L’Europa e il destino di Gaza
Per Natanyahu, la soluzione del problema coincide con lo sterminio del popolo di Gaza e lui non è il solo a pensarla così

Israele, presidente Netanyahu
Il mio ultimo articolo su Gaza è di oltre un anno fa. Fui duramente criticato dai miei amici ebrei per quell’articolo, perché, a loro dire, accusava la “furia sterminatrice” di Netanyahu, ma non i terroristi di Hamas, responsabili dell’attacco del 7 ottobre 2023 condotto simultaneamente e in più luoghi contro Israele, provocando più di 1500 morti e migliaia di feriti, oltre al sequestro di 240 ostaggi che, in gran parte, sono ancora oggi nelle mani dei terroristi.
Ovviamente non era così, ma il dolore, la rabbia e il senso di angoscia per il proditorio attacco di Hamas, mi faceva giustificare la loro critica. Il tempo, però, mi ha purtroppo dato ragione. Per quanto grave e inaccettabile sia stato l’attacco terroristico di Hamas, esso non è minimamente paragonabile alla spietata violenza scatenata dal Governo israeliano contro anziani, donne e bambini, innocenti. Una violenza che ha spinto molti intellettuali ebrei a condannare l’azione del proprio Governo.
Il destino del popolo di Gaza
Nel mio articolo richiamavo il famoso “ne resterà solo uno” del film Highlander e, ahimè, non sbagliavo, perché è evidente che per Natanyahu, la soluzione del problema coincide con lo sterminio del popolo di Gaza. Ma leggendo le dichiarazioni dei rappresentanti dell’ala “sionista” di Israele si capisce che Netanyahu non è il solo a pensarla così. Fare piazza pulita dei palestinesi a Gaza sembra l’opzione più gettonata, insieme a folli ipotesi di deportazione di massa verso la Libia.
Tutto questo nel sostanziale silenzio dei media, che si limitano ad informare delle azioni di guerra dell’esercito israeliano, come se si trattasse di operazioni di ordinaria amministrazione. In effetti, di ordinaria amministrazione si tratta, perché è da decenni che il popolo di Gaza è privato di tutti i diritti: non ha il diritto di avere una patria, né di uscire dal campo di concentramento a cielo aperto nel quale è ormai rinchiuso, non ha il diritto di lavorare, di curarsi o di mangiare.
Infine, non ha nemmeno diritto alla pietà, rappresentata dagli aiuti umanitari che Israele cerca di bloccare e boicottare in ogni modo. Quel popolo che non ha diritto di sopravvivere, perché tra di loro si nascondono i terroristi e per combattere i terroristi, va buttato il bambino (per la precisione migliaia di bambini innocenti) insieme all’acqua sporca.
Terrorismo, reazione e obiettivi reali
Il terrorismo è sempre ingiustificabile. Ma questa parola individua azioni tra loro molto diverse, che vanno (mi scuso per l’eccessiva semplificazione) dall’attentato dei GAP a via Rasella durante l’occupazione nazista, fino all’attacco dell’11 settembre alle torri gemelle di New York. Quando il nemico è soverchiante e l’isolamento è totale e la disperazione prende il sopravvento, l’opzione terroristica può apparire come l’unica strada praticabile.
Ma va aggiunta un’altra considerazione: la definizione generica di terrorismo, secondo l’enciclopedia Treccani, seppure con diverse sfaccettature nella descrizione di dettaglio è: “L’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività”. Pensate che il popolo di Gaza non viva nel terrore? La reazione di Israele all’attacco di Hamas è apparsa, nell’immediato, se non condivisibile, quantomeno comprensibile.
Ma la reazione ha un senso se è proporzionata e se, al netto degli “effetti collaterali”, inevitabili nella gran parte delle operazioni militari, punta a colpire il vero nemico, in questo caso i terroristi di Hamas. Ma l’obiettivo di Netanyahu sembra essere un altro.
Il rischio di isolamento di Israele
Il Governo di Israele ha deciso di punire un intero popolo di innocenti, superando tutti i limiti “accettabili” alienandosi così, in modo forse irreversibile, la solidarietà di chi, come me, è sempre stato dalla parte del popolo ebraico. Israele sembra essersi dimenticato di essere la patria del popolo che i nazisti hanno cercato di sterminare, partendo proprio da vecchi, donne e bambini. Lo stesso metodo applicato sostanzialmente oggi al popolo di Gaza.
Ma l’isolamento internazionale di Israele deve essere evitato, non solo perché Israele è occidente e non solo perché è anche un po’ Europa, ma perché, volenti o nolenti, esso è, in qualche modo e soprattutto dopo il “disimpegno” degli USA, l’avamposto occidentale per arginare l’espansione dello Stato islamico. Per questo sarebbe essenziale un forte impegno dell’U.E. per la pace in medio oriente e per la definizione di una nuova strategia che punti ad avere in quella regione “due popoli e due Stati”.
L’U.E. disattenta
Ma l’Unione europea, al di là delle generiche affermazioni di principio, si è finora voltata dall’altra parte, lasciando Netanyahu libero di agire, per raggiungere l’obiettivo di controllare Gaza, ma fingendo di non accorgersi che il vero obiettivo sia quello di eliminare definitivamente da quei territori i suoi legittimi abitanti palestinesi. Il presupposto perfetto per consolidare l’instabilità della regione a tempo indeterminato.
I colpi sparati dall’esercito israeliano nei pressi del Campo Profughi di Jenin, dove si era recata in visita una delegazione di diplomatici europei, ha fatto però saltare il tappo della disattenzione europea e tutti i governi dell’Unione stanno convocando gli ambasciatori israeliani per avere “chiarimenti” su quella che è apparsa a molti come una forma di intimidazione e che, comunque, dimostra quanto Israele si senta autorizzato a fare comunque ed ovunque il proprio comodo.
I bambini, le donne, gli anziani e tutti gli innocenti di Gaza possono morire, con le armi, la fame e la negazione delle basilari cure sanitarie, ma che si spari dove ci sono i nostri diplomatici è inaccettabile! La sacralità della funzione diplomatica non può e non deve essere messa in discussione, ma quante volte sono stati convocati gli ambasciatori israeliani per rendere conto dell’indiscriminato sterminio in atto a Gaza? Qualche lettore mi ha garbatamente rimproverato per aver definito “farisei” i governanti europei nel mio ultimo articolo sulla guerra Russo-Ucraina, ma questa vicenda dimostra in modo inequivocabile che siamo decisamente davanti a autentici “sepolcri imbiancati”.