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L’idiota, Fëdor Dostoevskij

Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi

Questo sabato vi consiglio uno dei massimi capolavori della letteratura russa: L’idiota di Fëdor Dostoevskij.

Affinchè un articolo gli renda giustizia, un romanzo come questo necessiterebbe dell’attenta analisi dei più grandi scrittori, dal mio canto mi limiterò a non snaturare il significato del consiglio.

Se già non lo avete fatto, è fondamentale che vi andiate a leggere qualcosa sulla vita di Dostoevskij non solo per sfatare il pregiudizio di non farsi influenzare dalla vita di un autore nello scegliere un libro, in modo da godersi la storia in maniera più “incondizionata” possibile, ma perché in questo caso parliamo di uno dei più grandi scrittori e pensatori di tutti i tempi.

In una lettera del 1867 allo scrittore Apollon Nikolaevič Majkov, Dostoevskij descrisse l’anima poetica del romanzo a cui stava lavorando: «Da tempo mi tormentava un’idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un’idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest’idea è raffigurare un uomo assolutamente buono. Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d’oggi soprattutto».

L'aggettivo “buono” usato nella lettera, nell'originale russo è “prekrasnyi” ossia lo splendore della bellezza: tema centrale dell’opera che s’incarna nella figura dell’idiota, il principe Myskin.

Ho scelto questa foto perché configura un uomo comune e al contempo un angelo, quel messaggero spedito nel mondo da Dostoevkkij, destinato a fare della propria personalità l’uso più elevato, per esaudire la felicità consegnando il proprio “io” senza riserve a tutti.
Immagine che si presta ad anticipare il principe Myskin, un uomo semplice, spiritualmente superiore, generoso d’animo, una persona di cui ci si può fidare.

Myskin dopo essersi fatto curare da un male in Svizzera, fa ritorno in Russia e cerca contatti con persone che ritiene possano essere suoi familiari; di qui si introduce un sistema ruotante di personaggi attorno alla figura del principe, i quali riflettono una società pietroburghese povera di valori e di ideali.

Principalmente due donne si intrecciano in qualche modo alla vita e all’amore del principe: la giovane e bella Aglaja, figlia di un Generale; e soprattutto l’attraente Nastasja Filìpovna, quella donna con la quale tutti vorrebbero relazionarsi almeno per un pò.

Sia l’ingenua figura del principe che i modi affettati dei personaggi della nobiltà russa, vengono analizzati psicologicamente e fino ad esprimere la profondità della loro anima, attraverso una precisa analisi.

Tre giudizi col pollice in giù: l’intreccio di vicende del romanzo è un po’ troppo lungo e seppure i vasti argomenti sui quali riflette (la politica, il suicidio…) siano affrontanti straordinariamente, è eccessivamente ingarbugliato e la storia è inverosimile.

Denomino quest’opera una sfida, verso quelle realtà materialiste che sono sempre esistite, che non hanno tempo e luogo, se non la vita di quelle persone che iniziando a leggere questo libro crederanno che il principe Myskin sia il più saggio di tutti, e andando avanti si ricrederanno considerandolo un idiota, esattamente come hanno fatto i restanti protagonisti, a mio avviso i veri idioti, in senso letterario, del romanzo.

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