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I commissari non servono: la Salute ora è solo business, profitto e disuguaglianza

Lo smantellamento della Salute pubblica è iniziato trasformando le Usl in Asl, condotte da manager e commissari spesso incompetenti

Commissari Salute, Medico in corsia di ospedale

Commissari Salute, Medico in corsia di ospedale

I commissari servono a poco: servono scelte politiche, competenze e legalità. Il principio costituzionale di uguaglianza è disatteso da anni. Servono risorse, scelte politiche, competenze e legalità. Lo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale è iniziato nel ’92/ ’93 con la trasformazione delle Usl in Asl condotte da manager e commissari spesso incompetenti. Il loro obiettivo, non è più quello di fornire servizi di qualità.

I servizi sanitari sono diventati sempre più oggetto di business

Il nuovo obiettivo quindi è contenere la spesa sanitaria per arrivare alla parità di bilancio. Con l’aziendalizzazione sono ritornate al centro della sanità le prestazioni differenziate e scompaiono prevenzione, riabilitazione e uguaglianza solidaristica. Ne discende lo svuotamento del diritto alla salute. La salute dipendente e vincolata alle risorse economiche ha significato alcune principali conseguenze.

L’economia detta i livelli di compatibilità della spesa sanitaria e degli investimenti in salute. I servizi sanitari sono diventati sempre più oggetto di business, fonte di profitto, preda dell’intermediazione finanziaria e assicurativa.

La salute è diseguale, i ticket e l’attività privatistica alimentata dalle lunghe liste d’attesa aumentano la migrazione sanitaria e il numero di chi ha perso l’assistenza medica.

Progressivo decadimento di quantità e qualità dei livelli essenziali di assistenza.

Migrazione sanitaria e turismo sanitario

Sono 250/300 i milioni di euro ogni anno versati dalla regione Calabria alle regioni del Nord.

La Calabria commissariata è la regione a più alta migrazione sanitaria per patologie oncologiche. Dopo 11 anni di commissariamento, il piano di rientro ha aggiunto nuove criticità, perché riducendo le risorse e bloccando le assunzioni ha reso problematici i servizi sanitari già carenti. L’effetto di questo stato di cose è che negli ospedali calabresi mancano medici, tecnologia e ausiliari. L’emergenza sanitaria accentua la disuguaglianza sanitaria. Nascere in Calabria significa avere tre anni in meno di aspettativa di vita. I divari territoriali della mortalità sono in crescita, dal 1995 si registra un calo della mortalità in quasi tutte le regioni del Nord, mentre nel Sud il trend è in aumento.

Gli squilibri Nord-Sud continuano ad essere notevoli rispetto alle risorse disponibili. Per esempio, la spesa sanitaria pro capite è in media molto più elevata al Nord rispetto al Sud: 2.327€ a Bolzano e 1.741€ a Catanzaro.
A compensare il divario di efficienza sanitaria dovrebbero essere direttamente i cittadini, ma le famiglie del Sud, essendo più povere, riescono a spendere molto meno rispetto a quelle del Nord.

Al Sud 10 residenti su 100 rinunciano a curarsi perché non hanno la possibilità

In Valle d’Aosta la spesa pro capite privata è di 962 euro, In Friuli Venezia Giulia è di 926 euro, in Emilia Romagna di 766 euro, in Veneto di 698 euro, in Piemonte di 694 euro, in Puglia 471 euro, ancora meno in Campania 391 euro, in Sicilia 411 euro, in Calabria 509 euro.

I dati del Ministero della Salute dicono che i malati cronici sono di più nelle regioni del Sud. Al Sud 10 residenti su 100 rinunciano a curarsi perché non hanno la possibilità, al Nord 4 su 100. La soluzione allora non è quella del commissariamento, dei piani di rientro e dei tagli lineari. La soluzione è abolire i piani di rientro e valutare periodicamente i servizi e mandare a casa incompetenti e incapaci, anche e soprattutto se amici e sodali di politici e ‘ndranghetisti.

Il commissariamento ha impoverito la sanità calabrese accentuando i differenziali fra i Livelli Essenziali di Assistenza rispetto al resto del Paese.  L’effetto tangibile di questo è la mobilità sanitaria che oggi vale tre volte il disavanzo della sanità calabrese. Se riducessimo solo di un terzo la mobilità sanitaria non avremmo problemi di piano di rientro.

Dott. Raffaele Leuzzi.

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