseri umani sostituibili dai macchinari controllati dai computer.

Di fronte a queste trasformazioni, davvero epocali, l’unica possibilità di sopravvivenza è che le nuove generazioni non solo conseguano una robusta istruzione scolastica, ma che ne escano avendo acquisito una mentalità dinamica e aperta a ulteriori aggiornamenti. Ad aggiornamenti continui. Alla cosiddetta “formazione permanente”.

Il cambiamento di approccio è decisivo. E bisognerebbe viverlo non già come l’ennesimo e fastidioso onere al quale si viene obbligati dai tempi attuali, bensì come una potente affermazione di sé. A patto, però, che le contropartite siano a loro volta più consistenti. E più eque. Sia in termini di stabilità e retribuzione, sia per quanto riguarda i servizi sociali, a partire da quelli per le famiglie con dei figli da crescere.

In una società armoniosa il pubblico e il privato si intrecciano strettamente. Ma non può essere solo l’economia a tirare i fili, serrando i nodi che le fanno comodo sino a farne dei cappi.

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