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Perché Alemanno ha perso?

La risposta non è complessa, ma semplice: perché una generazione ha esaurito il suo ciclo

Perché Alemanno ha perso? La risposta non è complessa, ma semplice: perché una generazione ha esaurito il suo ciclo. E mi riferisco a quella generazione che ha animato la stagione brillante e creativa del Fronte della gioventù negli anni Ottanta. Sono diventati poi colonnelli, ministri, sottosegretari, hanno avuto la loro occasione e l’hanno sprecata.

Alemanno era il più carismatico, Augello il più intelligente, Rampelli il più “futurista”. Di questi tre solo il terzo ha ancora chance ed anche qui il perché è presto detto: innanzitutto si è distaccato dall’abbraccio soffocante con il Cavaliere e poi il suo gruppo ha dato l’impressione di un ricambio con l’ascesa di Giorgia Meloni (in gran parte dovuta anche a Gianfranco Fini). Quella che era la loro forza, il movimentismo di anni lontani, è diventata la loro debolezza: i loro gruppi si sono trasformati in apparati autoreferenziali. Non tutti sono disposti a cedere al ricatto del voto “identitario” per foraggiarli.

Questo è il dato direi “storico” del voto romano, quello che sarà negato e ignorato dai più. Poi c’è il dato politico, che certi commentatori sottolineano in alcuni editoriali odierni: è la fine della destra sociale. Quell’area di An, cioè, che con maggiore slancio aveva cercato di immettere nel centrodestra valori in parte desunti dalla tradizione missina in parte attinti da un pantheon estraneo al neoliberismo. Un’area che ha cercato cioè di fare in modo che la destra fosse “valore aggiunto” e non un piccolo esercito di servitori fedeli.

Ma questo connotato della destra sociale si è appannato da tempo fino ad estinguersi del tutto (e sorvoliamo sulla scelta di Alemanno e di Augello di non seguire Fini, anche se fortemente tentati) e lo dice plasticamente proprio l’immagine di Berlusconi che canta alla cena elettorale di Alemanno. Tra l’altro questo restare aggrappati a Berlusconi come l’ostrica allo scoglio non darà i frutti politici auspicati (eccettuata la consolatoria nomina di Isabella Rauti a consigliera anti-femminicidio).

Il modo in cui la componente berlusconiana legge il dato romano è evidente nel titolo odierno del “Giornale”: no Silvio, no party. Solo lui prende i voti. Tutti gli altri no. Fine delle rivendicazioni degli ex-An di varia estrazione e natura. Berlusconi li aveva già cancellati. Ora sono del tutto fuori gioco.

Ma dobbiamo ancora parlare di ciò che Gianni Alemanno ci ha messo di suo. E qui non posso non utilizzare il bel libro di Umberto Croppi “Romanzo comunale”. L’ho letto proprio in questo frangente e devo dire che è stato “illuminante”. Per via del titolo, il libro di Croppi gode di cattiva fama: si pensa che dentro scorra veleno contro Alemanno, chissà quali rivelazioni, chissà quali vendettine dell’autore.

Come al solito, la destra punta l’indice senza prima informarsi, cioè senza prima leggere. Il libro rivela solo ciò che molti sanno già, i lati umani e caratteriali del personaggio Alemanno che hanno pesato negativamente sulla sua funzione. Ma il vero elemento è un altro: Croppi sottolinea, e ha perfettamente ragione, la portata storica della vittoria di Alemanno nel 2008. Quell’occasione non è stata colta. Alemanno aveva la possibilità di opporsi agli appetiti del consiglio, alle pretese delle correnti, di sfruttare la simpatia che anche la sinistra nutriva nei suoi confronti. Poteva essere un sindaco decisionista e offrire un quadro di discontinuità effettiva ai suoi elettori, ai tanti, tantissimi, che avevano creduto nel “sogno”. Ha scelto di fare esattamente l’opposto.

Un episodio raccontato da Croppi mi ha colpito in modo particolare: era stata preparata una lettera di Alemanno agli studenti che protestavano contro la riforma Gelmini. Il sindaco era fortemente tentato da quel passo. Si sarà ricordato, chissà, di quando andava a bloccare i cortei di Bush a Nettuno. Si sarà ricordato dei cortei studenteschi che un tempo lui stesso capeggiava. Era convinto, insomma, che un passo del genere avrebbe rimescolato le carte, rimesso in gioco gli schemi: non più la destra d’ordine contro gli studenti cattivi e di sinistra…

Ma non l’ha fatto, stemperando la sua determinazioni in una serie di inutili riunioni che hanno bloccato sul nascere la cosa. Poi è stato Giorgio Napolitano, come sappiamo, non a fare la lettera ma a ricevere gli stessi studenti. Per il sindaco, l’ennesima occasione persa. E a forza di occasioni perse, di decisioni mancate, di parentopoli incontrollate, a forza di restare prigioniero delle correnti anche nel rifare la nuova giunta, quella che avrebbe dovuto cambiare tutto e non ha cambiato niente, è finita con un residuo di nostalgici che cantavano “Bella ciao” in Campidoglio, uno spettacolo speculare a quello che cinque anni ci regalava anacronistici saluti romani sotto la statua di Marco Aurelio.

Ma se si insegue la politica del derby i risultati sono questi. Da un lato “liberiamo Roma”. Dall’altro “Marino sindaco dei rom”. Poi si deve riflettere sull’astensionismo? E non basta la povertà della proposta politica messa in campo per spiegarlo?

Ultima annotazione: è stato scritto che le larghe intese hanno alla fine sfavorito i candidati del centrodestra e premiato quelli di sinistra. Io non credo affatto che sia così. Da anni il personale politico impegnato nei duelli amministrativi del centrodestra è estremamente scadente.

Da troppi anni a Roma le decisioni passano attraverso le stesse persone e i loro errori sfumano nel nulla, come se non fossero mai avvenuti. Nel mio municipio, per intenderci, il candidato presidente era Alfredo Milioni, quello che non riuscì a presentare la lista del Pdl alle regionali del 2010 a Roma e provincia. Ancora lui! Il clima consociativo serve a tutti e dunque nessuno prende l’iniziativa per far cessare questo stato di cose. Tutti minimizzano e poi si fanno il proprio convegno per “contarsi”, per mandare agli “altri” il segnale del tipo: guarda, io ci sono, hai visto quanta gente è venuta? Ogni possibilità di far circolare un’idea innovativa è soffocata.

Prevale la necessità di non far restare disoccupati quelli che nel frattempo sono rimasti senza una prebenda. Dopo ciò che è accaduto a Roma abbiamo assistito al solito spettacolo, almeno per ora. Non c’è stata una parola di autocritica da parte di nessuno. E si andrà avanti così. Si giustificano tra loro perché tutti sono imputabili. Nella destra romana non arriverà un Renzi a scuotere le acque, a dare un’immagine nuova. Gli apparati, forse, si inventeranno un Renzi di comodo, qualcuno che “reciti” la parte di Renzi. Ma dietro ci saranno sempre loro. Inamovibili, ma politicamente bolliti.

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