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“Fuori dal giro”, oltre le apparenze dell’élite della rive gauche

Libro di Cesare Ferri, per parlare di Arte – quella con la A maiuscola

Questo in poche parole il senso dell’ultimo romanzo di Cesare Ferri, “Fuori dal giro”, uno di quei libri che lasciano il “segno”. Adriano, pittore in crisi, ben raffigura i valori più alti che ispirano – o che quantomeno dovrebbero ispirare – l’Arte con la A maiuscola.

Infatti il suo è un inno d’amore per l’armonia e per una vita autentica e scevra da tutte quelle sovrastrutture materialistiche che opprimono il nostro triste presente. Lasciata Roma per una Parigi più che altro vagheggiata e immaginata come l’indiscussa capitale del bello e del buongusto, il protagonista viene invece a trovarsi alle prese con gli ambienti pseudo-artistoidi dell’élite della rive gauche. Un’accozzaglia di bempensanti e viziatissimi figli di papà buoni solo a scimmiottare lo stile di vita dei “maudit” dandosi arie da “bohemien”. In realtà sono solo una manica di presuntuosi imbrattatele assai maldisposti a rinunciare ai privilegi della classe sociale di provenienza. Incapaci di osare, essi non hanno nessuna vera idea innovativa da proporre o una nuova visione del mondo da imporre, pedissequamente asserviti come sono agli stucchevoli “tormentoni” ultrabuonisti tipici dei radical-chic.

Il fatto è che per fare della buona arte e per attingere alle sacre vette dell’apollineo bisogna volare alto. Essere posseduti da sacro furore, ardere e lasciarsi ardere, temerariamente pronti a giocarsi il tutto per tutto. Rischiare, mettersi in gioco, ed essere anche disposti a soffrire per le proprie scelte. Esattamente il contrario di quanto avviene tra quei blesi conformisti. In una parola: manca, oltre lo stile, anche il coraggio. E il coraggio uno, se non ce l’ha, non se lo può certo dare.

Ma in tutto quel piattume manieristico, datato e codificato ecco profilarsi – inaspettata – un’ancora di salvezza. Essa ha le sembianze di Virginie, una ragazza che, seppure di modestissima famiglia, sembra proprio possedere quell’irresistibile anelito alla “Bellezza”, quel fluido magico e ammaliatore che forse permetterà ad Adriano di eccellere. In poche parole, di attingere a piene mani all’olimpica fonte dell’apollinea, classica compostezza.

L’intero romanzo è scritto con un linguaggio sobrio, moderno e scorrevolissimo. Nessun tempo morto, né cedimenti ad una linea barocca e affabulatrice: la linearità del testo rende ancora più avvincente questo cammeo che propone un modo completamente nuovo di vedere l’arte. Ovverossia come l’auspicato, possibile ritorno alla vera essenza dell’“Uomo Nuovo”. Un uomo nuovo di cui Adriano sarà il prototipo.

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