Ma quanto è isolata dal resto del mondo Giorgia Meloni? Poco
L’Italia, si sta ponendo come una sorta di avanguardia, all’interno dell’Europa. Sta cercando di innescare un ripensamento di ciò che in passato si dava per scontato

Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen (© Governo.it)
Più o meno un ritornello, dalle parti delle opposizioni: Giorgia Meloni non conta nulla, sulla scena internazionale, e la sua irrilevanza si estende al nostro Paese. Detto più in sintesi: Meloni isolata, Italia isolata.
Se qualcuno avesse dei dubbi, sull’insistenza e la strumentalità di queste (ridicole) accuse, basta che si faccia il classico giretto online. Il leit-motiv è costante: si prende il dettaglio e lo si gonfia a dismisura.
Si travisano le legittime divergenze con altri leader stranieri, a cominciare dal francese Macron, e le si spaccia per indiscutibili dimostrazioni di incapacità diplomatica. O addirittura, peggio, di totale mancanza di credibilità personale.
Gli esempi sono un’infinità. E non cominciano certo oggi. Ma rimaniamo sugli ultimi, imperniati sulla decisione della nostra Presidente del Consiglio di non partecipare al vertice ristretto che si è svolto a Tirana lo scorso 16 maggio, tra le sole Gran Bretagna, Francia, Polonia, Germania e Ucraina.
Una nutrita panoramica la potete trovare qui. Un florilegio avvelenato in cui spiccano, si fa per dire, i nomi di Matteo Renzi, di Carlo Calenda e di Giuseppe Conte.
Renzi: Meloni è “l’Influencer ininfluente. Che umiliazione per l’Italia”
Calenda: “non si può pretendere di essere trattati da grande Paese e comportarsi da Italietta. Non puoi non andare ai vertici perché ti sta antipatico Macron e organizzare quelli dell’ultradestra. Non puoi dire che sostieni l’Ucraina e la Nato e contemporaneamente fare i magheggi di bilancio. È una figura che l’Italia non può permettersi”.
Conte: “Meloni ha messo l’Italia in panchina. Senza voce, senza ruolo. Dopo il ‘fantasma’ in Parlamento, ecco il ‘fantasma’ nei vertici internazionali: Giorgia Meloni”.
Analisi di prim’ordine, come si vede.
Vietato disubbidire, ai padroni di riferimento
Tutto questo potrebbe essere facilmente liquidato per quello che è: propaganda da quattro soldi. In mancanza di argomentazioni più serie, capaci di entrare nel merito delle questioni specifiche, si gioca la carta del discredito personale.
Fingendo di ignorare, tra l’altro, che l’Italia “prima della Meloni” non ha mai brillato per autonomia politica e riconoscimenti internazionali. Sia rispetto agli USA, sia riguardo alla UE, il filo conduttore è stato l’assoggettamento alle decisioni altrui.
Una sostanziale e insormontabile subordinazione che si celava dietro il comodissimo alibi della affinità di vedute. Con il contorno, non proprio entusiasmante, degli atti di contrizione per i peccatucci commessi in precedenza: vedi il dilagare del debito pubblico a partire dagli anni 80 e lo pseudo ravvedimento condensato nel proverbiale/famigerato “ce lo chiede l’Europa”.
L’aggravante, inoltre, era la rinuncia preventiva a perseguire – o anche solo a immaginare – un affrancamento da quei modelli dominanti. E dai relativi sistemi di potere.
Le locomotive erano altre e noi, con grande senso di responsabilità, ci accontentavamo di esserne i vagoni. O i vagoncini.
Invece di elaborare delle strategie differenti, ci deliziavamo del fatto che alcuni nostri connazionali (nel mero senso anagrafico del termine) venivano chiamati a far parte di organismi quali la Commissione europea e la BCE. Talvolta con posizioni apicali come Romano Prodi, alla guida della prima nel quinquennio 2004-2009, e Mario Draghi, presidente della seconda per gli otto anni dal 2011 al 2019.
Il teorema restava per lo più sottinteso, ma ogni tanto veniva persino rivendicato. Il teorema era che quell’ordine sovrannazionale era giusto e condivisibile.
E perciò, suvvia, non c’era nessun motivo di contrastarlo. La pecorella Italia era felice di far parte del gregge: tosata alla bisogna e tuttavia sempre pronta a intonare il suo servizievole belato.
Atlantisti ed europeisti forever & ever.
Vecchi schemi che non servono più
Da quando la coalizione di centrodestra ha stravinto le elezioni, nel settembre 2022, il quadro geopolitico è profondamente cambiato. Le ipocrisie del diritto internazionale e dell’ordine globale sono emerse/esplose con una forza dirompente. Non comanda più solo Washington, nel mondo, e per l’Europa non è più sufficiente allinearsi ai suoi dettami, per tirare avanti con il consueto tran-tran.
Giorgia Meloni si è trovata a muoversi in questo scenario, ribollente e instabile. Con l’unico vantaggio, dovuto alle sue radici in una visione diversa da quella dominante, di avere già una serie di posizioni alternative e di essere predisposta, perciò, a guardare le cose in maniera non convenzionale.
Per esempio: l’accoglienza indiscriminata dei migranti non è un dogma irrinunciabile e Trump non è il babau.
Vero: l’Italia è una nazione relativamente piccola, e da sola è lontanissima dall’essere una superpotenza (come anche dal poterlo diventare), ma ciò non significa che non possa avere delle frecce al suo arco.
La diplomazia, non avendo la forza di imporre nulla a nessuno, si trasforma in una tessitura accorta e in continuo divenire. Le partnership non scaturiscono necessariamente da sodalizi ideali e perenni ma da interessi che sono comuni in un determinato momento.
Non si tratta affatto di convertire chiunque al catechismo occidentale, ma di trovare gli spazi per delle intese concrete.
Ritorno… al presente
L’Italia, in questo senso, si sta ponendo come una sorta di avanguardia, all’interno dell’Europa. Sta cercando di innescare un ripensamento di ciò che in passato si dava per scontato: e in materia di immigrazione, per fortuna, i risultati già si vedono.
Al contrario, e come al solito, l’opposizione resta inchiodata ai suoi vecchi schemi. Innalzando personaggi come Macron o Starmer a sommi depositari dei valori democratici e liberali, come se il fatto stesso di non concordare con loro fosse sufficiente a essere in colpa. Sino a perdere la faccia per “manifesta” indegnità.
Ma ognuno ha gli idoli che si merita. E nell’ansia di glorificarli, per salvaguardare sé stesso e i propri privilegi, ignora qualsiasi voce contraria.
«In generale, Starmer, Macron e Merz mi sembrano leader senza forza. Non sono molto intelligenti politicamente. Hanno creato i volenterosi per i titoli dei giornali, un altro trucco di marketing. Hanno concordato di voler inviare truppe, se e quando verrà fatto un accordo di pace. Non hanno avuto, né cercato di avere, alcuna voce in capitolo sull’accordo steso tra Russia e Ucraina, che è la cosa più importante. Decide tutto Trump. Non hanno nessun peso politico».
È un pericoloso populista, a parlare così?
No: è Donald Sasson, professore emerito di Storia europea comparata alla Queen Mary University of London.
L’accusa contro Giorgia Meloni, di essere isolata sul piano internazionale solo perché non concorda con Macron e affini, va ribaltata: sono i suoi detrattori che si stanno isolando sempre di più dalla realtà delle cose. E quindi, in senso più ampio, dalla Storia.
Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia