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Non è colpa del Natale la depressione e i suicidi ma le prime due settimane di gennaio

La prima leggende da sfatare si riferisce all’aumento del numero di suicidi nella settimana che separa il Natale dal Capodanno

Natale, suicidi

Natale, suicidi

Ogni anno in occasione della ricorrenza natalizia, ritorna un vociare di sottofondo e un discutere da parte dei media, su quanto le festività incidano sulla nostra psiche e sulla nostra stabilità emotiva.

Le feste rendono davvero felici o ci creano nuovo stress?

Innanzitutto la prima leggende da sfatare si riferisce all’aumento del numero di suicidi nella settimana che separa il Natale dal Capodanno. Un nesso quello fra l’atto estremo del suicidio e le festività natalizie che ricorre ogni anno in moltissime notizie di cronaca e che nell’immaginario collettivo risulta essere il periodo dell’anno in cui certi gesti aumentano. In realtà le drammatiche statistiche che si riferiscono ai suicidi ci dicono che proprio il mese di dicembre, risulta essere il mese in cui questo tipo di eventi hanno una minore frequenza.

Al contrario risulta esserci un picco di questi comportamenti nelle due prime settimane di gennaio proprio in conseguenza della ripresa della normale routine quotidiana (dati ISTAT).

Ad oggi non è dato sapere quali esatte cause intervengono nel determinare un rialzo di certi episodi allo scadere delle festività, anche se più fonti ritengono che ad influire ci siano situazioni di insoddisfazione generale, solitudine e aspettative deluse, come anche una depressione già conclamata e un senso profondo di malinconia. Diciamo che la mitizzazione che i suicidi avvengano in maggior numero durante le giornate di festa è più vittima di una glamourizzazione della notizia, visto l’evento drammatico in corrispondenza di una festività sentita come il Natale, che da una reale corrispondenza dei fatti.

Resta importante osservare che la solitudine in certe situazioni diviene un potente amplificatore emozionale e può produrre risposte comportamentali altamente disfunzionali.

Ma più in generale cosa accade nel nostro cervello in questo periodo?

Per rispondere a questa domanda si deve partire dall’analisi del termine “avvento”, termine che proviene dal latino “adventus” che significa venuta. Nel cristianesimo ci si riferisce alla Venuta del Signore che con la sua nascita porta nuova speranza e salvezza. Anche se questo concetto nella moderna concezione del natale ha subito profonde modifiche, continua a portare con sé forti risposte adrenaliniche classiche dell’attesa e della preparazione all’evento tanto desiderato, tipico ad esempio nei bambini, che ne sono la testimonianza più lampante con l’attesa per i doni.

Negli adulti e nell’immaginario collettivo, il Natale risulta essere da una parte il periodo più bello dell’anno per la condivisione con i propri famigliari di sentimenti come gioia e amore, dall’altra sembra al contrario risultare un vero e proprio periodo di forte stress dovuto all’ansia per gli acquisti, per le spese da sostenere e per l’organizzazione di pranzi e cene, specie per coloro che si offrono a ricevere amici e parenti in casa. Parenti che in alcuni casi non sono del tutto ben visti ma con i quali si è obbligati a passare più di qualche giorno insieme.

La corsa all’ultimo regalo e l’aumento del cortisolo

Ulteriori carichi di stress derivano dalla moderna forma consumistica tipica delle società occidentali dove, la cosiddetta corsa all’ultimo regalo, da sempre investe molti di noi con tensioni e carichi stressogeni ulteriori. Il dubbio della scelta, la possibilità di non soddisfare pienamente le aspettative dell’altro rispetto al gusto o il solo fatto di doversi barcamenare fra i pochi soldi a disposizione e la volontà di rendere felice qualcuno, finiscono inevitabilmente per essere un carico di tensioni e stress molto importante.

Ecco allora che spesso un momento di gioia e spensieratezza da condividere con gli altri si trasforma invece in un accumulo di rabbia e frustrazione.

Studi recenti hanno rilevato la forte presenza di cortisolo (l’ormone dello stress) in molti adulti, proprio in prossimità delle festività. L’intero organismo subisce importanti modifiche dal punto di vista biochimico in conseguenza del nuovo adattamento che lo status di frenesia e tensione portano con loro, cosa questa che in coloro già emotivamente sofferenti o instabili dal punto di vista psichico, possono creare disequilibri più o meno importanti.

Il Natale che stiamo per vivere come sarà?

L’ultimo DPCM, ridefinisce le regole che dovranno essere seguite in occasione delle ormai prossime festività, ridimensionando fortemente il modello di condivisione e aggregazione storicamente conosciuta. Gli italiani trascorreranno il Natale all’interno dello stesso nucleo famigliare, con la possibilità di ospitare al massimo due parenti stretti e quindi si dovrà dire addio alle tavolate e alle tombolate che tanto ci hanno tenuto compagnia prima della pandemia.

Questo significherà sicuramente da un lato vivere un Natale più profondo dal punto di vista religioso, ma anche più triste per l’impossibilità di vivere con le persone care uno dei periodi più attesi di sempre. Non si avrà il peso dei parenti indesiderati per alcuni, ma per molti altri l’assenza di nonni e genitori sarà davvero pesante.

Un Natale triste e malinconico

Per altri ancora sarà l’ennesima occasione mancata per dare respiro alle quotidiane tensioni famigliari che solo la presenza di parenti e amici riescono a garantire. Sarà un Natale davvero triste e malinconico specie per coloro che negli ultimi tempi hanno perso persone care, con l’impossibilità di poter affrontare il dolore insieme ai parenti, come sarà davvero straziante sapere dei propri nonni o genitori anziani costretti a rimanere nelle loro case senza un abbraccio o un momento di condivisone con nipoti e figli.

Questo nuovo Natale porterà con sé la consapevolezza di quanto bisogno abbiamo degli altri, quel bisogno vero di condividere giornate di festa con chi si ama e di quanto l’essere umano necessita della vicinanza del prossimo in certe occasioni. Ci saranno sicuramente i doni da scartare, le lucine fuori dai balconi e gli alberi addobbati, ma mancherà quel momento di vita da assaporare tutti insieme, quel bisogno intrinseco dell’essere umano di condividere la gioia con più persone.

Ecco perché il senso di solitudine sarà probabilmente il vero sentimento che ci accompagnerà. Non sarà facile superare il momento di sconforto che la lontananza ci pone innanzi e la malinconia sicuramente si presenterà in ognuno di noi. Ma il momento è storico e dobbiamo cercare di trarne comunque il meglio.

La tecnologia in questo ci potrà davvero aiutare

Attraverso le varie piattaforme dei social potremo virtualmente condividere qualche bacio e abbraccio con chi, come tutti noi, sarà chiuso nella propria abitazione, ma altresì potrà essere la conferma di appartenersi a prescindere dalla distanza. Lo strumento tecnologico si rivelerà un potente ammortizzatore emotivo. Ci unirà in un modo diverso ma si rivelerà comunque utile nel disinnescare la nostalgia e la malinconia. L’utilizzo di certe piattaforme sarà diffuso e si andrà a caricare ai miliardi di messaggi WhatsApp che solitamente in certe ricorrenze la rete deve sopportare con il pericolo reale di un sovraccarico dell’intero sistema.

I colossi informatici affermano di garantire il massimo impegno per scongiurare il cosiddetto effetto down delle linee a causa dell’importante traffico che si avrà nelle serata del 24 e del 31 Dicembre. Avere la possibilità di farsi gli auguri in una video chiamata sarà importante per ognuno di noi, ricordando sempre che uno strumento tecnologico non potrà mai sostituire il valore che si cela nella relazione umana, come sarà importante rispondere al nuovo contesto imposto, adottando alcune strategie comportamentali.

A tal proposito la Dott.ssa Tatiana Crespi (Psicologa e Psicoterapeuta), afferma che “non possiamo parlare di quello che succede alla nostra mente in questo periodo (depressione , pianto, solitudine, sensazione di vuoto) senza parlare di sociale, di relazionale, di rapporti con gli altri. Il collegamento è evidente e quello che ci viene tolto è il rapporto tra le persone. Questo inevitabilmente porta un segno di sottrazione alla nostra vita, un segno che si esprime nel vivere isolati, nel non poter andare in quel luogo, in quel cinema, in quel ristorante, in quel teatro”.

Come possiamo reagire ad un Natale in gabbia?

“Sono tre i tipi di reazione, una reazione normale, sana, con un buon fronteggiamento, accettando questa situazione. Una reazione nevrotica, con la manifestazione dei più svariati sintomi. Infine, una reazione abnorme con sintomi importanti, che non si riescono più a controllare e in alcuni casi si arriva la gesto estremo del suicidio. Ciò che ci può salvare o aiutare sono i nostri meccanismi di coping, ovvero la gestione pratica, cioè fronteggiare la situazione.

Infine come nell’opera teatrale “I giocatori di Miro”, dove 4 uomini si chiudono in un appartamento, per condividere, in qual caso, i loro fallimenti in attesa di un ultimo estremo giudizio, decidono di rischiare il tutto per tutto, e solo allora capiscono che per uscire da quella situazione, ciò che conta è la loro unione, e si sforzano di comprendere perché vedono finalmente il mondo in modo diverso”.

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