Prima pagina » Opinioni » Post Covid: disinfetteremo le mani con 150 milioni di litri di vino italiano

Post Covid: disinfetteremo le mani con 150 milioni di litri di vino italiano

Se noi sacrifichiamo solo i vini comuni, la Francia, prima a partire, ha incluso nella riconversione post Covid anche lo champagne

Post Covid, vino

Grappoli di uva nera


Post Covid al vino. A volte la reale portata di un evento drammatico, in questo caso la piaga del Covid-19, è data da particolari a cui un non addetto potrebbe non far caso. 150 milioni di litri di vino italiano saranno tramutati in gel disinfettante o bioetanolo. Possibile? Ci viene da dire. Non c’è modo di recuperare tanto ben di Dio, già imbottigliato e pronto? La risposta, incredibilmente, è: no.

Vino post Covid e vendemmia 2020

La vendemmia 2020 è ormai prossima e le uve raccolte vanno trasformate in vino e immagazzinate. E’ qui il nodo: dove?
Le vendite di quest’anno sono crollate almeno del 50%, le cantine delle aziende sono ancora piene del vino del 2019: se è vero che nei mesi della chiusura nelle case si è bevuto di più, è altrettanto vero che in tutto il mondo il grosso dei consumi avviene nei ristoranti, negli alberghi e nei locali pubblici in generale. Dove si consumano prevalentemente vini di qualità, le principali vittime.

Dunque non c’è posto per il nuovo vino. Chi è nel commercio sa che, in qualunque settore, lo stoccaggio è uno degli elementi più critici e costosi. Più a lungo giace la merce, più sale il costo. D’altro canto, la permanenza dell’uva sulla pianta non può essere prorogata, va staccata in ogni caso prima che i grappoli marciscano. Per giunta, quest’anno, come si sa, la manodopera scarseggia e le norme di sicurezza potrebbero ridurla ulteriormente.

Conclusione: il Ministero delle Politiche Agricole, con la benedizione della Conferenza Stato-Regioni, vara il “piano salva vigneti” in due mosse: autorizza la cosiddetta vendemmia verde; e, fatalmente, la distillazione di crisi.

La vendemmia verde – da limitare ovviamente a un numero indispensabile di piante, ma comunque pari alla superficie di una media Regione italiana – consiste nella potatura dei rami prima che i grappoli siano giunti a maturazione. Praticamente resa zero %.

Questo ha i seguenti risultati:

a) Preserva la salute della pianta evitando che i grappoli vi marciscano sopra;

b) Riduce la quantità di vino prodotto fino ad adeguarla alla disponibilità di spazio residuo nelle cantine.

La distillazione di crisi è la distillazione (volontaria) di vini generici, di minor qualità, per farne bioetanolo, ovvero gel igienizzante.

Apparentemente un cambio assurdo, improponibile. Mica tanto: se è vero, infatti, che un litro di alcool così prodotto verrebbe a costare 3 euro contro gli 0,50 circa di estrazione dai cereali, considerate però che qui da noi un litro di gel igienizzante costa non meno di 12 euro, quanto un vino di tutto rispetto! Quindi, alla fin fine. L’ultimo comunicato parla di riconversione di 3 milioni di ettolitri di vino, finanziati con 50 milioni di euro.

Post Covid, il vino e lo sguardo al prossimo anno

A chi produce è anche richiesta la riduzione volontaria della produzione relativa ai vini di qualità. A loro conforto, si sa che la riduzione di resa per ettaro migliora la qualità del prodotto finale. C’è quindi da aspettarsi, per l’annata successiva, vini ancora migliori, con benefiche ricadute economiche e di immagine.

Misure comunque difficili da digerire per i produttori. A cui va la parziale compensazione di un indennizzo economico, dei governi italiano ed europeo. Un compenso proporzionale alla quantità perduta e di un mantenimento del prezzo del prodotto, che diversamente crollerebbe nel caso il mercato fosse invaso da una sovrabbondanza di offerta difficilmente smaltibile.

Per guardare, è il caso di dirlo, il bicchiere mezzo pieno, va detto che questo intervento, operando solo su vini di qualità inferiore, avrà l’effetto di elevare la qualità media del prodotto italiano. E da questa la sua immagine.
Frattanto, Coldiretti lancia la campagna #iobevoitaliano, analoga a quelle di altre associazioni di categoria non solo enoalimentari, chiamando tutti i consumatori a sostegno di una produzione locale che, non dimentichiamolo, è nella maggior parte dei casi di eccellenza.

Come si comportano gli altri, la Francia

Se noi sacrifichiamo solo i vini comuni, la Francia, prima a partire, ha incluso nella riconversione anche i vini a denominazione d’origine. Non ci si potrà disinfettare le mani con il cognac, ma con lo champagne sì. I più decadenti potranno farlo coi gel delle riconvertite fabbriche dei profumi Givenchy e Christian Dior. In Svezia si disinfetteranno anche con l’Absolut Vodka, in Scozia feticisticamente coi derivati della birra di culto BrewDog.

La posta in gioco per noi

L’Italia è oggi il primo produttore mondiale di vino; il 70% della sua produzione è vino di qualità, per la maggior parte DOC e DOCG. Più di un milione di persone impiegate dalla coltivazione al consumo al dettaglio. Bisogna muoversi con saggezza.

Filippo Roma, l’intervista: dai furbetti del cartellino alle discariche abusive

L’enologo Luca Pollini: il vino maremmano specialità sostenibile unica al mondo

Lascia un commento