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Femminicidi e Violenza sulle donne: molta precauzione mediatica, poca prevenzione profonda

Si cerca di sensibilizzare con simboli come le panchine rosse, i quali hanno una funzione sociale, ma tuttavia questa estetica mediatica senza psicologia del profondo, è una prevenzione superficiale

Femminicidi

I cosiddetti femminicidi riempiono le pagine di cronaca nera in un crescendo che sembra assumere i connotati di un’autodistruzione intestina nella nostra società.

Uomini contro le donne nella stessa società, un fenomeno diverso dalla rivendicazione maschile sulle donne di altre etnie come è accaduto spesso nella Storia. Anzi, nel nostro paese, più le donne sono affettivamente implicate con i loro persecutori e più questi ultimi sembrano accanirsi su di loro.

Questo ci dovrebbe far capire che quello dei femminicidi non è in un’ultima istanza un problema “di genere,” ma soprattutto un problema di dinamiche emotive e familiari. Trattandosi di un problema profondo occorre dunque una prevenzione profonda.

Femminicidi, la prevenzione profonda

Le risposte emergenziali o normative che vengono offerte vanno sotto il nome di “politiche di prevenzione”, ma purtroppo di preventivo hanno ben poco. Si insiste su dannosi slogan nello stile chi picchia una donna non è più forte ma più vile. Peccato che per arginare questo fenomeno delittuoso la soluzione non sia nella mortificazione degli uomini. In quanto è proprio la mortificazione che li affligge uno dei motori distorti che li spinge ad agire in modo violento.


Chi si occupa di questa strage dovrebbe separare il giudizio morale sui carnefici dalla valutazione psicologica e antropologica delle dinamiche se vuole davvero essere utile alla causa.

Si cerca di sensibilizzare con simboli come le panchine e le scarpette rosse, i quali certamente hanno una valida funzione sociale, tuttavia questa estetica mediatica senza psicologia del profondo, è una prevenzione superficiale che non educa al rispetto autentico dell’alterità (della donna in questo caso).

Ci rendiamo conto di quanto la questione sia delicata, pericolosa e complessa, nei suoi fattori psicologici, ambientali, culturali, antropologici e filosofici. Offriamo pertanto solo alcuni spunti utili alla riflessione.

La retorica del Patriarcato


Secondo chi scrive, sono fuorvianti le interpretazioni secondo cui l’uomo ucciderebbe la donna in quanto la considererebbe una sua proprietà e dunque perché la percepirebbe come oggetto.

Innanzitutto si tratta di una concezione diversa per ogni nazione e cultura (e nel nostro paese probabilmente anche in base a diverse regioni).

Anche se in qualche modo lo stalker e/o l’omicida non rispetta la donna come persona nella sua umana inalienabile dignità e libertà, in quanto la sua maturità relazionale è rimasta ferma in fasi emotivamente infantili, tuttavia non possiamo affermare che la concepisca come oggetto. Piuttosto tende a vederla come una sorta di entità spaventosa, incontrollabile, forse un’ombra sfuggente di una madre anaffettiva o iperpossessiva.

Di questi conflitti negli uomini dobbiamo parlare con urgenza se vogliamo interrompere il bollettino delle donne uccise. La società in cui abitiamo non è più in alcun modo classificabile come patriarcale. Non lo è nella struttura familiare, non lo è nei suoi codici antropologici di relazione e famiglia, non lo è a livello economico, dove si presenta liquida ( utilizzando la nota espressione del sociologo Bauman) precaria e sospesa.

L’infanzia degli “aguzzini”

Quasi la totalità delle donne viene uccisa dal partner o ex. E questo significa che il nodo è nelle relazioni sentimentali, le quali sono impiantate sull’imprinting dello schema familiare.


Altro fatto di cui non si tiene conto è che questi uomini sono stati educati emotivamente da affettivamente da donne e uomini, dunque dovremmo analizzare il modo in cui vengono cresciuti questi nostri figli. Il ruolo materno è il pilastro su cui si costruisce la concezione del femminile in un bambino e in poi in un ragazzo che diventerà un uomo. La psicologia del profondo ci dice che non basta un’educazione formale e verbale del bambino, al rispetto di umani e viventi, ma gli esempi vissuti.

Bambini che non hanno attraversato l’esperienza della desimbiotizzazione dalla mamma e che non hanno realizzato l’identificazione con il padre, oppure che hanno avuto un modello di padre violento o madre abbandonica sono soggetti a rischio.

Insomma non si può arginare il fenomeno dei femminicidi se non si esplorano le dinamiche che fondano i nostri imprinting reconditi e inconsci. Parliamo qui di prevenzione emotiva e familiare.

Labilità dei ruoli e prevenzione sociale


Vi è poi il discorso della labilità dei ruoli, la liquidità dei legami, la confusione dei generi, spacciata per libertà civile, che alimenta identità labili e frammentarie. Edipici mai risolti, legami di attaccamento simbiotico o insicuro con la madre, formano uomini privi di autostima perché non si affronta l’inevitabile separazione delle identità in fase di crescita. Ciascuno di noi è integrazione dell’universo psichico maschile e femminile.

Ma ognuno di noi si rifà a un modello femminile da amare e maschile da imitare nel caso di un uomo, o viceversa per una donna.

Questo tipo di prevenzione possiamo definirla antropologica e sociale ma lavora anche nella famiglia, definita infatti “cellula della società”.

Femminicidi: prevenzione sulle vittime


Un altro aspetto che si tende rovinosamente a liquidare è quello del ruolo delle vittime. Il timore di far pesare su di esse una qualche responsabilità nella loro sorte fa sì che non si parli delle donne perseguitate come soggetti attivi in queste dinamiche. Tuttavia senza responsabilità nella relazione non può esserci libertà dalla sua degenerazione.

Le vittime di femminicidio sono soggetti emotivamente fragili e facilmente manipolabili, carichi di sensi di colpa, schiacciati dall’insicurezza. Donne con scarsa autostima, difficoltà di distinguere in sé stesse la differenza tra un rapporto maturo e armonioso e uno ricattatorio.

Donne che quasi sempre rimettono in atto nella coppia violenta gli abusi subiti da piccole e che in una coazione a ripetere cercano con tutta la loro forza di cambiare, salvare, emendare e rieducare l’uomo che le tormenta.

Dobbiamo iniziare a dire a queste donne che i loro partner o ex hanno un problema ma che del resto il problema viene alimentato dai loro atteggiamenti.

Non è dunque un qualche potere di rivalsa sugli uomini che deve essere affermato, ma il potere di chiarificazione e rispetto di se nelle donne che va ripensato e rinsaldato.

La prevenzione profonda deve partire anche da queste consapevolezze della vittima.

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