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Più manutenzione, meno grandi opere: ecco cosa serve a Roma

L’agenzia DIRE ha intervistato Marco Vivio del consiglio direttivo dell’Istituto nazionale di architettura del Lazio

Più manutenzione, meno grandi opere. E revisione di tutto il sistema degli affidamenti e delle gare. Tra cantieri ancora incompiuti e i recenti casi di corruzione, gli architetti romani dicono la loro sui nodi che la Capitale deve sciogliere – a breve, medio e lungo termine – per poter assicurare una ripresa economica, ma non solo. L'agenzia DIRE ha intervistato Marco Vivio del consiglio direttivo dell'Istituto nazionale di architettura del Lazio, all'indomani di un incontro sul tema ‘L’economia di Roma: opere pubbliche’.

Quali sono le azioni immediate che gli architetti romani chiedono all''amministrazione capitolina?
“Bisogna evitare di concentrare gli investimenti su una o due grandi cose, in certi casi anche di dubbia utilità. Roma ha bisogno di manutenzione, di cose più ordinarie e diffuse: parliamo delle scuole che cascano a pezzi, delle strade che vanno sistemate e, in certi casi, di dissesto idrogeologico”.

Può fare alcuni esempi di grandi opere che andrebbero evitate?
“Fermo restando che il cantiere non deve rimanere a metà, un’opera che risulta inutile ed è stata uno spreco di risorse enorme è la Nuvola di Fuksas, perché un centro convegni all’Eur oltre quello che già c’è non serve, e nello stesso tempo ha drenato risorse perché è stata impostata male fin dall’inizio. Un altro spreco di risorse sono le opere di Calatrava che sono rimaste incompiute e inutilizzate. Ma sarebbe un errore anche la Roma-Latina. I lavori sono necessari, ma come manutenzione, come miglioramento e adeguamento di quella esistente, la Pontina, che è anche pericolosa. Bisogna lavorare sulla Pontina aggiungendo una terza corsia da realizzare, però, rimettendo in piedi un sistema decente di gestione degli affidamenti anche alle piccole e medie imprese, in modo da ridare benessere anche al territorio”.

Veniamo al sistema degli affidamenti e delle gare. Cosa non funziona?
“Abbiamo fatto autocritica in questo senso: l'università che non prepara bene gli architetti. Il cardine della serietò di un appalto pubblico, il progetto esecutivo cantierabile che molti architetti non sanno più fare. Questa è la verità. Bisogna ricominciare a formare tecnici preparati. Ma ci vorranno vent'anni. Naturalmente, questo vuol dire che è necessario mettere mano anche alla competenza dei funzionari pubblici. Naturalmente, gli architetti hanno una richiesta da fare: il progetto devono farlo gli architetti. Non le imprese, perché una della distorsioni del sistema degli appalti è che spesso il progetto viene richiesto all’impresa e crea un conflitto di interessi. Normalmente il progetto deve farlo la pubblica amministrazione, possibilmente in proprio: non si capisce perché un architetto del Comune non debba saper fare un progetto”.

Per quanto riguarda gli appalti?
“Bisogna rimettere in fila tutto il sistema. Tornare all’antico: il progetto va messo in gara, che deve essere economica, e se ci sono offerte fuori mercato vanno analizzate ed escluse. Questa è la procedura corretta. Ma non solo, perché dopo ci deve essere un vincitore che deve realizzare l’opera. Una volta i tecnici delle imprese prendevano visione del progetto, che era già cantierabile, e facevano un’offerta economica prendendo un impegno preciso. E i veri imprenditori realizzavano l’opera. Bisogna ritornare a questo”.

E l’eccesso di ribasso?
“Ci sono due modi per evitarlo: il primo è analizzare i ribassi anomali con una commissione, seria e non corrotta, con la possibilità che possano essere esclusi. Il secondo modo è che l’imprenditore deve essere certo che l’amministrazione lo costringe a eseguire il lavoro. Gli imprenditori che fanno offerte fuori mercato pensano di rientrarci dopo con le famose perizie di variante. Ma se il sistema dei controlli funziona e l’imprenditore sa che se fa un’offerta fuori mercato la deve realizzare e ci rimette i soldi, alla fine il calmiere funziona. E questa è una cosa che vogliono anche gli imprenditori seri, perché non vogliono che il mercato sia drogato”.

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