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Giorgio Di Genova cita Marco Manzo: il tatuaggio come forma d’arte

Intervista allo Storico e Critico d’Arte Giorgio Di Genova: il tatuaggio nella storia dell’arte, Marco Manzo e altri celebri nomi

Tatuaggi ornamentali

BMW R nineT al MAXXI di Roma per ROMA ALTA MODA. In collaborazione con Tattoo D'Haute Couture. Tatto designer Marco Manzo

Intervista allo Storico e Critico d’Arte Giorgio Di Genova: il tatuaggio nella storia dell’arte, Marco Manzo e altri celebri nomi nel terzo volume della raccolta dei saggi più rappresentativi dell’autore, edita da Gangemi che verrà presentata alla Galleria Nazionale.

Autore della Storia dell’arte italiana del ‘900, abbiamo avuto l’onore e il piacere di poter discutere in anteprima direttamente con l’autore del terzo volume di raccolta dei suoi testi che verrà presentato, assieme ai due precedenti alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna da ClaudIa Palma, Direttrice degli Archìvi della GNAM, Paolo Bolpagni, Direttore della Fondazione Ragghianti di Lucca, e Michela Becchis, storica dell’arte.

Giorgio Di Genova

Nato a Roma nel 1933, dal 1961 svolge un’intensa attività di critico d’arte. Ha collaborato a quotidiani, periodici ed è stato il fondatore del trimestrale “Terzo Occhio” (Bologna, 1975-2009). Ha curato numerosissime personali in Italia e all’estero e rassegne di arte. È stato commissario alla XII Quadriennale ed alle Biennali di Venezia del 1984 e del 2011. Ha firmato oltre 30 monografie. Sua è la Storia dell’arte italiana del ‘900 per generazioni in 10 tomi (Bologna, 1990-2010). Esperto del Futurismo, su di esso ha pubblicato saggi su volumi all’estero. È da poco uscito il volume 3 di raccolta dei suoi scritti Interventi ed erratiche esplorazioni sull’arte. La dialettica del mestiere di un critico (Gangemi, Roma).

Lei ha scritto la Storia dell’Arte Italiana del 900, abbiamo il piacere di intervistare uno storico e critico d’arte che ha lavorato anche nell’ambito della Biennale di Venezia, ci vuole raccontare qualcosa a proposito di questa straordinaria esperienza?

Parliamo di esperienze e momenti professionali alti e importanti che si raggiungono quando si ha a che fare con un demone in corpo. Nel mio caso il mio “demone personale” è stato ed è la scrittura e la critica d’arte, che è divenuta la mia professione, dopoché smisi di dipingere intorno ai 20 anni, consapevole che con la pittura non avrei raggiunto livelli altissimi.

Ma l’arte come vera e propria febbre di vita mi influenzava a tal punto che ad essa continuai a dedicarmi come critico, pertanto mi iscrissi a Lettere, corso arte all’Università alla Sapienza. Durante gli studi mi accorsi che molti punti della storia dell’arte italiana risultavano oscuri ed imprecisi. Fu così che decisi, appena laureatomi, di studiare la materia nel dettaglio proprio per poter dirimere quei punti di oscurità.

Il quadrimestrale “Terzo Occhio”

Ebbi la possibilità nel 1975 di fondare per le edizioni Bora di Bologna “Terzo Occhio”, quadrimestrale di arte fantastica, in seguito divenuto trimestrale d’arte contemporanea. Fu poco dopo che nacque l’idea delle Biennali Nazionali d’Arte per generazione, realizzate a partire dal 1980 a Rieti con la locale Provincia. La prima fu la biennale dedicata ai nati negli anni Venti (1980), in seguito alla generazione degli anni Dieci (1982) ed infine alla generazione del primo decennio del ‘900 (1985). Ai consueti cataloghi sostituii un volume sulla relativa generazione.

Questa formula fu la base per i volumi della mia storia dell’arte, che hanno rappresentato per me una fonte inesauribile di spunti per i miei studi, sia storici (la dittatura in Italia, la monumentomania post Grande Guerra) per le diverse forme d’arte susseguitesi. Da allora ho iniziato a stigmatizzare la diffusa ignoranza dell’arte contemporanea, per cui nei miei scritti ho iniziato a proporre un capovolgimento nei programmi di studio, cioè iniziare gli studi dal secolo in cui si vive e procedere a ritroso per far sì che tutti i giovani si riappropriassero della cultura e della storia del periodo in cui vivono.

Quindi proponevo che il primo volume di storia, di letteratura, arte, ecc, fosse quello sul ‘900. Ho infatti sempre sostenuto che per comprendere meglio quanto ci accade intorno, ma soprattutto per riappropriarsi della propria cultura e delle proprie radici, occorra cominciare dall’oggi, dall’epoca contemporanea, tanto più che noi con la nostra mentalità d’oggi ci accostiamo agli eventi del passato. Per esempio, noi oggi guardiamo a Giotto con occhi odierni non con quelli delle persone del Duecento/Trecento, poiché siamo il frutto di secoli di arte e cultura. Ed è solo così che saremo in grado di capire il passato.

Il secondo volume dei suoi scritti è stato presentato al Senato, nel volume 3 lei ha menzionato anche Marco Manzo e altri tatuatori nell’ambito dell’Arte internazionale. Ci può dire come mai il tatuaggio è stato inserito nel mondo dell’arte e ci può dire come si inserisce nel panorama artistico il mondo del tatuaggio?

Ho voluto raccogliere in questo volume i saggi e gli scritti che considero maggiormente rappresentativi del mio percorso accademico e critico. L’editore Gangemi di Roma, quando gli proposi la prima selezione dei miei testi, mi fece notare che il numero di pagine risultava essere veramente eccessivo, per cui mi propose di farne 3 volumi di 240 pagine. Alla luce di questo non ho potuto fare a meno di scremare qualcosa.

E siamo comunque arrivati a questo terzo volume di 256 pagine. Ritengo che in questo modo risulti di maggiore apprezzamento anche da parte di un pubblico più vasto che possa trovare la lettura piacevole e non eccessivamente gravosa. I tre volumi potremmo a grandi linee definirli un mio ritratto. Infatti, essi rispecchiano i miei interessi maggiori. Procedendo nella selezione dei tasti da ripubblicare, mi accorsi di avere una percezione diversa rispetto agli altri critici: mi sono occupato di tante tematiche diverse, dall’arte fantastica a quella monocromatica (monocromatici bianchi, neri e rossi), dalla storiografia (i ritratti del “duce”) ai rapporti tra arte e fumetto e all’arte erotica sino al tatuaggio per rispondere alla domanda.

Quando il linguaggio è arte

Nel mio testo Quando il linguaggio è arte mi riferisco all’affermazione del trattatista del ‘300 Cennino Cennini, il quale poneva il disegno come “fondamento dell’arte”, per cui anche il tatuaggio è arte. Il tatuaggio di Marco Manzo è basato sul disegno, in particolare ha creato un nuovo tipo di visione di questa disciplina artistica: il tatuaggio decorativo o orna-mentale appunto, che va a restituire un’interpretazione singola e personale per ogni destinatario.

Tutta l‘arte si basa sul disegno oltre che sul colore. Il tatuaggio tra l’altro può fondarsi su entrambe le cose e queste immagini sono arte realizzata su corpo. Per questo spesso dico alle modelle tatuate da Marco che esse hanno il privilegio di poter portare addosso vere e proprie opere d’arte ed hanno la fortuna di mescolarsi tra la gente come opere artistiche.

Una nuova tappa nella storia dell’arte

Al Vittoriano durante la mostra personale Marco Manzo è stato dichiarato dalle Istituzioni e da più di cento testate giornalistiche che Manzo, avendo portato il tatuaggio nei musei d’arte contemporanea, nelle loro collezioni, nelle grandi mostre e nei monumenti pubblici portandolo ad una credibilità istituzionale parimenti alle arti cosiddette maggiori ha segnato una nuova tappa nella storia dell’arte, cambiando la storia del tatuaggio e quella dell’arte contemporanea. Un tempo si sosteneva che esistessero arti cosiddette maggiori in contrapposizione ad arti minori, concorda con questa affermazione?

Da tempo immemore sostengo che non esistono arti maggiori e minori, che l‘arte non è copia del reale, l’arte è l’esplicitazione attraverso un linguaggio specifico di quanto l’artista cela dentro il proprio mondo personale. Non a caso Goethe affermò: “L’arte è arte perché non è natura”.

Le incisioni, per fare un esempio che tra l’altro ben si sposa con il mondo del tatuaggio, sono tutte forme d’arte da Rembrandt a Morandi, che non sono affatto minori, ma modi altri di esprimersi attraverso tecniche specifiche. Tutta l’arte è uguale e non esiste maggiore o minore.

Marco Manzo è stato in primo a portare il tatuaggio nel mondo dell’arte, nelle rassegne e in quel momento definibile “spartiacque” dell’artista io l’ho seguito, ho seguito quel percorso che l’ha portato anche all’attenzione e alla successiva vera e propria consacrazione da parte delle Istituzioni del suo lavoro. Marco Manzo è anche scultore per cui potremmo definirlo un artista a tutto tondo. Sia in occasione della mostra Tattoo Forever, dove si è palesato l’interesse da parte dei Beni Culturali, sia in seguito ho continuato a supportare l’artista ed il suo lavoro.

Gli artisti del tatuaggio

Manzo nelle mostre che ha curato, ha invitato più artisti del tatuaggio per legittimarli come artisti contemporanei. Ci vuole parlare di alcuni di questi artisti? Credo abbia parlato di alcuni di loro nel suo ultimo libro e in occasione della rassegna Tattoo-Art) presso il Macro (Museo d’Arte contemporanea di Roma).

Nel mio ultimo volume di Gangemi è presente una sezione molto ampia dedicata a questo mondo. Da Silvano Fiato a Marco Manzo per l’appunto, a molti altri, di ognuno di questi artisti ho delineato che tipo di “storia” raccontassero attraverso le proprie opere.

Parliamo di un mondo estremamente affascinante tra volti femminili, gambe di donna che divengono colonne istoriate, tatuaggio in bianco e nero alternato al tatuaggio cromatico finalizzato alla raffigurazione di mani, volti, bocche vampiresche, lucentezza scandalosa di costumi in latex facenti parte dell’universo Marvel e collateralmente del fumetto così come quei volti ricoperti di lettering in un’ottica ascrivibile alla street art.

Mi può parlare a grandi linee dei contenuti del suo ultimo libro, terzo della serie, e come è nata l’idea?

Ho sempre amato l’aspetto dialettico di questo mestiere e per declinazione personale sono sempre stato portato ad occuparmi di una moltitudine di tematiche differenti senza focalizzarmi su una singola materia. Mi sono molto ispirato a Francesco Arcangeli, critico di Bologna, per questo mio ultimo lavoro. Di Arcangeli, infatti, fu Einaudi a pubblicare due volumi sui suoi scritti d’arte. Così ho voluto riprendere l’idea.

Tutto in tre volumi

Certamente per delineare nel migliore dei modi una linea precisa dei miei scritti più celebri occorrerebbe impiegare un numero molto maggiore di pagine, ma anche per le esigenze dei lettori, ho preferito racchiudere il tutto in questi tre volumi su consiglio del mio editore. Risulta infatti una lettura snella, godibile e in particolare trovo estremamente importanti e rappresentative del mio lavoro le sezioni dedicate al Futurismo e all’arte fantastica. Ho da tempo ritenuto l’arte un’astrazione e sono giunto a questa tesi molti anni fa, ammirando a Senigallia la Muta di Raffaello.

Ebbene osservando quella tela ho compreso che l’arte è più di qualsiasi altra cosa pura astrazione. La figura riprodotta dall’artista diviene da tridimensionale qual è bidimensionale e così vale anche per la scrittura e per come il pensiero diventi attraverso la meditazione pura astrazione. Come le dicevo, ho sempre messo al primo posto l’importanza della dialettica e del pensiero indipendente, motivo per il quale debbo ammettere di essermi attirato non pochi pareri discordanti nel corso della mia carriera.

Un tempo era molto più complesso ricercare la propria autonomia di pensiero in questo settore. Ricordo perfettamente quando stroncai Guttuso direttamente sulla stampa comunista dell’epoca. Ci recammo a vedere Medusa con diversi critici tra cui Morosini, Micacchi e Del Guercio, tutti commentammo tra noi negativamente quella esposizione, ma il giorno dopo sui rispettivi giornali tutti si sperticarono in elogi rispetto al lavoro di Renato Guttuso. Io no, così stroncai la mostra su “Vie Nuove”.

Ovviamente Guttuso non volle più sentir parlare di me. Assolutamente io ritengo che la missione del critico sia quella di testimoniare con veridicità quanto osserva. La grande rivoluzione di vedute in questo senso è avvenuta proprio nel ‘900 con l’Informale. Il disegno non è più stato utilizzato percreare un volto o un oggetto, ma per restituire sé stesso, divenendo segno, come la pennellata gesto ed il colore materia. L’arte non è mai copia del reale, ma di esso è un’astrazione, ecco perché amo parlare di astrattismo iconico, astrattismo aniconico ed astrattismo meticciato, nei casi in cui le due componenti convivono.

Studio Di Marco Manzo

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