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Negro o nero, pregiudizi e ipocrisie che nascondono la realtà

Chissà se avrebbero mai tutelato i diritti dei neri se questi non fossero stati afroamericani ma solo abitanti del Niger o della Sierra Leone

Mercato schiavi, disegno

Nel 1619 la nave corsara White Lion sbarcò, nello stato della Virginia, in Nord America, 33 schiavi africani originari dell’Angola, dopo averli prelevati da una nave negriera portoghese. Questo evento rappresenta la prima testimonianza storica di tratta degli schiavi neri nel continente nordamericano.

Da quel giorno la storia sarebbe cambiata per sempre.

Il mercato degli schiavi

I coloni europei stabilitisi nel nuovo mondo, prima di ricorrere ai neri africani, avevano tentato di ridurre in schiavitù le popolazioni indigene. Ma i nativi del nord e gli indios del centro-sud si erano rivelati fragili di costituzione (moltissimi perirono a causa delle nuove malattie introdotte dagli europei) e poco adatti ai faticosissimi lavori dei campi.

Tra il 1500 e buona parte del 1800 si calcola furono comprati in Africa e rivenduti nelle Americhe circa 12 milioni di neri di cui circa 4 milioni morirono durante le traversate atlantiche.

Fra i primi a investire sul commercio di schiavi africani ci furono i Portoghesi i quali, dopo averne deportati a milioni in Portogallo e in Europa verso la metà del 1400, si sarebbero dedicati, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, al loro commercio anche oltre l’oceano Atlantico. Il termine negro, nella lingua portoghese e in quella spagnola, sta ad indicare il colore nero. Da quando l’uomo è apparso sulla terra ha sempre ridotto in schiavitù altri uomini. Addirittura nell’Antico Testamento questa pratica era approvata, incoraggiata e regolata.

Quando un proprietario di schiavi colpisce uno schiavo maschio o femmina con una verga e lo schiavo muore immediatamente, il proprietario sarà punito. Ma se lo schiavo sopravvive un giorno o due, non c’è punizione; perché lo schiavo è proprietà del proprietario. (Esodo 21: 20-21)”.

Lo schiavismo è esistito fino a 100 anni fa esatti, quando in Marocco, nel 1922, fu registrato dalla cronaca l’ultimo caso di pubblico mercato di schiavi.

Nelle Americhe i neri erano sfruttati soprattutto come manodopera nelle immense piantagioni di caffè, tabacco e cotone negli stati del sud. Molti proprietari terrieri li acquistavano assicurandosi che non provenissero tutti dallo stesso villaggio africano. In questo modo gli schiavi avrebbero parlato diversi dialetti e differenti lingue, cosa che avrebbe compromesso la comunicazione fra loro ed evitato assembramenti non autorizzati ed eventuali sommosse.

I pochi momenti di riposo si svolgevano in chiesa in seno alla loro nuova religione cattolica (i riti africani erano vietati), nella quale vedevano una speranza di felicità e di riscatto in un mondo migliore dopo la morte.

L’apprendimento dei Vangeli e delle preghiere rappresentò l’embrione di quei canti corali che divennero poi il gospel (Vangelo in lingua inglese) così come i sogni e le speranze di libertà e di un mondo felice trovarono la propria voce nei canti che presero il nome di blues, che in lingua inglese sta a significare “magone, sofferenza interiore“. In inglese, quando una persona vuole esprimere una propria sofferenza dell’animo, dice appunto “ I got the blues “.

Ma come sarebbe il mondo che oggi conosciamo se la schiavitù dei neri africani nel nuovo mondo non avesse mai avuto inizio?

Provate quindi a immaginare, tanto per cominciare, un mondo senza la musica blues, soul jazz…

Non avremmo mai avuto artisti incredibili quali B.B. King, Ray Charles, Aretha Franklin, Stevie Wonder, Tina Turner, Barry White, Sammy Davis Jr., Wilson Picket, Marvin Gaye, Michael Jackson o James Brown, Solo per citarne alcuni.

Quest’ultimo, tra l’altro, lanciò il genere musicale funky. In slang americano la parola “funk” sta ad indicare l’odore tipico del sudore del nero americano. Un termine utilizzato come insulto da un gruppo di protestanti anglosassoni bianchi, e poi raccolto e riutilizzato a proprio vantaggio appunto da Brown e da altri cantanti neri degli anni 60. Un po’ come quando un soldato lancia una bomba a mano al nemico e, questi, prima che esploda, gliela rilancia uccidendolo.

La musica di Elvis Presley

Ma non avremo neppure avuto la musica di Elvis Presley.

La musica dei neri, il blues, cantava la sofferenza del lavoro dei campi e la speranza in un mondo migliore mentre i bianchi del Nord, che avevano importato dall’Europa gli strumenti musicali dei propri paesi di origine come il violino e il mandolino (che diventò poi il banjo) e i canti popolari come il folk, diedero col tempo vita alla musica country, che raccontava la vita libera della comunità bianca.

In qualche modo Elvis fuse il blues dei neri e il country dei bianchi e diede vita al Rock’n’Roll.

Quasi tutta la musica del Novecento americano ha come genitori il blues e il country, i quali diedero vita, fondendosi fra loro ed evolvendosi, a numerosissimi generi musicali: dal rap di M.C. Hammer al rock/pop dei Bon Jovi, dalla west coast degli Eagles al Jazz/rock dei Chicago, fino ai più recenti Sam Smith, Adele e Rihanna.

Quando oggi accendiamo la radio (pardon! l’ipod ) e ascoltiamo una canzone, nove volte su dieci questa esiste perché in Nord America nacque e si sviluppò la musica dei neri.

La quasi totalità della musica moderna, dall’ottocento ad oggi, non esisterebbe se non fosse esistita la tratta degli schiavi africani.

L’influenza dei neri nello sport e nel cinema

E per quanto riguarda il cinema e lo sport? Immaginate Hollywood senza Sidney Poitier e il film di denuncia sociale che lo rese celebre “Indovina chi viene a cena“ con gli straordinari Katharine Hepburn e Spencer Tracy.

Eddie Murphy, Denzel Washington, Samuel L. Jackson oggi non esisterebbero.

Cassius Clay (Muhammad Ali) non sarebbe mai salito su un ring. Jessie Owens non avrebbe conquistato quattro ori olimpici a Berlino nel 1936.

Pelè, Didì e Vavà non avrebbero vinto, con la nazionale di calcio brasiliana, la coppa del mondo in Svezia nel 1958.

Senza il lavoro dei neri nelle piantagioni di cotone degli stati del Sud, la potenza commerciale degli USA non sarebbe esplosa, così come non ci sarebbe stata la guerra civile Americana tra il Nord abolizionista e il Sud schiavista che tra il 1860 ed il 1865 fece 600mila morti e sancì l’abolizione della schiavitù.

Barack Obama non sarebbe esistito e forse neppure gli Stati Uniti, di cui è stato Presidente, sarebbero divenuti il paese potente e forte che conosciamo senza l’apporto degli unici che colonizzarono il Nuovo Mondo contro la propria volontà: gli africani.

La schiavitù dei neri, ahimé, sarebbe comunque esistita

Infatti la pratica era già in uso secoli prima della deportazione nel nuovo mondo. Gli storici la ricordano come la tratta araba degli schiavi. Tra il 600 e il 1900 furono infatti gli arabi i responsabili della cattura di circa 15 milioni di abitanti nell’africa nera e della loro vendita e deportazione come schiavi nei territori Islamici che si estendevano dal sud della Spagna, attraverso l’Africa Settentrionale fino al Medio Oriente.

Ed è curioso pensare al fatto che molti afroamericani, da Cassius Clay ( Mohammed Ali appunto ) a Denzel Washington, si siano convertiti all’islam, religione di coloro i quali catturarono e vendettero come schiavi i loro antenati.

Oggi si contano numerosissimi movimenti a tutela dei diritti degli afro-americani, dimenticandosi ahimè spesso del dramma che vivono moltissimi paesi dell’Africa subsahariana, travolti da guerre, fame e sfruttamento da parte di multinazionali occidentali.

Chissà se qualcuno avrebbe mai lanciato movimenti a tutela dei diritti dei neri se questi non fossero stati afroamericani ma semplicemente abitanti del Niger o della Sierra Leone. E forse avremmo continuato ad usare la parola negro come si faceva, senza timore di offendere alcuno, fino a pochi decenni fa.

Ci saranno sempre, purtroppo, drammi, morti, vittime e neri di serie A e di serie B.