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Holbein spiega Ratzinger: il bivio per i tradizionalisti. Con Benedetto XVI o Bergoglio?

Uno dei più tragici paradossi che riguarda la Magna Quaestio sulle presunte dimissioni di papa Benedetto è che chi ha troppa cultura, possa impantanarsi in una visione monodirezionale

Ritratto di Hans Holbein e Benedetto XVI

Uno dei più tragici paradossi che riguarda la Magna Quaestio sulle presunte dimissioni di papa Benedetto è che chi ha troppa cultura, quelli che conoscono meglio la dottrina cattolica e i guasti causati dal Concilio sono gli stessi che più facilmente possono impantanarsi in una visione monodirezionale, univoca e, a volte ostinata, della Declaratio intesa come abdicazione.  

Ecco perché, per illustrare l’empasse, ricorriamo a uno splendido esempio mutuato dalla storia dell’arte citando il dipinto del 1533 di Hans Holbein il Giovane, riportato nella foto di testata, intitolato “Gli ambasciatori”.

Ai piedi dei due personaggi è dipinta una strana macchia grigiastra, una specie di ogiva oblunga completamente indecifrabile.

Tuttavia, guardando il dipinto da destra, in modo obliquo, quella macchia oblunga si contrae visivamente per la prospettiva e appare nella perfetta fisionomia di un cranio (Un elemento da “memento mori” tipico delle composizioni rinascimentali).

Ovviamente questo “gioco” è stato consentito al pittore da una perfetta, mirabile conoscenza delle leggi della visione e grazie a una tecnica pittorica sublime. Chi si ostina a guardare il dipinto frontalmente, non capisce, mentre chi si sposta di lato, chi cambia il punto di osservazione, coglie tutto.

Hans Holbein e il “passo di lato” di papa Benedetto

Non può non tornare in mente quel “passo di lato” che papa Benedetto disse di aver fatto: non un passo indietro, ma di lato.

Questa opera di Holbein ci spiega esattamente cosa sta avvenendo con quella grande, straordinaria e mirabile opera d’arte, “dipinta” da papa Benedetto coi pennelli del diritto canonico e i colori del latino.

Questo documento di importanza millenaria, se visto come abdicazione, appare falsato, abnorme, deforme e smaccatamente invalido: Benedetto, per abdicare, avrebbe dovuto rinunciare al munus e invece ha dichiarato di rinunciare al ministerium, cosa che non avrebbe mai potuto fare sua sponte. Peraltro, anche il differimento di 17 giorni dell’entrata in vigore è un’assurdità che rende, ancora una volta invalida la Declaratio come abdicazione che, per sua natura, è atto giuridicamente puro e non può essere sottoposto ad alcuna condizione, come per esempio un differimento temporale.

Come è possibile giustificare questo documento che, pur essendo stato scritto da Ratzinger in due settimane, sottoposto al vaglio della Segreteria di Stato sotto il sigillo del segreto pontificio, era anche affollato da errori sintattici, imperfezioni stilistiche e, soprattutto, da enormi errori canonici?

Come si spiega il mistero del papato emerito, inesistente nel diritto canonico?

L’uso del Latino non è un caso

Perché Ratzinger nel 2016 scrive: “Avrei potuto scrivere la Declaratio in italiano ma c’era il pericolo che commettessi qualche errore”?

E’ presto detto: se avesse scritto in italiano “rinuncio al mio ministero in modo che la sede resti vacante” non ci sarebbero state ambiguità, e lui avrebbe abdicato commettendo l’ “errore storico” di lasciare la Sede Apostolica legalmente in mano ai suoi nemici, la Mafia di San Gallo che sponsorizzava il gesuita Bergoglio.

E invece, solo in latino esiste la mirabile distinzione fra munus e ministerium, solo in latino poteva fare riferimento all’hora vigesima che pospone l’entrata in vigore della rinuncia al ministerium alla prima ora (le 13.00 del 1° marzo) dopo la convocazione del conclave abusivo che dava compiuta realizzazione alla sede impedita, dove il papa, appunto conserva il munus (essere papa) ma perde il ministerium (fare il papa). Per ricostruire in breve il congegno canonico di papa Benedetto, vi rimandiamo ai due brevi documentari Dies Irae e Intelligenti pauca.

Ecco perché proprio l’approfondita conoscenza dei danni del Concilio e del modernismo si rivela un tragico boomerang in quanto consente ai più colti di costruire ardite teorie per giustificare una “visione  frontale”, dove una Declaratio intesa come abdicazione appare un abnorme pasticcio.

Il bivio per i tradizionalisti

In questa ottica, per forza di cose si devono imputare a Ratzinger influenze moderniste, ignoranza, faciloneria, approssimazione. Prova ne sia che il vaticanista Aldo Maria Valli continua imperterrito a sfornare libri in questo senso, del tutto impermeabile a qualsiasi spiegazione che gli offra un altro punto di vista. Si produce inevitabilmente uno screditamento continuo di uno dei papi più grandi della storia e, probabilmente, di un futuro santo.

Ma il rischio madornale è che il livore maturato nei decenni del post Concilio verso i papi che hanno dovuto subire le pressioni della massoneria ecclesiastica, a volte cedendo ad alcuni piccoli compromessi, impedisca il cambio di visuale e il riconoscimento della Declaratio per quello che è in realtà: un annuncio auto-avverante di un colpo di stato e di una collocazione del papa in sede impedita.

Questa incomprensione costituirà un danno enorme, millenario, perché fornirà l’alibi per un prossimo conclave-inciucio che vi regalerà un altro antipapa e sancirà la fine della Chiesa canonica visibile.

Ora, per i tradizionalisti che fino ad oggi hanno martoriato il Vicario di Cristo accusandolo di essere un pasticcione modernista, e quindi, di fatto, un uomo dispettoso, crudele e vanesio, si apre un bivio escatologico: o riconoscere l’errore di visuale e collaborare attivamente per risolvere la situazione, spingendo il Collegio cardinalizio pre-2013 ad applicare come un maglio la Universi Dominici Gregis, che risolve la questione, oppure rimanere orgogliosamente e ostinatamente arroccati nella loro visione univoca. In ottica di fede, questo equivale ad anteporre l’avversione per i papi postconciliari all’amore per Cristo e per la Chiesa.