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Renzi bacchetta, Salvini galoppa. E voi come siete? Maestrini o trascinatori?

Il duello “Matteo vs Matteo” è andato in onda ieri sera, manco a dirlo da Bruno Vespa. Uno scontro che è innanzitutto tra due tipi umani praticamente opposti

Visti? Visti.

Aggiunto o tolto qualcosa a ciò che già si sapeva, sul loro conto? Assolutamente no. Per chi la politica italiana la segua con almeno un po’ di assiduità e di consapevolezza, non c’è stata le benché minima sorpresa. E in effetti non poteva che andare così: ciascuno a suo modo sono dei professionisti navigati che sanno quali carte hanno in mano e giocano con quelle.

L’unica incognita è che l’ego di entrambi è strabordante e può tracimare all’improvviso. Ma questo vale soprattutto per Renzi, anche se dopo la batosta del Referendum 2016 ha imparato, o imparicchiato, a mostrarsi meno tracotante. E comunque, dopo anni e anni che Crozza ne fa la parodia “più vera del vero”, non può più esserci nulla di rivelatore. La boria gli zampilla suo malgrado da ogni poro: e non c’è nulla da fare.

Ma Salvini, si dirà, è incappato nella Somma Arroganza di aprire la crisi di governo che lo ha estromesso da Palazzo Chigi e rispedito all’opposizione. La vulgata è questa, ma quantomeno il dubbio rimane in piedi: è stata davvero una mossa così suicida? Non è detto. Se si fosse davvero convinto che i Cinquestelle non erano affidabili, sganciarsi da loro diventava una soluzione pressoché obbligata. Con Grillo “I’m the Chaos” non si può mai essere sicuri di nulla.

E allora, Santodio! (copyright by Bruno Vespa…), perché guardare il duello tv di ieri sera?

Prima della politica…

La risposta è netta: perché nel confronto ravvicinato tra Salvini e Renzi emerge in maniera smaccata la natura della contrapposizione tra i rispettivi seguaci. E più in generale tra i sostenitori del centrodestra a trazione leghista e il centrosinistra a tentennamenti PD.

La linea di confine è innanzitutto psicologica. O antropologica. il centrodestra ha un incedere perentorio, che quando va male degenera nel grossolano; il centrosinistra ha un approccio obliquo, che dà sempre l’impressione di un retropensiero. Il centrodestra grida “Io voglio”: ma per lo più raccoglie molto meno di ciò che reclama. Il centrosinistra dice, o bofonchia, “Noi vorremmo”: ma di regola impone quasi tutto, non foss’altro perché sta attentissimo a non entrare in urto con i poteri sovrannazionali che tirano i fili del modello dominante, a cominciare dalla Commissione Europea e dalla BCE.

A proposito di questa diversità, gran parte dei commentatori mainstream utilizza il (rozzo) paragone tra voto di pancia e voto di testa. A destra dominerebbero le pulsioni emotive. A sinistra prevarrebbero le motivazioni razionali. La pancia è volgare. Il cervello è raffinato.

La contrapposizione pretende di essere acuta e conclusiva, ma è solo mistificatoria.

Basta sostituire il più nobile “di cuore” al dozzinale “di pancia” e il quadro cambia completamente. Basta approfondire un po’ l’espressione “di testa” e di colpo la retorica a senso unico si accartoccia: il succitato cervello non è “raffinato”. È addomesticato. È addestrato ad allinearsi ai dogmi dell’Occidente liberista e pseudo democratico: i mercati hanno sempre ragione e bisogna lasciarli fare, con tutto il loro cinismo e i loro abusi; ma poi, siccome siamo di animo buono e compassionevole, faremo qualcosa per chi è stato abusato. Qualcosa: non moltissimo. Qualcosa: tranne che ridiscutere le regole del gioco ed eliminare le vere cause delle (dilaganti) ingiustizie sociali.  

Beninteso: non è che nel centrodestra odierno ci sia un rifiuto netto e definitivo dello strapotere dell’economia imperniata sul massimo profitto, sulla speculazione finanziaria e sul consumismo sfrenato, ma sopravvive un pizzico di resistenza alla dissoluzione delle identità nazionali. Che rimangono collettive, se non proprio comunitarie. Che sono ciò che resta – il poco che resta – dopo decenni e decenni di erosione cosmopolita e globalista.

Lo stesso Salvini ha dichiarato, in un’intervista uscita giusto ieri su Libero, che «tra Mosca e Washington scelgo la seconda» e che «l’euro è irreversibile». Ma da parte sua, se non altro, c’è qualche sussulto di autonomia. Qualche ambizione di ritrovata sovranità.

Nei maestrini alla Renzi c’è solo la consueta pretesa di zittire la classe. A meno che non si tratti di alzarsi tutti in piedi e di acclamare il preside di turno (Mattarella? Macron? Draghi?) che è venuto a fare una visitina. O un’ispezione.  

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