Prima pagina » Opinioni » Elezioni in Francia. Tutti contro Le Pen, brutta e cattiva

Elezioni in Francia. Tutti contro Le Pen, brutta e cattiva

Un tantino più difficile, spiegare perché Le Pen merita il consenso dei cittadini. Anziché scongiurarli di non votare per il babau neofascista

Marine Le Pen, FN

Marine Le Pen, FN

Desistenza. Si chiama così, l’estremo tentativo di evitare il trionfo del Rassemblement National. Ovvero dei suoi leader. La guida storica Marine Le Pen, a sua volta subentrata nel 2011 al padre Jean-Marie, e la sorprendente novità, l’appena 28enne Jordan Bardella.

Le Pen

Incapaci di vincere con le proprie singole forze o eventualmente con un’alleanza nitida e destinata a proseguire anche dopo il verdetto delle urne, come dovrebbe avvenire in una democrazia degna di tal nome, i partiti “progressisti” francesi si sono rifugiati nella più innaturale delle scelte elettorali: un sodalizio del tutto momentaneo.

Una coalizione illusoria e fuorviante che, invece di scaturire da affinità ad ampio raggio e poggiare su programmi di governo condivisi, si regge su un’intesa occasionale e ai minimi termini.

Un accorgimento ripugnante che è reso possibile dal meccanismo dei ballottaggi e che comprime la libertà di voto sino a snaturarla. I cittadini vengono messi con le spalle al muro e spinti a convergere su dei candidati in cui non si riconoscono e che altrimenti non avrebbero appoggiato.

Più precisamente: che non si sarebbero mai sognati di appoggiare.

Aiuto! I Turchi alle porte di Vienna…

È l’apoteosi di un’altra e viscidissima distorsione: la scusa, l’alibi, del “male minore”. Una giustificazione al contrario che esce rafforzata, o persino ingigantita, dalla demonizzazione della controparte.

Come in Francia, appunto. Il Rassemblement National liquidato con l’etichetta di “estrema destra”. Ossia, quando ci si voglia astenere dal dirlo in maniera così esplicita, “fascista”.

La soluzione ideale, per i Macron di oggi e di sempre, per tutti questi democratici a corrente alternata, sarebbe elementare: dichiararlo incostituzionale e metterlo quindi fuorilegge. La realtà, finora, è stata che in fondo non era indispensabile: bastava tenerlo ai margini e assicurarsi, attraverso il dispositivo delle elezioni a doppio turno, che il successo in prima battuta non fosse confermato dai ballottaggi.

Ma oggi?

Oggi quella certezza vacilla. E tuttavia, per la palese mancanza di alternative, la si riconferma e addirittura la si enfatizza.

Si rispolvera la parolina magica, “desistenza”, e si spera che basti. Tanto, mica si tratta di costruire qualcosa che si deve protrarre nel tempo. Anche se i toni sono da crociata, la Sacra Mobilitazione durerà lo spazio di un weekend.

Lo scopo è immediato e contingente. È uno e uno soltanto: impedire che la vittoria vada allo schieramento avversario. Anzi, nemico.

Gli anatemi a pappagallo

In questo caso stiamo parlando specificamente della Francia. Dinamiche simili, però, sono presenti anche altrove. E lo sono a tal punto da costituire uno schema fisso. Impastato di pregiudizi e finalizzato alla conservazione del potere da parte di chi già lo detiene.

L’ennesima conferma, che rientra anch’essa nella piena attualità, arriva da ciò che sta accadendo in ambito UE. Ce ne siamo occupati nell’ultimo commento e perciò non ripeteremo le stesse considerazioni.

A eccezione di una. La pretesa di stabilire a priori, nella contesa politica e dunque nel voto dei cittadini, ciò che è ammissibile e ciò che non lo è. L’atteggiamento spocchioso (e spocchioso è dire poco) per cui “l’unica democrazia possibile, e lecita, è quella della dottrina liberal-progressista”.

Non ci si riflette abbastanza. Non lo si denuncia abbastanza.

La democrazia, di per sé, non è vincolata ad alcun contenuto predeterminato, purché nei limiti della Costituzione vigente. La quale, peraltro, è a sua volta suscettibile di modifiche anche sostanziali, purché introdotte con le opportune procedure di voto.

La prassi corrente, purtroppo, va in direzione opposta. Ed è talmente abituale, talmente consolidata, da essersi trasformata in un dato di fatto. Una condotta generalizzata e dogmatica che non ha più nessun bisogno, e tantomeno nessun obbligo, di dare conto della propria fondatezza. Né della sua perenne, insopportabile arroganza.

Assimilare la destra al fascismo

Questo stato di cose è durato troppo a lungo ed è necessario che finisca. Una volta per tutte.

Detto con la massima chiarezza: assimilare al fascismo la destra che afferma con forza i propri valori, etici e politici, è un’operazione arbitraria e strumentale.

Delle due l’una: o si dimostra che quella corrispondenza c’è davvero, e allora la si persegue in quanto architrave di un’organizzazione sovversiva, oppure la si smette di utilizzarla come un marchio di infamia.

Dopo di che, chissà a cosa si attaccherebbero i Macron e i Mélenchon di Francia, le Schlein e i Conte-Calenda-Fratoianni di casa nostra, i tanti/troppi tecnocrati che pontificano tra Bruxelles e Strasburgo.

Un tantino più difficile, spiegare perché si merita il consenso dei cittadini. Anziché scongiurarli di non votare per il babau neofascista.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia