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Meloni si farà chiamare “Il presidente”, Cucci: “Ma quale sconcerto, è invidia della sinistra”

Proprio la prima donna a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio del nostro Paese si farà chiamare al maschile

Giorgia Meloni con logo FdI e mano in segno di vittoria

Giorgia Meloni

Mentre l’Italia cerca di adeguarsi agli standard linguistici (e dunque culturali) europei sull’uso del femminile negli incarichi pubblici e nelle professioni, l’agenzia Agi comunica che la neo premier Giorgia Meloni userà il maschile nelle comunicazioni ufficiali. Proprio la prima donna a ricoprire la carica di presidente del consiglio del nostro paese si farà quindi chiamare al maschile. I commenti non si sono fatti attendere. “Non mi stupisce”, dice la Boldrini (PD), “Il suo partito si chiama Fratelli d’Italia, è tutto rivolto al maschile”.

“Un margine con la preferenza individuale c’è sempre, volere il maschile non è un errore di grammatica. Però la forma legittima è al femminile e se pure Meloni chiedesse di utilizzare la sua carica al maschile ognuno dovrebbe essere libero di scegliere quale forma preferire”, spiega il presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini.

Fate largo a Giorgia Meloni, “Il presidente”: intervista a Italo Cucci

Abbiamo chiesto cosa ne pensa al giornalista, docente universitario e saggista Italo Cucci, penna per innumerevoli testate e dal 2016 è tornato a scrivere per il Quotidiano Nazionale e dal 2018 ha ripreso la collaborazione al Corriere dello Sport – Stadio come editorialista, e il Il 1º febbraio 2021 ha lanciato la sua prima rubrica video sulle piattaforme multimediali: “La barba al palo”, Direttore editoriale Italpress.

Professor Cucci, cosa pensa di questa scelta diciamo impopolare di Giorgia Meloni?

“La sinistra non ci vede dall’invidia e dalla rabbia e non trovando altri motivi di critica si attacca a queste scelte che sono del tutto personali. Abbiamo un PD che si parla addosso di quote rosa da anni e intanto la prima presidente del Consiglio donna è Giorgia Meloni. Questi sono i fatti. I radical chic non trovano argomenti seri così si attaccano al dettaglio linguistico. La sua femminilità inoltre non viene minimamente inficiata da questa scelta”.

Tuttavia non possiamo neppure liquidare questa scelta come un fatto esclusivamente personale. La politica veicola messaggi culturali, è anche pedagogia. E le opportunità sociali passano anche attraverso il vocabolario che i vertici adottano.

Capisco, ma qui non c’è nulla di sostanziale da veicolare. Le faccio un altro esempio. I rosicanti dell’area di sinistra (o sedicente tale) si sono strappati i capelli quando hanno appreso della nuova nomenclatura del Ministero dell’ex ministero delle Politiche agricole, che è stato chiamato dal governo FdI di centro-destra Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare. Quando però hanno scoperto che si chiama così anche in Francia con il loro beniamino Macron sono andati in tilt.

Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia intervistata da Avvenire, ha affermato che il concetto di “sovranità alimentare” non è sinonimo di autarchia: “È il diritto dei popoli a determinare le proprie politiche alimentari senza costrizioni esterne legate a interessi privati e specifici, è un concetto ampio e complesso che sancisce l’importanza della connessione tra territori, comunità e cibo“.

Ossessione per la terminologia e vuoto di argomenti, questo è sintomo di un’area di pensiero che non ha nessuna serietà verso i cittadini, riempie i social di fuffa mentre sanità e scuola vanno a rotoli. E Barbara Nappini lo precisa chiaramente. Un esempio – se permette- tera tera, come di dice a Roma. Io vivo in Sicilia e godo dell’olio prezioso dei nostri ulivi. Ma circola tanto olio…africano, non ben identificabile. Ecco, la sinistra è fatta così: crea problemi che non ci sono per non pensare a quelli seri che abbiamo. Anche io e lei, stiamo perdendo tempo, mi creda.