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Intervista a Pietro Paganini, docente in Business Administration su Decreto Rilancio

Intervista a Pietro Paganini: Il Decreto Rilancio ricorda una legge di bilancio in cui ogni gruppo di pressione cerca di drenare risorse al proprio settore

Pietro Paganini

Pietro Paganini

Intervista a Pietro Paganini, Professore Aggiunto in Business Administration alla Temple University di Philadelphia e alla John Cabot University di Roma.

Finalmente è giunto in aula il Decreto Rilancio. Era previsto per Aprile. La lunga gestazione porterà i risultati?

Solo timidamente. Questo Decreto è la metafora di un paese che non sa e non può pianificare la propria crescita. Si continua ad improvvisare. Anche in un contesto di emergenza, vedi la Germania o i paesi del Nord, si deve pianificare con dei piani di contingenza. Doveva essere un Decreto per intervenire immediatamente sull’emergenza di Aprile. Sarebbero bastati tre punti in una mezza pagina: reddito di cittadinanza per 6 mesi, via le tasse alle imprese, e investimenti nelle situazioni di maggiore emergenza, cioè sanità e scuola. Ha capito bene, la scuola, e le attività per le nuove generazioni, le vere vittime silenziose di questa pandemia. Saranno loro a pagare il prezzo più alto. 

Ma un piano di rilancio serve?

Si, ma prima si doveva intervenire sull’emergenza, dando certezze e stabilità ai cittadini e il paese. e solo successivamente, elaborare un piano di rilancio. La crisi del nostro paese è economica e sociale, e forse anche culturale. Viene da molto lontano. Il covid-19 l’ha solo accentuata e accelerata drammaticamente. Occorre quindi un piano di più lungo termine che si sorregga su una visione del futuro. Il Primo Ministro Conte ricorda altri predecessori. Esce con frasi ad effetto, tipo “dobbiamo ricostruire il paese”, ma poi agisce con politiche da comare dei cortili di provincia. 

Perché non le piace il DL Rilancio?

É un documento omnibus, ricorda una legge di bilancio in cui ogni Ministero e gruppo di pressione (legittimo) si è inventato la sua per cercare di drenare risorse al proprio settore. Politiche estemporanee. Non nasce sotto una visione e degli obiettivi di lungo termine.  O meglio, la linea del governo resta sempre la stessa: alimentare i consumi, ignorando la produttività. Questa è una conseguenza dei consumi. Ma non è così. Gli italiani, numeri alla mano, sono gran risparmiatori. Non siamo dinamici come gli americani. Non spendiamo e non investiamo. 

Gli Eco Bonus però sono un’opportunità, che guarda anche alla sostenibilità

Gli Eco Bonus sono la dimostrazione di quello che sostengo. Di per se non sono sbagliati, almeno quelli sulla casa. Ma quelli sulle bici e i monopattini sono scellerati. Partiamo dal fatto che se si crede che siano i consumi ad animare la produttività e la crescita, si deve allora investire lì tutto: bonus a chiunque ristrutturi, non solo alcune opere. E poi c’è il fattore che io definisco culturale. Questo decreto è scritto, come spesso capita, in modo incomprensibile, secondo l’idea che si deve dare ma ad una serie di condizioni talmente complicate che o i cittadini declinano perché confusi o esclusi, o trovano l’inganno per aggirare le norme. È paradossale che la mattina dopo il varo da parte del Governo del Decreto due Ministri e il leader del PD chiedevano un Decreto semplificazione.

E poi c’è la questione delle coperture, che ancora non sono chiare. 

Si ma arriveranno. Su questo credo che il Governo abbia fatto quando nelle sue possibilità e nei suoi limiti, che mi spiace sottolinearlo, sono tanti. La debolezza dell’Italia in Europa non è da imputare a questo Governo ma nemmeno ai così detti sovranisti. Questi sono una reazione all’europeismo miope delle elite che hanno martoriato l’Europa con politiche disattente ai cittadini. 

Tipo il MES

Il MES è l’esempio di queste politiche. Io non sono contrario al MES di per se. Chi garantisce risorse è sempre benvenuto. Ma prima di accettare si devono guardare le condizioni e capire la controparte. Il MES è una banca dell’Eurogruppo (19 paesi aderenti all’Euro) non della UE (27 paesi); non essendo della UE, ha un proprio Trattato costitutivo e proprie regole interne. Qui c’è evidente – e i Pro MES evitano l’argomento – il rischio reale corso dai paesi che prendono soldi dal MES. E cioè che per il Trattato (e per le regole interne) le condizioni dei prestiti e il loro controllo vengono supervisionati dal trio Commissione UE,  Fondo Monetario e  BCE – alias la Troika; il MES non dipende dal Parlamento UE e quindi dai cittadini. 

Quindi meglio evitare

Meglio evitare di ricevere risorse da un istituto che non risponde al diritto europeo ma internazionale. Ma se vogliamo insistere come fanno i Pro MES e mi sfugge la ragione. Meglio allora negoziare, e proporre come condizione, l’esclusione della Troika dal prestito. Non è una proposta sovranista; al contrario tiene in considerazione i cittadini. 

Pietro Paganini. Presidente e Curiosity Officer a Competere.eu – Policy for Sustainable Development, think-tank di studi economici e sociali per politiche innovazione e sostenibilità. È stato fondatore dell’Istituto Italiano per la Privacy e direttore generale della Fondazione Einaudi.

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