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Il Governo Meloni, nato nella bufera della crisi economica e della guerra

Il governo della Meloni, che si è dichiarata non ricattabile prima della sua formazione, di fronte ai problemi della nostra crisi, interna a quella europea e mondiale

Foto di gruppo del neonato Governo Meloni

Foto di gruppo del neonato Governo Meloni (© Courtesy quirinale.it)

Il governo della Meloni, che si è dichiarata non ricattabile prima della sua formazione, di fronte ai problemi della nostra crisi, interna a quella europea e mondiale. La guerra in Europa causata dagli interessi contrastanti delle Potenze e la sua funzione di ristrutturazione dell’Economia e della Globalizzazione. L’esito prevedibile delle elezioni di settembre e le lamentazioni impotenti del fu centrosinistra.

Sta lavorando il nuovo governo, presieduto dall’On. Meloni. La sua formazione è stata subito pronta dopo la vittoria elettorale ed ha risolto la crisi di governo che ha portato allo scioglimento delle Camere nel tempo più breve mai visto sinora nella storia dei nostri governi.

Com’era facilmente prevedibile già prima delle votazioni del 25 settembre, la vittoria del centrodestra è stata schiacciante. Soprattutto per l’enorme crescita del partito FdI e la sonora sconfitta/dispersione dei partiti dell’area già gravemente divisa e confusa del sedicente centrosinistra, in primis del PD, diretto da Letta come un battello dal timone rotto in balìa dei marosi.

Così, prevedibili erano anche gli alti lai intonati all’indomani del risultato elettorale dall’area sconfitta, sia da esponenti politici di essa che da deboli intellettuali sostenitori o critici, già orfani, come essi stessi dicono, di una vera linea o idea guida di sinistra. Che peraltro nessuno sa indicare.

Lamenti che hanno preso la forma della più accorata denuncia civile della grave svolta a destra dell’elettorato (che non sa capire i propri interessi) e del potere finito in mano alla destra più estrema, con conseguenze esiziali per il popolo ed il Paese.

Lamentazioni scritte sui maggiori giornali ed esibite in Tv con uno slancio altruistico verso le sorti dei cittadini, strano ed inusuale per un ceto politico avvezzo da decenni a coltivare i propri interessi, costruiti anche con le più bizzarre alchimie di coalizioni e clientelari raccolte di voti, favorite da leggi elettorali varate ad hoc dai governi in carica.

La crisi aggravata dalla guerra che provoca l’impennata dei prezzi delle materie prime, gli extraprofitti delle multinazionali dell’energia e delle banche, la svalutazione del lavoro e l’immiserimento dei ceti sociali privi di qualsiasi difesa.

Tutto ciò è avvenuto nel momento della peggior crisi economica e politica europea e mondiale a seguito del conflitto russo – ucraino, che si svolge nel cuore dell’Europa.

Questo coinvolge in modo diretto o indiretto gli stati europei e non solo, rafforzando o sconvolgendo vecchie e nuove alleanze politiche ed alterando profondamente i rapporti economici tra gli stati stessi, le grandi potenze politico – militari e finanziarie.

Nel passato, guerre combattute lontano dall’Europa come quella in Afghanistan, o addirittura in Vietnam, non avevano ripercussioni così dirette sull’economia planetaria.

Quella arabo – palestinese nel 1973 (l’offensiva del Kippur) ne ebbe in parte, a causa delle decisioni dei paesi arabi dell’Opec, che controllavano il mercato del petrolio.

Oggi è molto peggio, a causa della ragnatela di connessioni dei mercati globali.

La guerra fa mancare quantità enormi di energia, il cui prezzo cresce esponenzialmente; fa mancare anche le materie prime necessarie alla produzione ed addirittura quelle alimentari di base, come il grano.

In conseguenza, salgono i prezzi al consumo e l’inflazione.

Dai dati Istat si ricava che l’indice nazionale dei prezzi al consumo (Nic) in ottobre è salito del 3,5% rispetto a settembre e dell’11,9% su base annua; una cosa simile non si verificava da 40 anni!

Per tutta l’UE si avrà un incremento del 5,8% nel prossimo anno.

La spinta al rialzo deriva evidentemente, oltre che dalle speculazioni di mercato, dal costo dell’energia, cresciuto in Italia del 73,2% quest’anno, per cui il prezzo alla produzione industriale è salito del 41,8%; nel settore alimentare si è avuto il +13,1%.

Parallelamente, il potere d’acquisto delle retribuzioni (salari e stipendi) è diminuito del 6,6% nell’ultimo triennio.

Di contro, sono saliti in maniera esponenziale i profitti delle grandi società dell’energia, favoriti dall’accaparramento da esse operato delle risorse alla fonte e dal rialzo dei tassi di interesse sul costo del denaro attuato dalle banche centrali.

Così, l’Eni ha ricavato utili per 10,8 mld (miliardi!) di euro, il quadruplo rispetto al 2021; le maggiori compagnie petrolifere (Shell, Bp, Chevron, Exxon,..) hanno incassato profitti complessivamente per 175 mld di euro. Anche le Banche centrali come Deutsche Bank e private (ma in stretto rapporto con lo stato) come Unicredit accrescono di molto gli utili, in conseguenza della politica sui tassi suddetta.

Tenendo conto di questo fenomeno, il governo ha annunciato una revisione delle tasse sugli extraprofitti dell’energia, il cui introito potrebbe essere destinato al soccorso della piccola e media imprenditoria, ormai strangolata proprio dall’aumento dei prezzi di energia e materie prime e dalle tasse sulla stessa energia.

La composizione del governo Meloni e le dichiarazioni mostrano una volontà di affrontare i problemi ispirata alla realpolitik, in continuità con il precedente.

Durante il giuramento dinanzi al Capo dello Stato, il Presidente del Consiglio (come lei stessa vuole essere chiamata) Meloni ha promesso di agire nel nome e nell’interesse di tutti i cittadini, di rispettare le libertà garantite dalla Costituzione ed il collocamento del nostro Paese nell’Europa e nell’Alleanza Atlantica.

Con tali dichiarazioni, del tutto diverse da quelle in cui negli anni passati attaccava la politica dell’UE e dei governi italiani, soprattutto di centrosinistra, succubi della (pre)potenza storica degli USA, il governo Meloni si è posto su una linea di continuità con quello uscente di Draghi.

Si è così procurato il parere favorevole della grande stampa e di molti commentatori prima sfavorevoli, che ne hanno elogiato una specie di conversione moderata, indotta dalla considerazione dei gravi problemi che affliggono il nostro Paese.

In effetti, sembra una conversione ad una realpolitik, per cui non si può pretendere di risolvere tutto e subito, ma si debba agire sì con fermezza, ma con gradualità, cercando anche di non generare aspettative che non possono essere soddisfatte in breve tempo.

Un atteggiamento che traspare anche dalla composizione stessa del governo: i vari ministeri, segretari e sottosegretari sono quasi equamente suddivisi tra le varie forze della coalizione, anche se FdI mantiene per sé gli incarichi più importanti.

Inoltre, pur essendo un governo politico, molti sono i tecnici o persone esperte dei problemi del posto occupato. Come , per fare alcuni esempi : Guido Crosetto, fondatore del partito con la Meloni, nominato ministro della Difesa; esperto del settore, essendo dirigente di varie aziende produttrici di armi, e perciò è anche in conflitto di interessi. Giancarlo Giorgetti della Lega, laureato alla Bocconi e già presidente della Commissione Bilancio della Camera, nominato all’Economia.

Ancora, il magistrato in pensione Carlo Nordio, da sempre caro alla Meloni (ricordiamo che in servizio aveva perseguito molti reati di corruzione di grandi società, ma aveva sempre attaccato le posizioni ed il metodo del pool di Mani Pulite) posto alla direzione della Giustizia.

Al Ministero dell’Istruzione e del Merito, che ha subito il cambiamento del nome, c’è il senatore Giuseppe Valditara, fedele della Meloni, che aveva già lavorato in diverse commissioni del ministero. All’Università e Ricerca, non si sa per quali qualifiche, a parte la fedeltà a Berlusconi, è stata inserita Anna Maria Bernini.

Vicepremier sono stati nominati Matteo Salvini per la Lega e Antonio Tajani per FI ; il secondo è anche titolare degli Esteri (certamente con competenze superiori a quelle del fu Di Maio), il primo del ministero delle Infrastrutture e Modalità sostenibili.

Agli Affari Regionali e Autonomie, il vecchio Roberto Calderoli, quello della legge elettorale Porcellum; agli Affari Europei e PNRR il giovane, ma più volte compromesso con il potere mafioso, Raffaele Fitto.

E via discorrendo.

Insomma, sia per la sua composizione che per le posizioni assunte, sembra che il nuovo governo si muoverà sulla scia del precedente; del resto, ha avuto anche l’apprezzamento di Draghi, con il quale la Meloni si è sentita. Inutili e vacue sono perciò le critiche del PD di Letta.

Nell’epoca della globalizzazione, le guerre sembrano del tutto funzionali alla ristrutturazione dell’economia e dei rapporti di forza tra le grandi potenze.

Però, se si assume un atteggiamento simile alle posizioni dei manager dell’economia, si stende un velo scuro sull’origine della crisi e del suo rapporto con la guerra.

Da sempre le guerre, locali o no, hanno portato sconvolgimenti delle strutture civili e delle economie dei paesi interessati, con il vincitore che si impossessava dei beni e delle ricchezze degli altri.

Successivamente si metteva in moto un meccanismo di ricostruzione, di rinnovamento e di ricrescita economica. Ciò ha portato alla costruzione dei grandi Imperi del passato, come quello di Roma e quello Britannico, che tanto hanno lasciato ai popoli governati in termini di strutture e di cultura.

Oggi, essendo le sorti di tutti collegate dalla globalizzazione, le forze economiche stesse generano conflitti per ristrutturare il loro potere e quello degli Stati.

Anzi, la guerra è diventata mezzo indispensabile di arricchimento di pochi ai danni dei popoli del pianeta, come dimostra l’incremento delle spese per la produzione degli armamenti e per la ricerca tecnologica di armi sempre più sofisticate ed efficienti.

Infatti, nella guerra in corso la Russia ha sparato sull’Ucraina centinaia di missili di ultima generazione, colpendo più città che obiettivi militari e facendo così migliaia di vittime civili, forse con l’intento di fiaccare il morale della popolazione.

Ma la grande novità è che sono stati usati, da entrambi i contendenti, i droni come armi, non più per la sola ricognizione. Droni – bomba di piccole dimensioni (3,5 m per 2,5) che volano a bassa quota, perciò non intercettabili dai radar, e si abbattono sul bersaglio grazie alla guida Gps.

L’Ucraina ne ha usato un tipo prodotto dalla Turchia, la Russia un altro di fabbricazione iraniana.

Nei prossimi anni non soltanto si incrementerà la produzione di queste armi, ma la ricerca tecnologica produrrà droni molto più grandi in grado di sorvolare gli obiettivi sganciando missili e bombe e tornare alla base, come l’americano Global Hawk (lungo 14 m, con un’apertura alare di 40 m e 36 ore di autonomia).

La spesa militare salirà vertiginosamente nei prossimi anni.

Uno studio di una società americana che analizza il mercato aerospaziale prevede la spesa di oltre 160 miliardi di dollari per la produzione dei suddetti ordigni e 72,5 per la ricerca e sviluppo di nuovi.

Oltre agli USA e Israele, anche Turchia e Cina stanno già producendo queste armi; in più, la Cina ne sta realizzando tipi low cost, come con qualsiasi altro prodotto.

Per finire, anche la pacifista Europa ha un programma di 7 mld di euro impegnati in un consorzio tra Germania, Francia e Italia; aziende italiane impegnate: Leonardo e Avio Aero.

Stando così le cose, è molto probabile che l’attuale guerra terminerà solo quando saranno soddisfatte importanti esigenze politico – economiche della Russia e degli USA, difficilmente conciliabili.

Al momento ogni previsione è incerta; sembra che gli appelli alla pace abbiano poca efficacia.

E, ahimè, sembra che siano destinate a riesplodere le rivalità nel mondo slavo (serbi e bosniaci), alimentate agli inizi ’90 dagli USA e malamente soffocate dall’osceno intervento europeo con la NATO.

Se non capiamo che gli interessi vitali dei popoli vengono sempre usati strumentalmente dalle grandi potenze, saremo destinati a ripetere gli stessi errori.