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Renzi contro Salvini: la guerra dei due Matteo

Renzi e Salvini sono i dominatori della politica italiana: e, in una società dell’immagine, non possono che cercare di togliersi luce a vicenda

C’è qualcosa di ancestralmente affascinante in uno scontro anche “solo” dialettico tra due leader: è un po’ la sublimazione di quegli istinti primordiali da maschio alfa insiti nella natura animale (non solo umana) fin dalla notte dei tempi.

Potrebbe perciò esserci una sorta di perversa ironia nell’omonimia tra due ras in un’epoca dell’immagine come l’attuale: in cui si esiste solo se si appare, al punto che ciascuno cerca, quasi per istinto di sopravvivenza, di relegare l’altro nell’ombra, in una corsa al riflettore senza esclusione di colpi.

«Così ha tolto l’uno a l’altro Guido/la gloria de la lingua» cantava il Sommo Poeta. In modo simile, oggi è la guerra dei due Matteo a infiammare l’opinione pubblica, come sistematicamente avvenuto negli ultimi mesi, nelle ultime settimane, negli ultimi giorni.

In principio fu Renzi, segretario del Pd e poi Primo Ministro. E la sua figura era così centrale che il leader della Lega Salvini, che aveva appena avviato il rinnovamento in via Bellerio, veniva etichettato come l’altro Matteo – quasi che potesse solo brillare della luce riflessa del Rottamatore.

Quando però transivit gloria mundi, venne il momento del Capitano: è storia più recente la lunga cavalcata che lo ha portato a ribaltare gli equilibri nel centro-destra, poi a far nascere il Governo giallo-verde in cui era vicepremier e Ministro dell’Interno, infine, dopo il trionfo alle Europee, a staccare la spina al Conte-semel puntando su un rapido ritorno alle urne.

In questo contesto è però tornata a brillare, dopo un lungo periodo di appannamento, la stella del neo-leader di Italia Viva: che, approfittando al meglio della pochezza strategica del nemico-amico Nicola Zingaretti, si è ripreso la scena tessendo sottilmente la trama del BisConte e poi, con il coup de théâtre della scissione dal Partito Democratico, certificando il suo potere assoluto di vita e di morte sul neonato esecutivo rosso-giallo.

S’illuderebbe però chi pensasse che il segretario del Carroccio sia stato estromesso da tutti i giochi – prova ne è la risonanza che continuano ad avere le sue parole: come la folgorante risposta a Lapo Elkann che, nel più puro stile radical chic, lo aveva criticato per le politiche anti-Ong. «Dichiarazioni stupefacenti» lo ha liquidato il senatore leghista, con un’allusione neanche tanto velata ai vecchi problemi di droga del rampollo di casa Agnelli.

Per non parlare delle frecciate al sindaco di Roma Virginia Raggi, nel mirino per l’atavica questione dei rifiuti in cui soffoca la Capitale – oltretutto aggravata dall’ormai celeberrimo servizio delle Iene sui furbetti della raccolta. Il primo cittadino ha risposto da par suo, cioè scordandosi per l’ennesima volta che la parola è d’argento ma il silenzio è d’oro.

«Con noi aumentate multe a chi su bus e metro Atac senza biglietto» ha infatti twittato piccata. «Quando governavate voi a Roma c’era l’anarchia, Mafia Capitale e si facevano solo debiti».

Fa davvero specie la faccia tosta con cui l’esponente M5S si è vantata della gestione del trasporto pubblico della Città Eterna: che è notoriamente uno dei peggiori d’Italia, con le metro che funzionano a singhiozzo, le stazioni che riaprono dopo mesi (se riaprono) e gli autobus che continuano a incendiarsi.

Evitiamo invece di sparare sulla Croce Rossa commentando il riferimento a una vicenda che non tocca minimamente Salvini: il quale infatti ha facilmente marcato la distanza consigliando alla Raggi di rivolgersi «ai suoi nuovi alleati del Pd».

Il dato di fondo, comunque, è che i due Matteo sono, attualmente, gli unici e autentici dominatori del palcoscenico pubblico. Con stili e tempi diversi, forse, ma resta il fatto che, anche quando sono in difficoltà, entrambi ricordano molto dei vulcani quiescenti che sono sempre pronti a eruttare di nuovo, alla prima occasione utile.

Forse, come degli highlander, alla fine ne resterà soltanto uno – nel qual caso «ai posteri l’ardua sentenza». Per quanto ci riguarda, che vinca il migliore. Anche se qualcuno – magari qualche burlone – potrebbe replicare: speriamo di no.

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