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Decreto Semplificazioni contro la burocrazia italiana. Da sudditi a cittadini

Il Decreto Semplificazioni e la de-burocratizzazione è il progetto che vuole mettere in rapporto paritario la Pubblica Amministrazione e i cittadini

Recovery Fund, Giuseppe Conte

Recovery Fund, Giuseppe Conte

Confesso di essere in trepida attesa del Decreto Semplificazioni. Cosa si inventerà questo Governo per combattere la burocrazia? Ricordo Ministri che si pavoneggiavano davanti ai falò dove si bruciavano le leggi inutili. Ma era solo propaganda, un fuoco di paglia, anzi di carta, che ha lasciato tutto immutato. Semplificazione, snellimento e de-burocratizzazione, sono le declinazioni del progetto che vuole mettere in rapporto paritario la Pubblica Amministrazione e i cittadini, per consentire a questi ultimi di districarsi con successo tra le norme che regolano le loro attività. Soprattutto quelle soggette alle autorizzazioni ed ai controlli dello Stato. Uno strumento per liberare finalmente i cittadini dalla condizione di sudditi. E’ un progetto ambizioso e arduo, perché deve intervenire su diversi piani, nei quali si sono stratificate incrostazioni difficili da rimuovere. A quale acido si affiderà il Governo?

Stato e cittadini, ricostruire la fiducia reciproca con il Decreto Semplificazioni

Il primo piano è quello della fiducia dello Stato nei cittadini, incrostato da decenni di bugie, abusi e furbizie. Non ditemi le ragioni per le quali i cittadini sarebbero giustificati, perché le conosco e non le condivido. Gli italiani sentono lo Stato come un nemico o come un ostacolo. Hanno i loro motivi, ma le rare volte che lo Stato ha provato a fidarsi non mi pare che sia stato ripagato con lealtà. Quanti italiani hanno di recente lasciato lavori da mille euro per accedere, da disoccupati, ai soldi del Reddito di Cittadinanza, continuando però a fare il loro lavoro in nero? Il secondo piano è quello della fiducia dei cittadini verso lo Stato, incrostato da decenni di vessazioni, di complicazioni artificiose, di comportamenti feudali e di ottusità. Qui potrei fare infiniti esempi, che vi risparmio perché li conoscete personalmente. Anche qui qualcuno potrebbe illustrare le ragioni dello Stato, ma sarebbero anch’esse inaccettabili.

Le condizioni ci sono

Il cambiamento è dunque necessario ed epocale. Necessario perché l’Italia non può continuare a funzionare così. Epocale perché si tratta di intervenire contemporaneamente sul potere dei funzionari pubblici e sulle coscienze individuali di tutti noi. Non credo che basterà un decreto, ma le condizioni favorevoli ci sono tutte: la necessità di fare uscire rapidamente l’Italia da questo drammatico momento di difficoltà, che richiede scelte coraggiose; la voglia di dimostrare all’Europa che non siamo solo un popolo di furbetti inaffidabili; il nuovo clima di fiducia nelle Istituzioni che sembra farsi strada; una generazione di giovani funzionari entrati di recente nella P.A.

Puntare sui giovani funzionari

Puntare sui giovani è decisivo. Ricordo una vignetta di tanti anni fa che sintetizzava in modo efficace la differenza tra il nuovo assunto nella P.A. e coloro che ci lavoravano da anni. La vignetta mostrava il nuovo arrivato, con la testa sferica, che entrava in una stanza dove tutti gli altri avevano la testa cubica. I giovani entrano con le loro idee e le loro aspirazioni, pronti ad innovare e cambiare l’ambiente nel quale entrano. Liberare le loro energie è parte essenziale della sfida che attende il Governo. Intendiamoci, nella P.A. ci sono molte eccellenze straordinarie, ma dobbiamo riconoscere che non sono la norma.

Il lavoro pubblico non si impara sui banchi di scuola

Il lavoro pubblico non si impara sui banchi di scuola. A scuola si possono imparare le leggi, i metodi e i sistemi organizzativi, ma nessuno può insegnare come applicarle ai singoli casi ed alle procedure degli uffici per ottenere il risultato atteso dagli utenti. Soprattutto nessuno insegna come utilizzare quegli strumenti per risolvere, con intelligenza e fantasia, i problemi dei cittadini. Il lavoro pubblico, almeno nel quadro attuale, richiede esperienza ed inventiva per confrontarsi con una gabbia normativa, contraddittoria e farraginosa. La formazione dei giovani funzionari è dunque demandata ai dirigenti ed ai funzionari più anziani, quella che i militari chiamerebbero “catena di comando”. E qui iniziano le dolenti note.

Perché i dirigenti non fanno più scuola

Servirebbero dirigenti e funzionari capaci e onesti, che facciano da “nave scuola”, per insegnare ai giovani lo stile del migliore servizio pubblico e il metodo di lavoro più efficace per assumersi la responsabilità di risolvere i problemi. Ma queste “navi scuola” sono praticamente sparite dalla darsena della P.A. per una serie di ragioni che sarebbe difficile elencare. Mi limito quindi alle principali: il repentino pensionamento di molti dirigenti, avvenuto senza programmare un adeguato ricambio; il sommario metodo di selezione dei nuovi dirigenti e dei funzionari direttivi; l’ostilità della politica verso i dirigenti che non accettano di essere degli “yes man” e infine, purtroppo, i metodi sbrigativi e ruvidi di una Magistratura inquirente che per “pescare” i corrotti ha usato l’esplosivo anziché l’amo, intimorendo gli onesti, senza peraltro debellare la corruzione. Come i pescatori di frodo, anch’essi hanno distrutto il fragile “ecosistema”pubblico.

Servono poche leggi chiare

L’altro ostacolo è la produzione normativa. Troppe leggi aggrovigliate tra loro e scritte in una sorta di “latinorum” incomprensibile persino agli esperti. Leggi che necessitano di circolari esplicative che, essendo scritte dai medesimi “Azzeccagarbugli”, confondono ancora di più le idee. Qualcuno penserà che le leggi che intervengono su questioni complesse non possono essere semplici. Non è vero. Le leggi si possono scrivere bene ed essere chiare. La Legge Urbanistica Nazionale, le cui norme erano il riferimento per tutti i professionisti del settore prima dell’emanazione del Testo Unico del 2001, era una legge chiara ed efficace. Ed è stata promulgata nel 1942, quando il conflitto mondiale infuriava sul fronte russo e nel Pacifico.

Autocertificazione, chi se la sente?

Senza leggi chiare non si può semplificare nulla. Non si può delegare ai professionisti il compito di certificare la sussistenza di tutti i requisiti tecnici ed amministrativi per l’avvio di una attività. Perché poi, com’è giusto, arriveranno i controlli, che tutti noi auspichiamo rigorosi. Chi può certificare qualcosa che è regolamentato da leggi poco chiare o la cui interpretazione è aleatoria? Puoi essere anche Leonardo da Vinci, ma se il potere di decidere se hai fatto bene il tuo lavoro spetta a un funzionario che ha i tuoi stessi dubbi sulla normativa e magari ne sa meno di te, sono dolori. D’altronde, se il funzionario ti dà ragione e sbaglia finisce per essere indagato per abuso d’ufficio, se invece ti dà torto e sbaglia, rischia solo il tuo eventuale ricorso al TAR. Quindi nel dubbio ti dà torto. Se poi il potere di decidere finisce nelle mani di uno di quelli che io definisco “pazzi scatenati”, che leggono le norme in modo distorto, allora sei davvero nei guai: ti blocca, ti revoca le autorizzazioni e ti sanziona e magari ti denuncia anche all’autorità giudiziaria. In questo caso, chi difende i cittadini?

Infermieri che controllano i chirurghi

Le professioni tecniche sono le più esposte a questo sistema perverso, che se venisse applicato alla chirurgia genererebbe la singolare situazione nella quale il chirurgo, mentre opera, sarebbe soggetto al giudizio di un altro chirurgo, magari meno bravo, o addirittura di un infermiere, che gli dice quello che deve fare. Ma se il paziente muore la colpa è solo di chi opera. In queste condizioni vi fareste operare? Credo di no. Ma questo è quello che accade agli imprenditori i quali, alla fine, per non avere seccature o per ottenere un vantaggio sulla concorrenza, scelgono la scorciatoia delle mazzette.

Corruzione, figlia dell’inefficienza

Due parole sulla corruzione e su come debellarla. La corruzione, che esiste grazie alle norme confuse, è uno dei tanti ostacoli che si frappongono alla semplificazione. In un sistema pubblico semplice ed efficiente la corruzione non può nascere. Quando mettete benzina al distributore automatico nessuno può chiedervi il pizzo. Al massimo trovate un povero cristo che si offre di sporcarsi le mani al posto vostro in cambio di una monetina. Ma se il distributore dovesse funzionare male o, peggio, a discrezione di chi mette la benzina, per rifornirvi sareste obbligati a pagare oltre la benzina anche il pizzo. Sono stato chiaro? Molti pensano che la lotta alla corruzione sia molto difficile. Niente affatto. Ma servono gli strumenti giusti.

Strumenti giusti e anticorruzione di facciata

Ad esempio, dei controlli seri, che però nessuno vuole. Non li vogliono i politici, che preferiscono condizionare i funzionari e gli imprenditori. Non li vogliono i sindacati, che blaterano di diritti dei lavoratori e paventano regimi polizieschi e vessatori, ma con la loro tutela generica finiscono col favorire i farabutti. In molti Paesi, forse più democratici del nostro, questi controlli esistono da anni, non sono affatto polizieschi ed hanno debellato la corruzione. Noi, invece, abbiamo preferito l’anticorruzione di facciata, che ai controlli veri ha preferito quelli astratti e formali ed ha puntato sulla rotazione periodica dei funzionari. Una scelta sbagliata, perché non stana il corrotto ma, al massimo, lo manda a fare il suo sporco lavoro altrove. Una scelta che causa anche la periodica dispersione di importanti competenze e della memoria storica degli uffici. Per cui, considerata la lentezza dei procedimenti, inizi una pratica con un funzionario e quando finalmente stai per concluderla, devi ricominciare daccapo, con un altro funzionario inesperto del settore. Un mostruoso Gioco dell’Oca per il cittadino e un suicidio organizzativo per l’Amministrazione.

L’uovo di colombo oggi e la gallina di domani

Nella fase intermedia, in attesa di avere leggi semplici e chiare, basterebbero questi due semplici strumenti: un servizio di controllo interno agli uffici, che indaghi sul lavoro dei funzionari e ne verifichi la correttezza tutte le volte che qualcuno la metta in discussione e un Organismo “super partes” che faccia da mediatore nei casi di contenzioso sull’interpretazione normativa, in modo semplice e rapido, senza obbligare gli utenti a ricorrere sempre alla costosa e lenta giustizia del TAR. Uno strumento più concreto ed incisivo dell’inefficace Giudice di Pace. Ma finora nessuna legge ha mai previsto questa banale alternativa, semplice ed economica.

Semplificare tutto e subito

Per ragioni di sintesi mi sono limitato a dei piccoli esempi, riferiti solo a una parte del mondo produttivo. Ma la semplificazione urge in tutti gli aspetti della nostra vita amministrativa e si può intuire quale impresa titanica attenda il Governo che, per sperare di venirne a capo, dovrà puntare sull’intelligenza di una task force di veri esperti del settore, che conoscano gli aspetti pratici del lavoro pubblico. Un agguerrito gruppo di specialisti, animati dal desiderio di semplificare davvero la vita dei cittadini, senza inutili bizantinismi.

Evitare un nuovo codice degli appalti

Il mio timore però è che questa complessità potrebbe spingere il Governo a formulare l’ennesima legge quadro di inquadramento generale, con il solito rimando a linee guida e a disposizioni attuative di là da venire. Con il rischio di riprodurre l’errore del tanto criticato Codice degli Appalti, che ha finito con l’ingessare l’intero sistema dei Lavori Pubblici. Un Codice al quale si deve sempre derogare, con Commissari dai poteri speciali, per ottenere lo straordinario risultato del nuovo Ponte di Genova. Ecco il rischio che il Governo deve evitare, perché sarebbe l’ennesimo fallimento, che farebbe crollare tutte le speranze.

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