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Sanremo: Rula o non Rula? Il cast diventa un caso. Pseudo politico

Grandi discussioni intorno alla presenza o meno della Jebreal. Una diatriba ridicola che però ha delle implicazioni su cui riflettere

A prima vista, sembra incredibile. Sono giorni e giorni che si discute, o ci si accapiglia, sulla partecipazione di Rula Jebreal al festival di Sanremo. Come se lei fosse un esponente politico di grande rilievo che viene lasciato fuori, senza motivo, da un dibattito televisivo al quale avrebbe il diritto di partecipare.

Come se un suo intervento, dal palco dell’Ariston, potesse cambiare qualcosa di sostanziale nella vita collettiva del nostro Paese.

La prima tentazione, ovviamente, è di riderci su. Di sogghignare sulla risibile sproporzione tra l’oggetto del contendere e la sua effettiva portata. Ma ciò su cui bisogna concentrarsi, in effetti, è proprio questa sproporzione. A partire da una domanda: è solo per uno sciocco puntiglio, che gli uni si ripromettevano di escluderla e che gli altri ne hanno rivendicato a gran voce la presenza?

Se la risposta fosse no, allora si aprono degli spazi interessanti. Nei quali vale la pena, eccome, di addentrarsi.

Il punto chiave, infatti, è capire quale sia il pensiero sottinteso. Soprattutto per quanto riguarda i professionisti, sia della politica sia dei media.

Che opinione hanno, costoro, rispetto alla capacità della maggior parte degli spettatori di non lasciarsi condizionare dai messaggi della tivù? Li ritengono in grado di filtrare in modo consapevole ciò che viene detto e mostrato, oppure li considerano una massa di creduloni pronti a lasciarsi influenzare a ogni occasione?

Adulti per le urne, ma non per i media

Il chiarimento, come è ovvio, non si esaurisce nella diatriba di giornata ma ha carattere generale.

Se la grande maggioranza avesse una coscienza critica appena decente, la questione non si porrebbe. Ospite più, ospite meno, ciascuno si allontanerebbe dal teleschermo con le stesse idee, e le stesse convinzioni, che nutriva quando ci si è messo davanti. A maggior ragione, poi, visto che il clima sanremese è quello del semplice intrattenimento: un po’ di questo e un po’ di quello, tanto per far passare l’ennesima serata in cui non si ha di meglio da fare.

Ma è l’ipotesi opposta, a trasparire dalle polemiche di questi giorni. È l’idea che quella saldezza non ci sia. E allora diventa doveroso trarne le dovute conclusioni. Estendendole ben al di là del caso specifico.

Se una Rula Jebreal è in grado di orientare un numero non trascurabile di persone attraverso un singolo intervento, sia pure in un contesto particolarmente suggestivo come Sanremo, va da sé che non si tratta di una sua dote esclusiva. Non è lei a possedere un carisma straordinario, ma è il contesto ad amplificarne oltremodo l’ascendente. E la medesima dinamica, quindi, si può dispiegare anche per altri personaggi, in altri programmi.

O addirittura per la televisione nel suo insieme. Per il sistema mediatico, nel suo insieme.

Siamo al cuore della contraddizione: in linea di principio i cittadini sono accreditati di una facoltà di giudizio adulta, che si esprime nel diritto di voto, ma in pratica c’è il timore, o la consapevolezza, che molti di loro siano degli eterni immaturi. Tutt’altro che impermeabili a delle sollecitazioni ben congegnate.

Se così non fosse, un baraccone come il festival di Sanremo dovrebbe restare completamente al di fuori di qualsiasi diatriba di natura politica. Finendo semmai nel mirino per i suoi limiti intrinseci, e insormontabili, di spettacolo tv gonfiato a dismisura. E per il quale la dicitura stessa di “direttore artistico” suona grottesca.

Che lo si guardi, passi. Ma prenderlo sul serio proprio no.

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