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Le sardine in tre parole: dilazione, illusione & manipolazione

I 5 Stelle si stanno sgretolando e serve una nuova suggestione collettiva. Per sedurre quelli che sognano le rivoluzioni facili e indolori

No: liquidare le sardine al colpo d’occhio non basta. Le cose, come avviene quasi sempre nelle operazioni mediatiche che tirano acqua al mulino del modello dominante, sono più complesse di quel che sembra. E quindi bisogna impegnarsi a capirle in profondità, invece di cedere alla solita tentazione di azzerare il problema con una reazione epidermica e immediata: una risata, uno sberleffo, un insulto.

Cominciamo proprio da qui, allora. Dal fatto che il fenomeno ci viene presentato come un qualcosa di totalmente spontaneo. In modo da suscitare un doppio effetto, tanto diverso in superficie quanto funzionale ai medesimi scopi: i simpatizzanti si beano di questa fintissima riappropriazione della democrazia, a scapito dei sempre più insopportabili politici di professione; gli oppositori osservano la scombinata accozzaglia di creduloni e concludono che non c’è da preoccuparsene, per manifesta mancanza di un progetto preciso.

Benché opposte nei loro esiti evidenti, queste due reazioni sono accomunate dallo stesso inganno. Che è quello di occultarne le vere finalità.

In apparenza, si tratta di una poderosa richiesta di rigenerazione morale, prima ancora che politica: dopo tante diatribe incomprensibili e troppi personalismi capziosi, una nuova stagione all’insegna delle riflessioni accurate, dei toni pacati, dello spirito di collaborazione tra tutti i cittadini. Così da arrivare a una convivenza più armoniosa e costruttiva.

In realtà – e ci sarà modo di verificarlo già nei prossimi mesi, o tutt’al più nei prossimi anni – è una semplificazione sballata e quanto mai insidiosa. Che mira a nascondere l’effettiva natura dei guasti che ci affliggono e che ci hanno portati al degrado odierno: gli squilibri economici che non hanno nulla di accidentale e che vanno a tutto vantaggio dei ricchi e super ricchi.

Una semplificazione pericolosissima. Consapevole e cinica da parte di chi la cavalca, quand’anche non ne sia stato fin dall’inizio il vero artefice. Rozza e colpevole da parte di chi la asseconda precipitandosi a  scendere in piazza a ogni chiamata a raccolta da parte dei simpatici leader delle sardine: estasiato dall’idea di essere tornato di colpo protagonista, quando invece è nulla di più di una comparsa in una scena di massa. All’interno di un copione che si snoda – che continua a snodarsi – lungo tre direttrici che non sorgono certo adesso. Ma che rientrano in una strategia di lungo o lunghissimo periodo.

Sardine. Felici e confuse

Le tre direttrici, e le tre parole chiave, sono queste: dilazione, illusione e manipolazione.

Dilazione: rinviare all’infinito la resa dei conti sui veri vizi del sistema in cui viviamo. Invece di andare al cuore dell’infezione, che sta nella smania di arricchimento materiale e nel relativo consumismo, si riducono i disastri in corso a dei malfunzionamenti che si possono superare con qualche correttivo qua e là.

Illusione: far credere che le classi dirigenti di questo stesso sistema siano disposte a farsi da parte senza opporre la più strenua resistenza, cedendo invece di buon grado a una mobilitazione di piazza “spontanea” e quasi festosa.

Manipolazione: rimuovere, tacciandola di ottusità e di violenza, qualunque idea che si discosti in maniera sostanziale dal Pensiero unico del liberismo globalizzato. Negli ultimi tempi questa demonizzazione si è riversata nella mitologia del cosiddetto “odio”. Secondo la quale il problema decisivo della politica sarebbero i toni accesi e sloganistici dei populisti/sovranisti, anziché lo strapotere del denaro e di chi domina l’alta finanza internazionale.

Guarda caso, nel comunicato diffuso dopo la manifestazione di sabato scorso a San Giovanni (e riportato sulla pagina Facebook di 6000sardine) il quinto punto verte proprio su questo: “Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica”.

Ma cosa si deve intendere, per violenza?

In passato era semplice: la violenza era fisica, e quindi non potevano esserci dubbi. O ce ne erano molti meno. Se usi la forza per costringere qualcuno a fare o a dire ciò che non vuole, lo stai sopraffacendo. E ti meriti di essere sanzionato.

Una volta che il concetto si espanda, e lo si estenda al linguaggio, la strumentalizzazione può scattare in qualsiasi momento.

Per esempio: se si ritiene che gli speculatori di Borsa alla Gordon Gekko (il protagonista di “Wall Street”) siano dei pericolosi sociopatici e li si addita come tali, auspicando che vengano perseguiti penalmente, si tratta di intollerabile violenza o di legittima avversione?

È su questo, che bisogna ragionare. Cominciando, in via preliminare, a squarciare i veli dell’ipocrisia generale: a essere violenta, nei suoi meccanismi economici e sociali, è la società attuale. Questa violenza è al servizio di potentati che esistono e che agiscono per il proprio tornaconto, ovvero contro gli interessi del resto della popolazione. Con l’aggravante di farlo nascondendosi dietro la finzione di una democrazia di facciata.

Per le sardine, al contrario, la questione non si pone. Proprio sull’aspetto decisivo non hanno niente da dire. Da eccepire. Da rivendicare.

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