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Micich: “Foibe, una storia di italianità”

Conferenza presso l’Istituto Alberti. Presente anche Andrea De Priamo (Fratelli d’Italia)

La vicaria dell’Istituto Alberti di Roma, la prof.ssa Parente, si è mostrata molto orgogliosa del ruolo che svolge nell’istituto sito nel cuore dell’Eur, in quanto si tratta di una di una scuola “che ascolta i suoi alunni, una scuola pluralista, dove tutte le idee vengono rispettate e tutelate, e le richieste degli studenti soddisfatte”.

Sono stati infatti gli studenti dell’Istituto a volere l’incontro che si è svolto questa mattina, per raccontare la storia delle Foibe, e la tragedia vissuta dagli esuli italiani della Venezia-Giulia e della Dalmazia. Presenti all’incontro anche Marino Michich, direttore dell’Archivio Museo Storico di Fiume, Andrea De Priamo, presidente della Costituente Romana di Fratelli d’Italia e Fabio Roscani, portavoce della Costituente Romana di Fratelli d’Italia del Municipio VIII. A chiamare gli esponenti del partito di Giorgia Meloni, gli stessi alunni dell’Alberti, che hanno richiesto la loro presenza.

“I ragazzi – continua la prof.ssa Parente – hanno provveduto da soli a contattare gli ospiti della conferenza”, durante la quale è stato anche trasmesso un docu-film. “Questo – conclude – ha dimostrato da parte loro una certa capacità di autogestione”. Alla conferenza erano presenti i ragazzi delle IV e delle V classi superiori. Gli stessi che hanno deciso di dar vita, al termine della conferenza, di organizzare una raccolta firme per ripristinare i viaggi di istruzione.

Presente anche Laura Marsilio, ex assessore alla Famiglia e alla Scuola. “E’ grave aver deciso di azzerare i fondi per i viaggi nei luoghi delle Foibe – dichiara – Il lavoro che era stato fatto, era stato riconosciuto anche dal MIUR, perché dava l’opportunità di far conoscere a insegnanti e alunni un episodio oscurato per molti anni per motivi ideologici e politici. A maggior ragione perché c’è una legge che chiede che le scuole celebrino degnamente la Giornata del Ricordo. Anche nel nostro periodo di amministrazione avevamo problemi di bilancio, ma non abbiamo mai impedito ai ragazzi di effettuare i viaggi di istruzione nei luoghi del Ricordo. Anche a Berlino, per la ricorrenza della caduta del Muro, ad esempio. Oppure a Praga per ricordare il sacrificio di Jan Palach. Era stato compiuto uno sforzo notevole per concentrarsi anche su quella parte di storia ad oggi ancora poco considerata. Per questo iniziative come questa che si è svolta oggi sono molto importanti: è stata voluta dai ragazzi e ben accolta dalla dirigenza scolastica. Ma credo che il MIUR – concluda – debba fare ancora qualcosa di più. Ad oggi, per esempio, non c’è ancora una circolare del ministro, solo una comunicazione del Prefetto che sollecita le scuole a celebrare la Giornata del Ricordo delle Foibe”.

Gli fa eco Andrea De Priamo: “Questo decennale (della legge 92 del 2004, ndr) è importante. Ci consente anche di fare una verifica degli effetti nel corso del tempo. Da un lato è stato utile e necessaria l’approvazione di un atto normativa – dichiara De Priamo – dall’altro c’è ancora molto da fare, e sicuramente bisogna combattere e contrastare la decisione di tagliare i fondi per i viaggi di istruzione. Oblio e negazionismo sono due problemi con cui la memoria degli istriani ha sempre dovuto fare i conti. Iniziative come quelle di oggi devono essere moltiplicate”.

Bisogna salvaguardare le proprie radici, pur guardando al futuro. E quello di oggi – continua – è un segnale importante: vuol dire che i giovani, se adeguatamente sollecitati, riescono a mostrarsi sensibili. La storia va ricordata tutta per intero, la verità non deve far paura. Ci dispiace che non venga adeguatamente difeso il supporto a tutte quelle Associazioni che si occupano di tramandare il ricordo e la storia”.
Lo stesso De Priamo si è battuto per istituire infatti la Casa del Ricordo, anche contro tutti gli ostacoli burocratici. Ma durante la scorsa consiliatura è stata inaugurata in alcuni locali di San Teodoro.

“Abbiamo tanto da recuperare sulle Foibe – conclude De Priamo – Per troppi anni si è taciuto. Da una parte i filocomunisti che non potevano parlarne; dall’altra i filooccidentali che lo stesso hanno deciso di non parlare perché Tito aveva rotto con il blocco sovietico e non volevano quindi che si compromettessero i rapporti”.

La presenza più importante, senza dubbio quella di Marino Micich, figlio di esuli e direttore del Museo che, ancora oggi, si occupa di trasmettere la memoria e il ricordo degli italiani vittime dell’odio dei partigiani titini.
Bisogna iniziare proprio dalla scuola a parlare di storia – racconta Micich – E’ importante che i giovani si formino una propria coscienza attraverso lo studio, e soprattutto attraverso lo studio della propria storia di italiani. Un popolo è popolo quando conosce la storia della collettività e quando è in grado di apprendere la lezione che quella storia vuole trasmettere, in questo caso la storia delle Foibe, di questi massacri perpetrati contro gli italiani della Venezia-Giulia e della Dalmazia, dell’esodo forzato di oltre 300 mila italiani da quelle terre ad opera degli jugoslavi comunisti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Conoscere queste pagine, brutte e tristi, può aiutare a rendere gli uomini migliori. Ed è bello che i ragazzi vogliano approfondire questo tema, di cui non c’è traccia nei libri di storia, a volte solo un trafiletto”.

Marino Micich è nato nel 1960 nel campo profughi del villaggio Giuliano-Dalmata a Roma. Città che lo ha salvato. Perché a Roma – ci racconta – l’accoglienza, rispetto a molte città del Nord, è stata migliore. “Eravamo in 2mila, e noi bambini siamo cresciuti insieme. Siamo stati più fortunati anche di quelli che sono cresciuti in ex manicomi o caserme per tanti anni. E siamo stati fortunati anche perché eravamo una comunità”.

Raccontare le Foibe, per Marino Micich, vuol dire rendere onore e un doveroso omaggio ad alcuni italiani che hanno pagato oltremodo il prezzo di una guerra persa da tutta Italia, che sono stati uccisi senza processo e senza giustizia. “L’Italia tutta ha pagato la sconfitta di quella Guerra, ma è bene ricordare – continua Micich – che una parte d’Italia l’ha pagata in maniera molto più grave. Anche con l’oblio, visto che per molti anni si è voluto tacere su questa vicenda”.
L’oblio diventa “dannazione”, la “dannazione giornaliera dei nostri padri e di noi figli che siamo nati nei campi profughi tanti anni fa – racconta Micich – sembra di non sentirsi riconosciuti dalla Nazione italiana, sembra di essere dimenticati”.

Parlando di dannazione con Marino Micich viene in mente la damnatio memoriae dei Romani (letteralmente: condanna della memoria), la pena attraverso la quale si cancellava la memoria di una persona e si distruggeva qualsiasi traccia potesse tramandarne il ricordo ai posteri.
“Questa è la dinamica che si è innescata nei confronti degli italiani della Venezia-Giulia, di Fiume e della Dalmazia per motivi ideologici”.
Nel corso della conferenza, infatti, sono state ricordate anche le responsabilità dei partiti comunisti, all’epoca, che “vedevano nella Jugoslavia un Paese progressista – spiega ancora – E anche se avevano commesso dei crimini alla frontiera, si è ritenuto che quei crimini si potessero, se non perdonare, almeno tacere”.
Omertà, congiura del silenzio: così Micich definisce il silenzio assordante che per tanti, troppi anni, ha avvolto il ricordo degli italiani uccisi barbaramente.

10 anni fa, però, con la legge (n.92/204) che istituisce la Giornata del Ricordo, si è aperta una finestra. “Quella legge fu votata dal Parlamento italiano, e così si permetteva non solo agli italiani di ricordare liberamente, ma anche di denunciare la strumentalizzazione ideologica che si fa della storia”.
Ma forse non basta ricordare solo un giorno, con una legge. “Bisogna farlo con una politica che era iniziata a suo tempo, che però ancora oggi fa fatica a svilupparsi anche a livello ministeriale”. E non si riferisce solo alla tragedia delle Foibe Marino Micich: parla anche del brigantaggio del Sud durante la guerra del Risorgimento. “Hanno fatto passare per briganti degli uomini del Sud che non volevano lo strapotere dei Savoia”. Oppure – continua – bisognerebbe ancora parlare molto dei nostri italiani delle colonie, “persone che sono venute dalla Libia, dall’Etiopia, attraversando tante tragedie personali. Di loro non si parla mai”.

In Italia, ciò che manca, è un valore condiviso della memoria. “Se condivisa e se discussa democraticamente anche dai partiti politici, la memoria può aiutare a creare quel senso di casa comune in cui gli italiani si sentano innanzitutto italiani. Non si può creare una memoria sulle menzogne e sulle omissioni. Bisogna conoscere per poi camminare in avanti”.
Proprio di casa, parla Micich: i mattoni vanno posti con ordine, uno alla volta, ma tutti insieme bisogna contribuire ad assemblarli. Se cade un mattone, cade la casa. “Come i confini – racconta – I confini sono il tetto di una casa, e quando iniziano a sgretolarsi, il tetto della casa cade. E noi che eravamo al confine, abbiamo visto la nostra casa rovinarsi”.

Micich è direttore di quel Museo, nel cuore dell’Eur, nato grazie alle donazioni degli esuli e che oggi si regge in piedi grazie ai contributi degli stessi. E in Parlamento è stato bocciato l’emendamento del sen. Di Biagio e dell’on. Rampelli per ripristinare i fondi a favore dell’Archivio Museo Storico di Fiume, che dai 100mila inizialmente previsti sono presto passati a 35mila. A fronte dei tanti milioni di euro stanziati a favori dei Musei per la Shoah e delle Anpi. Le tragedie, però, non sono tutte uguali? “C’è una sperequazione – rivela Micich – Io ho anche inoltrato un comunicato in cui spiego che è giusto ricordare tutto ciò che riguarda la nostra società civile, e che pertanto è doveroso evitare la discriminazione della nostra cultura. La cultura non si fa solo con le parole o con il ricordo, perché una volta che saranno morti gli anziani e i vecchi, se non conserviamo documenti, immagini e fotografie, tutto sparisce. La storia si testimonia anche con i documenti. E se un domani il Museo sparirà perché noi figli non ce la faremo più a tenerlo in piedi, e verranno i rigattieri a vendere tutto, cosa diventerà la storia?”.

Ma oggi come sono i rapporti con quelle terre oltre il confine? “Oggi in quei Paesi non c’è più un sistema monolitico, né in Slovenia, né in Croazia, ma c’è una democrazia pluriparlamentare. Tuttavia, ancora oggi, alcuni esponenti politici sono legati all’ideologia comunista, che tendono a giustificare quegli eccidi, dicono che quegli italiani sono morti perché se la sono cercata. Ma così non si fa la storia, questa è politica”.

Anche il vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, secondo Micich è vittima di questa battaglia ideologica: “Come fa a dire che a Roma non appartiene la memoria delle Foibe? Roma ha ospitato migliaia di esuli, ci sono 125 vie e piazze a Roma che sono intitolate a personaggi istriani, letterati famosi. Come fa a non interessare, non solo a Roma, ma a tutta l’Italia questa parte di storia? Nelle Foibe non sono morti solo gli istriani, i fiumani e i giuliano-dalmati, ma sono morti romani, pugliesi, siciliani, sardi. Tanti insegnati sono morti. Solo per odio anti-italiano. Questa dell’esodo e dell’eccidio degli istriani e dei dalmati dovrebbe essere una storia di italianità, non di quelli che erano fascisti o di quelli che erano antifascisti e comunisti”.

Ma per quanti ancora tendono ad oscurare questo episodio, ce ne sono altri che invece iniziano a conoscere la verità, e a volerla diffondere. “Nel mese di maggio, l’ambasciatore di Croazia a Roma è venuto a visitare il nostro Museo: per la prima volta un esponente del governo croato si è avvicinato a noi. E io tanti politici italiani a farci visita non li ho mai visti, se devo essere sincero”.

Ma ci sono anche quelli che fanno irruzione durante lo spettacolo di Cristicchi, lo interrompono e lo accusano di dire menzogne. “Questo è colpa dell’ignoranza, che poi permette la strumentalizzazione”.

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