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Orfini, bonificatore o rinnovatore?

“Ciò che Orfini propone oggi come commissario ha un peso politico particolare nella politica democratica romana”

Nel PD Roma non si arresta l'opera di bonifica del sistema partito ad opera del presidente-commissario Matteo Orfini. E più le indagini interne vanno avanti, più emergono dati spesso poco sereni sulla condizione del partito romano. E non ci vuole molto a capire che, alla fine della fiera, il numero di iscritti al Partito Democratico della città calerà inesorabilmente, letteralmente epurato da tutti quegli elementi che, quasi sempre per colpa di ras e capobastoni locali, avevano gonfiato il numero di iscrizioni.

Una parte dei tesserati costituiva infatti quello che in gergo giornalistico da Prima repubblica si chiamava "truppe cammellate", e cioè quell'insieme di proverbiali "amici degli amici" che, al presentarsi di una nuova sfida elettorale, venivano mobilitati per sbaragliare la concorrenza interna al proprio partito. Data però la natura mercenaria di queste "truppe", è allora evidente di come esse non siano mai state in grado di dare qualsivoglia contributo politico alla collettività partitica democratica, giacché disertrici di iniziative, eventi, progettualità e dibattiti. In due parole: apporto zero.

Tolto il marcio, rimarrà (si spera) il cuore, i muscoli ed il cervello di ciò che un tempo era il partito più grande di Roma, tramite i quali si dovrà rilanciare un nuovo approccio democratico alla città, e soprattutto alla cittadinanza. E qui, proprio su questo punto, sorgono diversi interrogativi. Fino a dove, infatti, il ruolo del commissario Orfini può spingersi? Anche se ufficiosamente, è suo dovere (o possibilità) dare un nuovo assetto alla struttura democratica di Roma? Oppure il suo compito finirà nell'esatto istante in cui la palude dei finti tesserati verrà definitivamente bonificata?

Le opinioni sono divergenti, e anche le dichiarazioni dello stesso commissario lasciano abbastanza alla fantasia. Orfini infatti non si sbilancia mai troppo, e comunque parla sempre e comunque di un congresso per il partito; un congresso che, data l'atmosfera, potrebbe essere anche rifondativo. Resta però il fatto che, anche se il compito di organizzare i democratici a Roma spetterà agli stessi iscritti, il partito di Roma, certo anche per necessità, sta subendo un accentramento decisionale notevole.

Torna quindi il centralismo, esemplificato, ad esempio, dal coordinamento municipale delle iscrizioni e dei rinnovi al partito, che prima erano in capo ai singoli circoli. Ci sarà infatti un garante per ognuno dei 15 Municipi, il cui arduo compito sarà quello di controllare che il nuovo tesseramento non venga di nuovo drogato da reflussi del passato. E viene allora da chiedersi se questo nuovo schema di organizzazione sarà transitorio, e finirà con il commissariamento, oppure se si manterrà anche negli anni a venire. Certo si potrebbe obiettare che sarà il congresso a stabilirlo; ma, invero, è evidente come ciò che oggi viene proposto non ha soltanto una valenza politicamente transitoria, bensì una progettuale definizione che, vista la condizione politica, ha un suo notevole peso.

Orfini non è soltanto il presidente del Partito Democratico ed il commissario romano, ma anche il referente di un gruppo politico interno importante, quello dei Giovani Turchi. Un gruppo che, a Roma, non è soltanto influente o rilevante, ma per certi aspetti molto decisivo. I suoi militanti, in molti circoli, sono il nerbo dell'attività politica interna, e rappresentano lo zoccolo duro del partito. E' quindi evidente come ciò che Orfini propone oggi come commissario ha un peso politico particolare nella politica democratica romana; una politica interna che potrebbe non solo limitarsi a riprendere quanto oggi lui sta facendo in quanto "buona proposta", ma più a seguirne un tracciato che ha come avanguardia la stessa proposta commissariale, e come falange un congresso che ne segue il tracciato con una precisa linearità politica. 

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