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La fattoria degli animali, George Orwell‏

Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi

George Orwell è lo pseudonimo dello scrittore inglese Eric Arthur Blair che tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 scrive “Animal Farm”.

Per introdurre questo libro, riporto una citazione del tutto rappresentativa, del medesimo autore, tratta dalla prefazione del libro, inerente alla libertà di stampa: “Se libertà vuol dire veramente qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuol sentire”.

Orwell non è mai stato, lo si ricorderà, comunista. Dall’inizio degli anni Trenta in poi è socialista, nel senso che non gli piace e critica la società capitalista e individualista. E’ l’andare a combattere in Spagna contro i fascisti e in difesa della Repubblica, che lo trasforma in uno scrittore socialista di solidi principi, anche se scomodo. “Scomodo” poiché si è sempre preso la libertà di dire ai suoi compagni socialisti “quello che la gente non vuol sentire”.

“La fattoria degli animali” è un racconto in chiave farsesca della riuscita iniziale, del graduale tradimento e del fallimento finale della rivoluzione sovietica; che dà una visione generale della libertà di scrivere. Era ovvio che all’epoca in cui venne scritto ci sarebbero state diverse difficoltà a farlo pubblicare. Per le evidenti allusioni critiche al regime sovietico e allo stalinismo – allora l’URSS era alleata dell’Inghilterra contro il nazismo – molti editori non accettano il romanzo, che viene pubblicato soltanto a guerra finita.

Nella parodia Orwelliana gli animali di una fattoria, maltrattati e umiliati vengono incitati dal Vecchio Maggiore, un anziano maiale, a mettere in atto una ribellione affinchè la fattoria si trasformi in una società utopica nonché giusta, senza sfruttati né sfruttatori. La “Fattoria Padronale” diviene, dopo la sconfitta degli uomini, la “Fattoria degli animali”. Ma ben presto cominciano a venir fuori le differenze di “classe”. Emerge una nuova classe di burocrati formata dai maiali, gli animali più astuti, che con il loro egoismo cominciano a sfruttare gli animali più docili e semplici d’animo, tenendo per sé comodità e risorse e lasciando loro solo le briciole e il duro lavoro. Questi maiali accecati dal potere convincono tutti gli altri che il loro operato è per il bene comune, manipolando il pensiero delle masse. Il potere dunque passa nettamente nelle mani di un’unica specie, corrompe tutti e diventa il nodo centrale del romanzo. Sotto l’oppressione di Napoleone, il grosso maiale nel quale affluiscono tutti i meriti e le onorificenze della società (trasfigurazione satirica che Orwell fa di Stalin), tutti gli altri animali finiscono per conoscere gli stessi maltrattamenti e le stesse privazioni di prima. Quella che era diventata la “Fattoria degli animali” dopo la ribellione, torna ad essere la “Fattoria Padronale”.

Questo romanzo è uno specchio animalesco della società e della natura umana che inevitabilmente, porta ogni cosa a degenerare verso l'estremo e verso il male per la sete di ricchezza e di potere.

E’ evidente la sfiducia di Orwell nelle possibilità di riscatto sociale dell’uomo e nelle sue capacità di superare la propria indole di sopraffazione dei propri simili, ritenendo vana l’aspirazione a una società migliore.

Incredibilmente allegorica è la condizione degli animali a fine libro: i maiali dormono nei letti, bevono alcool, uccidono altri animali per i propri interessi e imparano addirittura a camminare su due zampe, come gli uomini: “Non c’era più alcun dubbio su ciò che era successo alla faccia dei maiali. Dall’esterno le creature volgevano lo sguardo dal maiale all’uomo, e dall’uomo al maiale, e ancora dal maiale all’uomo: ma era già impossibile distinguere l’uno dall’altro”.

In una lettera a Orwell, T.S. Eliot spiega le ragioni del rifiuto da parte di una casa editrice di pubblicare il suo libro e scrive: “Quindi, qualcuno potrebbe dire che ciò che occorreva non era più comunismo, ma maiali che avessero maggiormente a cuore il pubblico interesse”.

Un libro che consiglio vivamente a tutti coloro che non lo hanno ancora letto perché nonostante la distanza di decenni da quando è stato scritto, di altro non parla che della nostra realtà sociale, dando consapevolezza della disinformazione e della schiavitù occulta esercitata da coloro che detengono il potere. L’allegoria rammaricante, man mano che si palesa, verrà a dirvi che di tutta questa storia niente è da immaginare, tutto è quello che stiamo vivendo.

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