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Licenziati senza preavviso: nello sport, nel giornalismo, nella tv. Ormai si fa così

In alcuni settori lavorativi stiamo assistendo a licenziamenti in tronco, di carattere politico o aziendale e condotti con arrogante protervia

José Mourinho

José Mourinho

Da un po’ di tempo si licenzia “su due piedi”, senza motivazioni, si caccia senza dire perché, neanche si parla più con il professionista che si intende allontanare. È peggio che maleducazione, è contravvenire alle regole basilari della condotta professionale nel mondo del lavoro. In ambito parlamentare poi, la mancanza di rispetto per l’oppositore politico, è contravvenire alle regole base della democrazia.

I motivi per cui si viene allontanati da un posto di lavoro possono essere oggettivamente validi, se si tratta di scarsi risultati ottenuti. I casi più clamorosi sono quelli degli allenatori di calcio. La Roma andava male. Nonostante Mourinho sia un coach super stellato. Con gli stessi giocatori ora Daniele De Rossi vola. A Napoli, Walter Mazzarri non ha avuto la stessa buona riuscita di De Rossi ed è stato defenestrato anche lui dopo il buon Garcia.

Ma si tratta pur sempre di licenziamenti prevedibili e che restano come costo sulle spalle della società a lungo, finché non si scioglie definitivamente il vecchio contratto. In altri settori stiamo invece assistendo a licenziamenti in tronco, di carattere o politico o aziendale, ma condotti con arrogante protervia. La cosa si verifica da più di un anno in concomitanza con una certa spavalderia che a me sembra prenda le mosse dal potere esecutivo.

Licenziato senza neanche una telefonata e un chiarimento

Uno dei più famosi critici gastronomici italiani, Edoardo Raspelli, autore di pubblicazioni e di migliaia di critiche alla ristorazione nazionale e non solo, venne defenestrato da Mela Verde, programma di cultura gastronomica su Rete 4 senza preavviso e senza una apparente valida ragione. Ora succede di nuovo. La sua collaborazione con Gedi, il colosso dell’ex gruppo Fiat che possiede tre quotidiani: La Repubblica, il Secolo XIX e La Stampa, sezione “Il Gusto” per cui Raspelli scriveva, lo ha licenziato lo scorso 4 gennaio con una lettera.

Anche qui non se ne conosce la ragione. “Di chi è la firma?”, chiede Raspelli. “Non si capisce, firma illeggibile. So che il direttore del Gusto si chiama Luca Ferrua ma non so che faccia abbia, che voce abbia, in questi anni ho cercato decine di volte di parlarci senza riuscirci, non risponde alle telefonate, non risponde alle mail”. Forse però stavolta una telefonata poteva farla. Raspelli è persona preparata, colta e intelligente. Ha due vizi: è vanitoso e non sa tenere la lingua a freno. Ma non mi sembrano ragioni valide per rinunciare alla sua collaborazione.

Non è il solo caso, nelle nostre tv c’è stata una “pulizia etnica” per ragioni diverse

Quel che succede a Raspelli mi ricorda casi analoghi. Mandano via Barbara D’Urso da Buon Pomeriggio su Canale 5 e lei lo apprende per caso, ascoltando in tv il Presidente del Gruppo Mediaset, Piersilvio Berlusconi. La volontà di rendere meno dipendente dal gossip e dalle paillettes le proprie emittenti, da parte del capo di Mediaset è del tutto legittima e anche logica. Nel momento in cui la Rai si occupa meno di fare inchieste e comunicazione seria è quasi ovvio che emittenti concorrenti cerchino di occupare spazi lasciati vuoti.

Ma c’è modo e modo di farlo e trattare con arroganza chi ha collaborato con te per anni non è mai un segno di correttezza professionale. La stessa cosa è accaduta a Massimo Giletti, al quale Cairo, presidente de La7, ha chiuso il programma Non è l’Arena di punto in bianco, dopo le dichiarazioni di un portavoce di detenuti per mafia, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Paura, ritorsioni, minacce? Non è dato sapere. Stavano emergendo responsabilità politiche di alto profilo negli attentati a Falcone e Borsellino. Programma chiuso e benservito a Giletti, che ora riapproda su Rai, dove si sono liberati diversi posti.

Per motivazioni del tutto prive di logica aziendale, anche in Rai sono stati allontanati collaboratori di indiscutibile professionalità

Fabio Fazio chiede il rinnovo del contratto e nessuno gli risponde, così capisce l’antifona e armi e bagagli trasloca a Canale 9, dove ora fa il 14% incalzando le reti Rai. Stessa cosa è capitata a Gramellini, ad Augias, a Bianca Berlinguer, alla ex presidente della Rai Lucia Annunziata. Non sono i soli casi, è un po’ che assistiamo a questa pulizia etnica nella comunicazione. Si fanno leggi contro i Rave dei ragazzi dove nessuno spara ma un Sottosegretario va alla festa di Capodanno con la scorta e un suo “camerata” pare che abbia sparato un colpo di pistola con cui ha ferito un parente del caposcorta.

Non si possono fare blocchi stradali ma se li fanno i contadini, ai cui voti si aspira, allora ci si passa sopra. Alcuni cantanti chiedono il cessate il fuoco a Gaza, in segno di pace, come fanno da sempre, ma un membro della maggioranza chiede il Daspo dal Festival di Sanremo o dai programmi Rai per chi lo fa! Pensa se fosse vissuto ai tempi di De André, Pietrangeli e del Folk studio, che avrebbe chiesto? La fucilazione per Bassignano, Venditti e De Gregori?

Adesso qui comando io non si può sentire, la democrazia ha delle regole

Sono casi diversi ma stupisce la tendenza attuale a punire, licenziare, tappare la bocca e non parlare con nessuno: licenziare senza preavviso e senza motivazioni plausibili. Talvolta c’entra la politica, come per alcune sostituzioni ma spesso sono vendette personali, paura di dispiacere al potere che gestisce da lontano stampa e tv. Questa è l’aria che tira nel paese e i manganelli e gli atti di arroganza di ministri e parlamentari sono goffe dimostrazioni di chi vorrebbe tanto dire: adesso qui comando io. Un po’ alla Marchese del Grillo.

Ma la storia, lo sapete, quando si ripete si trasforma in farsa. Questi atteggiamenti fanno più ridere che paura. Si tratta comunque di persone che non rischiano la fame o di cadere in disgrazia, intendiamoci. Il torto viene fatto non solo a loro ma soprattutto al pubblico che assiste inerme a queste guerre un po’ sotterranee e che è costretto a cercare i propri beniamini in altri canali.

Chi dirige le istituzioni rappresenta tutti gli Italiani e non solo chi l’ha votato

Quando si occupano posizioni istituzionali si rappresentano tutti gli Italiani, non solo quelli che hanno votato la tua parte politica. Ci si attiene alle disposizioni che regolano l’istituto nel quale si opera e che si rappresenta. Non si fanno attacchi frontali ai giornalisti, non si ignorano le critiche del Capo dello Stato, non si vietano le manifestazioni di dissenso, non si trattano gli oppositori politici con sufficienza e tantomeno si deridono, senza perdere la faccia di fronte agli elettori.

Agli stessi criteri dovrebbe attenersi un responsabile di testata o di una emittente. Un dirigente ha tutto il diritto di decidere la linea editoriale del proprio mezzo di comunicazione, in accordo con l’editore. Tuttavia vige una regola, quella del corretto comportamento. Ma da fastidio a tutti dire che si ricevono ordini dall’alto. Che si sta difendendo la poltrona su cui si siede.

La regola vuole che si rispetti sempre l’altro, sia quando è un oppositore politico o un dipendente o collaboratore saltuario

Questa regola vorrebbe che si parlasse sempre con il funzionario o collaboratore che si intende licenziare, chiarendo i motivi della decisione. C’è invece quel fastidio di doversi sottoporre alla giustificazione, dover spiegare perché si prendono decisioni autoritarie. Anche quando sei legittimato a prenderle. Se succede questo ai piani alti della società, non ci dobbiamo poi stupire che sia diffuso il bullismo ai piani bassi, nelle scuole e tra i ragazzi. In fondo è una forma di bullismo anche quella dei direttori che licenziano con una mail e dei ministri, o presidenti del consiglio, che prendono decisioni senza confrontarsi col Parlamento.

Spesso ci si lamenta di come si comportano male i ragazzi e le persone. Del bullismo come della violenza sui più deboli. Guardate che il cattivo esempio viene sempre dall’alto e non bastano i buoni propositi per cambiare le cose. Ci vogliono gli esempi. Come diceva il presidente Sandro PertiniI giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo.” (Messaggio agli italiani, 1978). È un po’ che non si vedono.