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La quarantena insegna: cani reclusi a vita, ma le alternative al canile esistono

La buona notizia è che la legge ha stabilito alternative concrete alle gabbie

Da ormai più di 40 giorni gli italiani sono chiusi nelle loro case: barricati per protezione, reclusi per scelta. Sappiamo che l’esperienza amplifica l’empatia, e così in questi giorni di comoda clausura, assistiamo alla diffusione di articoli che ci mostrano immagini strazianti: elefanti che sbattono la testa contro il muro degli zoo, tigri che girano in tondo, cani dei musi tristissimi che non possono neanche fare una corsetta nella loro angusta gabbia, e che spesso finiscono per procurarsi ferite mordendosi per lo stress. Queste testimonianze ci invitano a domandarci come si possa condannare animali sani e vitali nelle gabbie per tutta la vita. Affrontiamo la questione dei canili e delle loro alternative. Perché la buona notizia è che la legge ne ha stabilite alcune.

A cosa servono i canili?

I canili, nel tipo di civiltà e di organizzazione urbana che abbiamo costruito, servono ad evitare che i cani si radunino in branchi assumendo atteggiamenti di gruppo che possono essere pericolosi per gli uomini, e per evitare che, riproducendosi diventino troppo numerosi nelle città. Ma questo può essere evitato, almeno in quei comuni che non sono grandi città. Esistono alternative intelligenti e civili ai canili? È possibile ridurre la sofferenza di questi animali senza che diventino una piaga igienica?
Il superamento delle gabbie può essere realizzato attraverso i cani di quartiere: precisamente la figura del “cane libero accudito”.
Prevista da alcune leggi regionali di attuazione della Legge Quadro n. 281/91 e dalla Circolare n. 5 del 14 maggio 2001 del Ministero della Sanità, può essere istituita dal sindaco, primo responsabile del benessere di tutti gli animali presenti sul territorio comunale (art.3 Dpr 31 marzo ’79).

Mettiamo ad esempio che venga ritrovato un cane, cosa si dovrà fare?

il cane deve essere condotto al canile sanitario dove deve essere dichiarato sano, poi deve essere vaccinato contro le malattie più comuni, sterilizzato, e microchippato e iscritto all'anagrafe canina del Comune di appartenenza. Un volontario dovrà essere scelto per occuparsi dell'alimentazione, igiene e assistenza sanitaria.  Una volta compiuto questo iter l’animale può tornare libero nel quartiere di provenienza, affidato alle cure del nominato tutore. Una soluzione che garantisce ai cani una vita dignitosa e un notevole risparmio economico per la collettività, rispetto alla detenzione a vita dei randagi nei canili. Secondo l'Oipa, Associazione Nazionale Protezione Animali, il passo da fare in questa direzione è che i volontari di ogni Comune si rivolgano al sindaco per chiedere di riconoscere un certo numero di cani di quartiere, disponendo che una persona se ne occupi come tutore. Pensate che sia complicato? È molto più costoso e complesso gestire gli esemplari nei canili, che devono essere puliti, ristrutturati, adempiere a norme di sicurezza, e ogni cane deve essere portato fuori al guinzaglio dai volontari…
Questo esperimento di civile convivenza, del cane di quartiere, è riuscito in Puglia e nel Comune di Vittoria, in provincia di Ragusa, in Sicilia, grazie al progetto “Macchia”.

Nel Lazio, il Comune di Rocca Massima, in provincia di Latina, ha disposto con tanto di Regolamento “l’istituzione del cane di quartiere”, ossia la possibilità di riconoscere la presenza di cani liberi e quindi appartenenti “a tutti”, nel rispetto del relativo benessere e della sicurezza pubblica. Forse vale davvero la pena direzionale le energie che vengono spese per aumentare le adozioni, in questo diverso modo di rispondere al randagismo, che ricordiamo, è un problema dell'uomo moderno, non del cane. Gli esperti in comportamento canino ci spiegano anche che questo sarebbe un fattore di argine ai comportamenti aggressivi, che il cane sviluppa maggiormente in cattività e quando non è abituato alla socializzazione con tutte le tipologie umane e con i suoi simili.

La maggior parte dei centri abitati nel nostro paese non è costituito da grandi città ma da piccoli comuni dove questo sistema può essere attuato facilmente in ristrette comunità; se questo venisse attuato in ogni paese per 4-5 cani, avremmo canili meno sovraffollati e migliaia di cani che vivono con rispetto insieme a noi umani, con immensi benefici anche per il nostro rapporto con gli animali e la natura.

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