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Roma. Contro la pirateria: al Maxxi l’atto finale di “Peers say no”

Il vessillo è quello della difesa della proprietà intellettuale, sorvolando però sul ruolo di chi ci specula sopra

Condivisibile per un verso. Discutibile per l’altro. Come accade sempre, o quasi, quando si parla di pirateria online solo per liquidarla come una condotta illegale.

L’iniziativa, in questo caso, si rivolge prevalentemente ai più giovani e si chiama “Peers say no”. Un progetto che è cofinanziato dalla UE, attraverso l’ufficio per la proprietà intellettuale, e che avrà il suo atto finale venerdì prossimo, con appuntamento alle 11 presso il Maxxi. I promotori italiani sono invece Adiconsum, l’associazione nazionale di consumatori che fu avviata dalla Cisl nel 1987, Consumedia, Skuola.Net e l’istituto comprensivo Via Micheli di Roma che riunisce cinque plessi suddivisi tra Elementari e Medie inferiori.

L’obiettivo dell’iniziativa, come riportato sul sito della stessa Adiconsum, è “informare e rendere consapevoli i ragazzi sull’importanza della proprietà intellettuale anzitutto per la sicurezza e la qualità della vita quotidiana, ma anche per la ricerca scientifica e medica, per il progresso tecnologico, per la produzione culturale, la moda, il design, l’intrattenimento.

Senza questa tutela, si corrono pericoli, si perdono posti di lavoro, chiudono le aziende. Ma c’è in gioco un valore ancora più importante: l’educazione alla legalità, che è una parte fondamentale della formazione dei ragazzi. Conoscere e rispettare le leggi, i doveri ed i diritti di ciascuno così come difendersi dagli abusi, sono competenze di importanza strategica per la vita personale e professionale. Le scelte di consumo hanno un risvolto etico e un impatto individuale e sociale che è fondamentale far comprendere”.

Contro la pirateria: uno schema da rivedere

Messa così, c’è ben poco da eccepire. Quello che va aggiunto, tuttavia, è che dietro il vessillo (sacrosanto) della proprietà intellettuale si muove anche molto altro. E non sempre con ragioni adamantine e degne, per chi allarghi lo sguardo al di là delle odierne prescrizioni di legge, della massima tutela.

La contrapposizione secca tra proprietari-buoni e pirati-cattivi è troppo schematica, e ignora del tutto che non di rado l’utilizzo della creatività si è trasformato in mercificazione spinta e votata al massimo profitto: fino a rendere la “pirateria” una soluzione semi obbligata per chi era interessato a una certa opera, a cominciare da quelle musicali, ma non disponeva del denaro necessario ad acquistarla legalmente.

Parlando di “proprietà intellettuale”, inoltre, si tende a dare l’idea che si stiano difendendo sempre e comunque gli interessi degli artisti o degli inventori di turno. Mentre spesso, invece, si stanno proteggendo le grandi imprese che hanno acquisito i diritti di sfruttamento: cosa che giuridicamente non è certo vietata, allo stato attuale delle normative, ma che pone la questione in una luce alquanto diversa. Anche perché sarebbe interessante verificare, caso per caso, se la stessa sensibilità che si reclama da parte del pubblico sia stata dispiegata, in precedenza, nei confronti dei musicisti etc. che hanno ceduto quei diritti all’industria, o alla multinazionale, di turno.

Insomma: etica e legalità non sono sinonimi. E tacciare di pirateria tutti quelli che “rubacchiano” online a mero uso personale, e quindi senza alcuno scopo di lucro, è sostanzialmente un’iperbole.

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