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La dura lezione della resistenza: le difficoltà di ieri, oggi e domani

In tempi difficili come questi, il Coronavirus ci impone di riscoprire la bella e complessa qualità della resistenza

leonida, re spartano, nel film "300" di Z. Snyder

Leonida, nel film "300" di Z. Snyder


Riflettendo sulle avversità del presente, appare cruciale interrogarsi su una virtù come quella della resistenza. Soprattutto in tempi difficili come questi, in cui il Coronavirus ci impone di riscoprire questa bella e complessa qualità. In Italia, questo concetto fondamentale appare incarnato da una generazione di giovani che, circa ottant’anni fa, scrissero una pagina memorabile della nostra storia, quella della Resistenza al nazi-fascismo, appunto.

Questa grande pagina, qualche volta attaccata da un revisionismo storico volgare e metodologicamente inadeguato, coincide con la fondazione dell’Italia repubblicana e con la cultura pubblica più alta del nostro essere storico di italiani. Da quell’atmosfera nacque anche una cultura nuova e fu, di nuovo, una grande pagina di storia.

Benedetto Croce, Antonio Gramsci e Piero Gobetti. Cesare Pavese, Italo Calvino, Giulio Einaudi e Natalia Ginzburg. Guido Calogero e Norberto Bobbio, Carlo Levi e Vittorio Foa. Non solo, essi sarebbero impensabili senza quel clima di tensione, di volontà di alzare la testa rispetto al totalitarismo nazi-fascista e a quel trionfo della morte, che esso rappresentava. Ma incarnarono quell’atmosfera spirituale, le diedero forza, vigore, spessore spirituale.  

Dal collettivo all’individuale

Tuttavia, senza voler offendere nessuna memoria, è possibile dire che, sul puro piano dell’espressione artistica e culturale, il Novecento, pur così carico di drammi, abbia raggiunto vette di cultura ancora più alte. Laddove, ad esempio, il concetto di resistenza, da fatto collettivo, è diventato anche individuale. 

In quel breviario della coscienza europea contemporanea, che sono i saggi di Elias Canetti (1905-1994), volume intitolato “La coscienza delle parole” (1976, ed. it. Adelphi) – e riproposto anche, in forma abbreviata, con il titolo “Potere e sopravvivenza” – due scritti, memorabili, sono dedicati a Karl Kraus. Legittimamente il lettore italiano può essere tentato di interrogarsi su chi fosse Kraus.

Noto come scrittore di aforismi e polemista, il lettore non di lingua tedesca tende ad ignorare cosa fu, realmente, questo monstrum della letteratura mitteleuropea di primo Novecento. I saggi di Canetti, insieme al secondo volume dell’autobiografia, ci introducono nel mondo del grande polemista. Ma il discorso su Kraus, nello specifico, ci porterebbe troppo lontano dal tema della resistenza.

Ciò che interessa a noi, è il titolo del primo saggio canettiano su Kraus. Esso suona: “Karl Kraus, scuola di resistenza”. E in effetti, Canetti in questo scritto racconta di quanto sia difficile l’esperienza diretta con un tiranno dello spirito come Kraus. Si tratta della storia di una liberazione, ma anche del senso infinito di gratitudine verso un maestro che ci ha insegnato tutto.

Non a caso, l’attacco del saggio precedente, intitolato “Potere e sopravvivenza”, è bruciante e puntuale come solo Elias Canetti sapeva essere. “Schivare il concreto è uno dei fenomeni più inquietanti della storia dello spirito umano”, suonano le parole del grande scrittore. Ed eccola qui la grande lezione di resistenza. Cosa sono, in fondo, i no-vax e i complottisti di oggi, se non degli esseri terrorizzati da ciò che gli uomini sanno fin dall’inizio dei tempi? Ossia, che le malattie, il dolore, le epidemie, la morte, esistono realmente? Che non c’è niente di più reale?

Dall’individuale alla storia

Per chi ama frequentare i “mondi della storia“, avrebbe detto Giorgio Colli, capita spesso di avere esclamazioni di giubilo e di meraviglia, corrispondenti circa all’espressione: ‘che uomini erano quelli…!’. Ciò soprattutto venendo dalla melassa appiccicosa della civiltà dei consumi. Non solo di fronte allo spettacolo, è il caso di dirlo, offerto dai titani del primo pensiero moderno, come Descartes, Spinoza, Leibniz, Pascal.

Dalle loro vite, oltreché dal loro pensiero. Di cui, un bravo storico della filosofia moderna, come l’americano Steven Nadler, ha la capacità di fornirci illuminazioni, senza semplificare troppo a buon mercato. Del resto, si può prendere spunto anche dall’industria culturale odierna. Per, poi, provare a superarla. È il caso di un film come “300” di Zack Snyder, del 2007. Ispirato da un genio del fumetto come Frank Miller, che ne fece una graphic novel nel 1998, anch’essa tradotta in italiano.

Siamo in direzione di Erodoto, il padre della storia, nato ad Alicarnasso nel V secolo a. C., che raccontò nella sua opera le Guerre Persiane, e in particolare lo scontro delle Termopili del 480 a. C., di cui parla anche il film di Snyder. Alle Termopili, il re spartano Leonida, con trecento Spartiati, provò a fermare l’attacco del re persiano Serse alla Grecia. Senza riuscirvi, per un tradimento, poiché anche di questo è fatta la vita, ma dando una lezione di spirito di libertà spinto fino all’estremo sacrificio.

Non solo alla cultura greca successiva, ma all’intera Europa e all’Occidente complessivamente considerato. Ecco, quando per un qualche motivo sentiamo di non farcela, possiamo ricordare la vicenda delle Termopili e l’epitaffio attribuito a Simonide di Ceo: “Straniero, vai ad annunciare a Sparta che noi giacciamo qui, in obbedienza alle sue leggi”… 

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