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Gli ultimi artigiani di Roma. Erano l’anima della città e parte della sua storia

La bottega artigiana può essere un modello per costruire la nostra economia circolare del futuro. Creatività e manualità: chi meglio degli Italiani può farlo?

Botteghe romane, antica salumeria

Sono sempre meno gli artigiani a Roma. Una volta erano l’anima della città, parte della sua storia e della sua creatività artistica. La bottega artigiana può essere un modello per costruire la nostra economia circolare del futuro. Creatività e manualità: chi meglio degli Italiani può farlo?

Le vie attorno a Trastevere, a via del Pellegrino, via dei Pettinari, via del Governo Vecchio, via dei Giubbonari, via de’ Coronari, sono sempre state strade sulle quali si affacciavano decine di botteghe artigiane, che hanno dato un’impronta alla storia di questa città. Oggi vanno via via scomparendo per motivi diversi e con loro se ne va un po’ dell’identità di Roma, parte del suo fascino e della sua storia e molti giovani non sapranno mai cos’era questa città e quello che potevi trovare, comprare, regalare, riparare, amare. Prima che spariscano anche gli ultimi artigiani rimasti, proviamo a fare un giro di ricognizione ma voi fatelo, appena potete, a piedi, un sabato pomeriggio, da dedicare a qualcosa di autentico e di curioso che vi riguarda da vicino, come cittadini di questo luogo e della sua storia.

Le clessidre senza tempo e le borse in pelle

A Via del Moro numero 59 c’è la Polvere del Tempo dove l’ultimo costruttore di orologi a sabbia costruisce le sue clessidre. Macchine del tempo senza usura. Adrian Rodriguez Cozzani è un argentino ed ha 70 anni. Venne qui nel 1977 per scappare dalla dittatura fascista del generale Videla, che produsse tanti desaparecidos e una inutile guerra per riconquistare le isole Malvine. Architetto, filosofo, artista e artigiano Adrian è un vulcano di idee. Le sue clessidre possono essere piccole o giganti. Durare pochi attimi o due ore. Tutte costruite a mano, con l’anima e la passione. Entrare in quel negozio laboratorio è come viaggiare nel tempo o cancellarlo del tutto, per restare nello spazio, sospesi ad ammirare i rivoli di sabbia che cadono, incessantemente. Ma puoi sempre rovesciare la clessidra e rubare il tempo al tempo.

A vicolo del Cinque, una delle più simpatiche viuzze di Trastevere, ci abitavano diversi amici, poi s’,andava da Reginella a bere e cantare. Prima che arrivasse lui, al numero 49, l’Artigianino, nel 1989 da un’idea di Davide Rossi. Produce borse originali, in pelle e fatte tutte a mano. Le fa e le vende in tre negozi sparsi in città. Ogni borsa è un’idea originale, le pelli le compra in Toscana, tra Santa Croce sull’Arno e Prato trovi tutto quello che serve per l’abbigliamento e gli accessori. Si fa ancora in tempo, prima che tutto passi nelle mani dell’industria cinese, che copia e vende a basso costo. Ma non può far altro che copiare la manualità e la creatività dei nostri artigiani, e riprodurla in scala industriale. Non può ideare niente di nuovo. Il know how non è copiabile, ci vuole cultura, creatività, poi bisognerebbe usare prodotti di qualità e costerebbero troppo per il loro mercato.

Opere d’arte da metter in mostra in casa

Al numero 13 del vicolo c’è invece Anna Retico. S’è formata all’Accademia di Belle Arti, dove s’è laureata in scenografia. Come spesso accade a questi professionisti, Anna ha un amore smisurato per il design, per i materiali, la loro duttilità ed è alla continua ricerca di esperienze nuove. Spazia su campi artistici differenti, gioca con i colori, le consistenze, gli oggetti, i minerali, la cartapesta, i tessuti, il legno, il vetro. L’arte del vetro l’ha appresa a Murano, frequentando dei corsi dai maestri vetrai che danzano col fuoco, l’aria e il silicio per inventare forme sempre diverse e inverosimili. Lì ha appreso la tecnica della vetrofusione che permette all’artigiano di creare cose che non penseresti possibili e difficilmente imitabili. Sono soprammobili, fermacarte, statue, opere d’arte minute, da mettere in mostra nell’arredo casalingo, per dare un tono al tutto.

In via della Scala, al 45, c’è uno show room dedicato all’arredo della casa. Nei 90 mq troviamo mobili, sculture, oggetti usciti da mani sapienti di esperti artigiani del legno e della carta, della pietra e della terracotta. Si chiama Flake’s Design & Arredo. In via Cardinale Merry del Val al numero 18 Mimmo Mancini, un mastro coloraio, che segue gli artisti e distribuisce consigli per indirizzarli verso la loro vocazione artigiana. Non è un negozio ma un luogo di apprendimento e di scambio di esperienze, di dialogo dove sono passati artisti come De Chirico, Morandi, Guttuso, Balthus, Schifano, Chia, Clemente, Cucchi e Paladino in quasi 190 anni di attività.

La piccola impresa artigiana è la spina dorsale del Paese

Nella provincia di Roma, le imprese artigiane registrate a fine 2021 erano più di 66mila, l’84% ditte individuali. La piccola impresa artigiana familiare è quella fa dell’economia italiana un unicum nel Mondo. L’artigianato artistico impiega 801 mila addetti in 228 mila imprese, il 28% dell’intero settore artigiano che tuttavia comprende anche altre professioni di indubbio valore culturale, come i macellai, i falegnami, gli idraulici. Tutte attività divenute ormai preziose. Queste imprese servono ancora per avviare al lavoro giovani apprendisti. Si fa troppo poco per questo.

Andrebbero agevolate queste aziende per consentire loro di assumere più giovani e insegnare loro un mestiere che nel tempo risulterà di grande soddisfazione anche economica. Gli artigiani lavorano con le mani e con la creatività, lavorano proseguendo spesso la storia di generazioni di padri e di nonni che li hanno preceduti, un capitale da non disperdere. Ci sono interi settori come il restauro di opere d’arte e quello dei tessuti decorati, o la realizzazione di ceramiche artistiche, l’arredo per yachts e imbarcazioni da diporto, strumentazioni tecnologiche di precisione o arredamento per lo sport, in cui l’Italia è leader mondiale e solo in Italia trovi chi è in grado di realizzare o riparare gli oggetti artigianali di grande pregio artistico.

Il liutaio, un mestiere difficile che è in forte ripresa

In via di Santa Maria Maggiore, in un sottoscala, siamo nella liuteria di Mathias Menanteau, un artigiano che costruisce violini, viole, mandolini. Li vedi appesi al muro, li intravedi nelle forme del legno in lavorazione sul tavolo e altri in riparazione, come oggetti preziosi di lavoro e di creazione artistica, spesso sono un Guarneri o uno Stradivari che necessitano cure.

Un liutaio è come un medico: prima di sceglierne uno, il musicista si informa molto” spiega Mathias. È il passaparola a portargli i clienti: “Siamo l’unica bottega di Roma senza campanello!”. A Roma, i liutai in proprio sono sempre più rari. Però, dopo aver rischiato di spegnersi, oggi il mestiere sta nuovamente crescendo in popolarità. Menanteau ha studiato a Newark in Inghilterra e poi a Berlino e a Cremona.

Nell’Ottocento” racconta Mathias “la famiglia dell’aspirante apprendista stipulava un contratto con il liutaio che lo avrebbe preso a bottega: la famiglia lo pagava, e il liutaio si impegnava a rivelare all’apprendista tutti i segreti del mestiere”.  Il restauro di un’opera d’arte come un violino di Stradivari impone rispetto.  “La cosa più importante è conoscere e amare veramente la musica. Ci sono dei cattivi violinisti che provano a fare i liutai, ma un cattivo musicista non può diventare un bravo liutaio”.

La bottega di Michel Eggimann si trova vicino a Campo de’ Fiori, in Via di Montoro, una traversa di Via dei Cappellari. Michel Eggimann è uno dei maestrai liutai più celebri al mondo. Originario della Svizzera, si è trasferito prima a Cremona poi a Roma. Gran parte della sua giornata la dedica ad intagliare il legno e a montare le corde. Realizza non dei semplici violini ma indiscussi capolavori in una delle ultime botteghe di liutai della Capitale.

Dare vita nuova ai vecchi orologi, preservare un pezzo di storia

L’Orologeria Aurili è via del Clementino, 104, a qualche passo dai grandi marchi di via Condotti, ma comunica un’idea di lusso ben diversa, un’estetica che ha sempre meno estimatori: “Oggi le case non sono più arredate come quelle dei nostri nonni, che avevano un orologio in ogni stanza”. Ma la passione per l’orologeria meccanica è ancora viva, anche grazie all’e-commerce: la bottega Aurili, infatti, oggi vende anche su eBay. Aldo Aurili lavora nella sua bottega dagli anni ’70. Ora lo affianca il figlio Enrico. La maison de l’horlogerie ancienne va avanti. Tra i suoi clienti molti vip, tra cui anche l’ex presidente Mario Draghi, al quale non piacciono gli orologi morti, per cui li fa riparare.

Un mondo dove ci sono sempre meno collezionisti e più investitori. Si rivolgono agli orologi da polso più interessati al brand e all’estetica del prodotto che al meccanismo che lo muove e lo caratterizza. In sostanza aumenta l’ignoranza e si perde in classe.  Capita che passino dalla bottega giovani che vogliono far riparare l’orologio del nonno o del papà, per il piacere di indossare un oggetto con una storia, non solo personale. Il bello dell’orologeria, dice Aurili, “non è costruire l’oggetto, è sapere il difetto”.

Non basta saper montare un orologio per farlo funzionare: le competenze tecniche fornite dalle scuole sono necessarie, ma la bottega, dove si acquisisce il tocco, ha un sapore diverso. “Un mio caro amico diceva che non sono gli orologi a essere fatti male, è l’orologiaio. Il mio maestro mi ha sempre insegnato: quando non trovi il difetto di un orologio, abbandonalo per una notte; la mattina dopo, il difetto si farà trovare”.

Il litro di latte sfuso, scegliere la carne da cucinare: chi lo fa più?

Originariamente c’era una stalla con una mucca che vi sostava tutto il giorno. Da qui il nome della Latteria. Nel mezzo c’è stato il Bar da Saverio, oggi è di nuovo La Latteria, dove si vende il latte fresco per la colazione del mattino. Siamo in via della Scala al numero 1.

Nella sala adiacente l’ingresso sono stati mantenuti oggetti legati al passato che permettono di fare un salto indietro nel tempo. Durante il giorno l’offerta gastronomica cambia e il locale rimane aperto fino a sera. 

A via san Francesco a Ripa, sempre in Trastevere, da 25 anni c’è la Macelleria di Giuliano Signorini, oltre 70 anni ben portati. Chi va più dal macellaio? Oggi tutti vanno al supermercato e comprano le loro fettine già impacchettate nella plastica col prezzo incollato. Se vai dal macellaio devi sapere, oppure devi avere fiducia in lui, per quello che ti consiglia. Era un rapporto umano con tanti vantaggi. Compravi quello che più ti piaceva e potevi star certo della provenienza. Così il cliente del macellaio è come quello del sarto e dell’orologiaio. Sa di che parla, sa cosa vuole e non lo puoi fregare.

Abbacchio di Viterbo, polli biologici, allevati all’aperto, carne scura, che ha camminato. Chianina da pascolo, selezionata, come vuole la legge, ogni pezzo riporta i dati sull’origine dell’animale. “Una volta si comprava a prezzo fissato, dice Giuliano, del tipo: ‘mi dia mille lire di maiale’, oggi vanno molto gli straccetti che facciamo noi a mano e gli hamburger. Questi ultimi se fatti con carne di qualità, magari cotti al pepe verde, hanno un risultato appagante quasi quanto un filetto, con meno della metà della spesa”.  Per venire incontro alla pigrizia delle massaie di oggi il macellaio è diventato un cuoco. Ha le sue ricette. Vende preparati già in mostra, devi solo comprarli e metterli in padella. Ma c’è ancora qualcuno che si interessa, che fa domande, che vuole sapere cosa mangia.

Formaggi e salumi. Tutte cose troppo buone per comprarle sbagliate

Venivano da Norcia e per questo li chiamavano norcini. Sono coloro che sanno lavorare le carni di maiale per farne salumi gustosi che arricchiscono le nostre tavole nei giorni di festa. In via Natale del Grande al 15, la famiglia Iacozzilli lavora dal 1954 per fare salsicce, guanciali, salami e coppe. Ora lavorano anche la pasta fresca, direttamente nel loro laboratorio.  Anche la porchetta, un’altra nostra specialità che serviamo calda, viene lavorata da noi e poi preparata ad Ariccia da altri maestri artigiani. Con il nostro prosciutto facciamo confezionare dei tortellini fatti a mano. Per offrire sempre il meglio che possiamo, ci piace pensare di unire la nostra tradizione e professionalità, con quella di altri artigiani”.

Così Piero Iacozzilli racconta il suo lavoro con orgoglio, convinto di poter essere un bottegaio di fiducia “perché guarda, tanto oggi anche i prodotti così detti di marca degli ipermercati, hanno i prezzi che abbiamo anche noi, solo che ne sai sempre meno. Non è vero che siamo cari. Sono convinto si tornerà a comprare cose buone in botteghe come questa, dove noi ci mettiamo la faccia nel garantire la qualità. Come per il nostro Cotechino, una ricercatezza che stiamo già preparando per il Natale”.

L’Antica Caciara è uno degli storici negozi trasteverini in via di San Francesco a Ripa al numero 140. Una bottega che è lì dal 1900, alla base del palazzo e da tre generazioni, ancora oggi mantiene la propria identità. Generi alimentari selezionati, cercati e comprati  nel rapporto diretto con i piccoli produttori. Dal Ciauscolo marchigiano al Pecorino Romano DOP, che è il prodotto di punta, insieme a un’ampia selezione di formaggi nazionali ed esteri. L’Italia è il paese con più tipi di formaggi al mondo, se ne contano oltre 1.000 ma secondo me sono anche di più.

Ogni pastore o casaro fa i propri. Il Pecorino Romano qui arriva a forme da 50kg e si impila fino a diventare un muro di due metri. L’ odore del formaggio invade le stanze ed esce per la strada. Diventa un richiamo per chiunque passi per il vicolo.  Roberto Polica racconta con orgoglio la trafila familiare che da suo nonno arriva fino a lui. Tocca a loro custodire un tesoro prezioso che rischia di svanire. “Noi resistiamo da decenni perché raccontiamo storie vere e vendiamo cose genuine, non possiamo dare fregature”.

Se il cliente ha i soldi ma non capisce nulla, non gli vendo niente

Nipote di un sellaio che lavorava con i butteri in Maremma, Federico Polidori ha più clienti americani che italiani.  In America, la produzione industriale di massa ha saturato il mercato; per questo motivo gli americani apprezzano di più il valore degli oggetti fatti a mano. Ora anche gli Italiani cominciano a capire. A parlarci di come l’amore riposto negli oggetti possa durare nel tempo è un artigiano del cuoio. La sua bottega è a due passi dal Pantheon.  

Vai da lui per chiedergli di realizzare una borsa o una cintura, un paio di stivali, una sella. Polidori ha clienti che tornano a trovarlo a Roma a distanza di venti anni. “Chi compra una cosa fatta con sentimento, deve avere sentimento” dice Federico, “altrimenti, va in un centro commerciale”. “Non sono gli artigiani che stanno scomparendo, sono i clienti”. Con loro Federico ha un rapporto particolare: “Il mio cliente deve avere due requisiti: disporre di un po’ di soldi, e sapere come spenderli. Se è pieno di soldi ma non capisce nulla, io non gli vendo proprio niente…

La bottega artigiana può essere il modello dell’economia del futuro

Le botteghe artigiane sono un pozzo di scienza e di sapere quotidiano. Un mix di manualità, cultura e creatività. Per questo potevano diffondersi solo in Italia e diventare il nucleo della nostra economia familiare. Non seguiamo illusioni industriali, anche se costituiscono un polo attrattivo fortissimo dal punto di vista economico, non sono il nostro specifico e ce le stanno portando via tutte. Noi siamo imbattibili nell’arte, nel piccolo e prezioso. Il Made in Italy è la conoscenza non la quantità, non la difesa di qualcosa che altri possono anche imitare e fare meglio di noi se ci si mettono, e spesso sono gli stessi Italiani emigrati a farlo. Quello su cui non possono imitarci e batterci è proprio la creatività che nasce dalla cultura, dalla storia, dalla conoscenza dell’uso dei materiali.

Oggi l’e commerce può dare una mano alle botteghe artigiane, allargare la loro clientela nel mondo. Andrebbero aiutate, promosse, incentivate, non vessate con burocrazia e imposte.  Andrebbero difese e lodate, anche per l’istruzione in grado di dare ai nuovi apprendisti, se solo i giovani capissero quanta fortuna e quante soddisfazioni ci si possono togliere nel fare questi mestieri. Siamo nell’era della riproducibilità tecnica, della grande distribuzione, della omologazione, della obsolescenza programmata dei prodotti ma lo spreco eccessivo, i problemi dello smaltimento, l’inquinamento di terra e mare, ci impongono di tornare a un’economia circolare, dove nulla si spreca e tutto si ricicla, com’era alle origini.  In questo la cultura artigiana gioca un ruolo determinante. Facciamola diventare la base della nostra economia futura. Chi meglio degli Italiani può farlo?