Il nuovo Papa è l’americano Robert Francis Prevort, si chiamerà Leone XIV
«Ancora conserviamo nelle nostre orecchie la voce di papa Francesco» ha detto il nuovo Pontefice

Il nuovo Papa Leone XIV
«La pace sia con tutti voi». La voce è ferma, vibrante, attraversata da una compostezza che lascia trasparire emozione autentica. È la prima parola da Papa di Robert Francis Prevost, da oggi Leone XIV, il 267º successore di Pietro. Una frase che non è solo liturgia, ma un’intenzione programmatica: indicare fin dall’inizio la via della pace come asse portante del suo pontificato. Nessuna retorica, nessuna posa. Solo una presenza sobria, determinata, quasi disarmante nella sua umiltà. Una cifra stilistica che ha già il sapore di un’eredità raccolta con consapevolezza, ma anche con un tono personale, nuovo, che promette un cammino originale.
Un Papa venuto da lontano
Nato a Chicago, 69 anni, Robert Francis Prevost è il primo pontefice statunitense nella storia della Chiesa. Ma etichettarlo come “americano” sarebbe, forse, riduttivo. Chi lo conosce lo descrive come il meno “statunitense” tra i cardinali a stelle e strisce. Non per rinnegare le proprie radici, ma per il modo in cui ha saputo abitare culture diverse. Missionario in Perù per anni, priore generale degli Agostiniani dal 2001 al 2013, vescovo di Chiclayo, poi chiamato a Roma come prefetto del Dicastero per i Vescovi, Leone XIV è una figura ecclesiale transnazionale, attraversata da esperienze che parlano le lingue del mondo.
La sua formazione agostiniana si riflette nella sua visione teologica: centrata sull’interiorità, ma proiettata costantemente verso la comunità. Uomo di ascolto, ha sviluppato una rara capacità di mediazione tra istanze differenti: qualità decisiva in una Chiesa che attraversa tensioni, polarizzazioni, slanci riformatori e resistenze. Il collegio cardinalizio ha visto in lui il volto possibile di una sintesi: fedele al magistero di Francesco, ma con un tocco pastorale più sobrio, meno carismatico, forse, ma altrettanto solido.
Continuità e passaggio di testimone
Nel suo primo discorso, Leone XIV ha pronunciato parole che echeggiano quelle di Papa Francesco: l’accenno alla pace “disarmata, disarmante”, l’invito a “costruire ponti”, la visione di una Chiesa “missionaria”, aperta, presente nelle periferie dell’esistenza. E soprattutto l’idea, potente, di un Dio che ama “incondizionatamente”, senza barriere dottrinali o geografiche. In queste frasi si legge una linea che non si interrompe, ma evolve.
«Ancora conserviamo nelle nostre orecchie la voce di papa Francesco» ha detto. Non è un passaggio neutro, ma la volontà esplicita di ancorarsi a un’eredità per continuarla, non per archiviarla. In ciò, Leone XIV appare come figura-ponte: non un riformatore di rottura, ma un interprete della transizione. C’è nelle sue parole un’eco di Francesco, ma anche un timbro personale, come nel passaggio – affatto scontato – in cui ha ricordato di essere un “figlio di sant’Agostino”: con voi cristiano, per voi vescovo.
Il volto sociale della fede
Leone XIV arriva al soglio pontificio in un tempo in cui la Chiesa è chiamata non solo a riformare sé stessa, ma a ritrovare un linguaggio credibile nel mondo contemporaneo. Le sue esperienze latinoamericane, il lavoro in curia, l’approccio alla collegialità episcopale sono tutti tasselli di una visione ecclesiale in cui il Vangelo non è solo annuncio, ma testimonianza concreta.
Lo si è avvertito nel tono con cui ha parlato dei “sofferenti”, dei “ponti da costruire”, della necessità di “lavorare con uomini e donne, fedeli a Gesù Cristo”. Nessuna distinzione tra clero e laici, tra centro e periferia. Leone XIV ha usato parole che hanno il sapore della condivisione, non della superiorità. La sua è una spiritualità incarnata, profondamente radicata nella storia e nelle piaghe dell’umanità. Non ideologica, ma concreta. Non divisiva, ma inclusiva.
Una Chiesa in ascolto
Colpisce la scelta di chiudere il suo primo affaccio con un’Ave Maria, pronunciata con i fedeli, dopo aver evocato la Madonna di Pompei. Un gesto familiare, popolare, che racconta un’idea di Chiesa vicina alla gente. In mezzo ai grandi dossier che attendono il nuovo Pontefice – dalle riforme istituzionali al tema della sinodalità, dalla gestione degli abusi al ruolo delle donne – Leone XIV sembra voler partire da un ascolto più semplice, quasi elementare: l’incontro con l’altro nella quotidianità.
Un saluto in spagnolo alla sua ex diocesi, Chiclayo, poi di nuovo l’italiano per sottolineare la volontà di “essere una Chiesa vicina a coloro che soffrono”. È questa, forse, la cifra del nuovo Papa: prossimità, concretezza, un passo lento ma deciso. In un’epoca di fratture e identità urlate, Leone XIV non promette miracoli, ma offre una guida capace di camminare insieme, senza rumore, ma con fermezza.
Il mondo ha bisogno di pace, dice. La Chiesa anche. E forse, in questo tempo confuso, bastano poche parole dette con cuore sincero per cambiare la direzione di un cammino.