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Debito pubblico: la soluzione è un nuovo Piano Marshall italiano

Oggi si può fare perché il risparmio italiano, nelle banche spesso infruttifero, è ancora cospicuo, ma con la crisi in corso è a rischio anche quello

Banconote euro

In premessa va detto che una quota di debito pubblico in uno Stato moderno con 60 mln di abitanti come l’ Italia è del tutto fisiologica. Storicamente la Gran Bretagna all’inizio del XIX secolo per armarsi e sconfiggere militarmente Napoleone Bonaparte, si indebitò pesantemente e finì di pagare i suoi debiti (cioè i titoli di Stato appositamente emessi all’ epoca) solo alla fine del secolo XIX: però aveva le colonie.

Il debito pubblico italiano, un debito usuraio

Inoltre, il debito pubblico in certe fasi storiche è utile e opportuno perché aiuta a costruire le infrastrutture pubbliche che poi promuovono la impresa privata. Il cd “debito buono”, tante volte citato da Mario Draghi.

Però lo stock di debito per lo Stato deve essere fisiologico e se supera una certa soglia percentuale sulla ricchezza reale dello Stato (variabile), il debito diventa letteralmente usuraio e si rivela essere un vero e proprio cappio al collo per lo sviluppo economico, democratico e sociale dello Stato.

In particolare, contribuisce a generare paura e incertezza nella popolazione, fa scappare ed emigrare i suoi giovani (perché non si investe nella creazione di lavoro), deprime la domanda interna, facilita sensibilmente l’ affermarsi di nuovi sistemi criminali mafiosi perché molto liquidi, riduce la legalità perché incrementa la corruzione tramite affermarsi di classe burocratica infedele, riduce la demografia, paralizza i risparmi e li mantiene fissi non remunerati dentro i depositi bancari.

Debito pubblico + inflazione

Se poi si associa al debito pubblico monstre anche una inflazione elevata (come oggi) che non viene contrastata dalle Banche Centrali, la tempesta perfetta è prossima all’ orizzonte. E per tempesta perfetta intendo povertà, violenza sociale nelle strade ed emigrazione massiva come nel XIX secolo. A partire ovviamente dal Mezzogiorno. E non basterebbe di sicuro la mancia della carità del RdC.

Ogni anno, infatti, il MEF è costretto ad emettere oltre 400 mld di euro in titoli di Stato italiani per rifinanziare il debito pubblico visto che non possiamo stampare moneta in quanto vincolati alla BCE dal Trattato di Maastricht. Il MEF deve emettere annualmente tanti titoli di Stato per mantenere in piedi la macchina della pubblica amministrazione, ma anche quella della impresa privata ma assistita dallo Stato.

Attualmente, la vita media del complessivo debito pubblico italiano è di circa 7 anni e questo ci mette abbastanza al sicuro da raid improvvisi e pericolosi della speculazione finanziaria internazionale.

Però il rischio di default esiste sempre soprattutto perché la nostra economia – che è fortemente industrializzata e manifatturiera – esce fortemente fiaccata nel corpo e nello spirito da una gestione a dir poco approssimativa della Pandemia Covid-19 e infiacchita dalle pesanti necessità energetiche e di spese militari indotte dalla guerra in Ucraina.

La soluzione italiana al debito pubblico

E’ quindi necessario interrompere urgentemente e radicalmente questo circuito vizioso ed intervenire a monte mediante quella che possiamo chiamare “Soluzione italiana“.

E’ molto semplice. I depositi bancari in Italia ammontano secondo stime di Bankitalia a circa 5 volte la quantità totale di titoli di debito complessivi circolanti emessi dallo Stato Italiano: però è chiaramente impensabile ripetere oggi tout court una misura predatoria come quella che fu fatta nottetempo a mercati chiusi dal Presidente Amato nel 1992 alla vigilia del Trattato di Maastricht, cioè il prelievo forzoso urbi et orbi del 6 per mille a tutti dai risparmi privati. Una misura del genere, infatti, non sarebbe capita dal popolo italiano e soprattutto dalla borghesia e dalla classe dirigente ed intellettuale che poi sarebbero quelli che devono tirarci fuori in primis da questo guado.

Viceversa si potrebbe ricorrere ad una sorta di prestito d’onore o massiccia emissione di titoli di Stato esclusivamente dedicati e riservati ai soli Cittadini Italiani con durata almeno 40ennale a tassi di interesse molto bassi, sotto le soglie di mercato. In questo modo lo spread negativo verrebbe compensato dal valore reputazionale e d’onore del prestito perché predisporrebbe alla successiva caduta della tassazione media e di picco su IRPEF ed IRES per tutti i cittadini italiani indistintamente per avvicinarci infine a livelli di tassazione simil-irlandesi.

Un Piano Marshall italiano

Qualcosa di simile fu fatto (Titoli di Stato Irredimibili di Einaudi) nell’ immediato secondo Dopoguerra del secolo scorso, quando si dovette procedere insieme al Piano Marshall del 1948 al finanziamento della ricostruzione postbellica dell’ Italia a partire dalle infrastrutture e delle industrie. E oggi, siamo in situazioni simili di dover ricostruire uno Stato anche se la guerra non la abbiamo più riavuta fortunatamente.

Solo in questo modo, a mio giudizio e durante un periodo di almeno due-tre anni – per dare gradualità e flessibilità al Piano e ridurre l’ impatto sulla popolazione – potremmo allungare sensibilmente la durata media della vita del debito pubblico (almeno di 4 volte) e ridurne sensibilmente lo stock complessivo a valori del 20-25 % di quelli attuali.

Tuttavia, per avere successo la manovra andrebbe condivisa da tutte le forze parlamentari o quasi e andrebbe associata a riforme costituzionali per una modifica in senso presidenziale del nostro sistema di regole con i relativi pesi e contrappesi a partire dal ruolo della Informazione.

L’esempio del Sol Levante

Ci vuole in questo modo a mio giudizio una sorta di Grande Piano Marshall italiano che riconduca il debito pubblico italiano interamente dentro i confini italiani, così come succede oggi in Giappone e questo a mio giudizio deve essere pienamente condiviso dalla gente e non deve essere forzoso. Oppure andrebbero studiate soluzioni miste ed incentivi economici per chi investe nello Stato Italiano.

Solo così avremmo la forza finanziaria per non chiedere più denari agli stranieri, per ammodernare tecnologicamente il Paese e per dotarlo di infrastrutture (ponti, strade, autostrade, porti, aeroporti, trasporti, mobilità pubblica) che gli permettano di competere con gli stranieri.

Solo così potremmo tornare ad investire negli asset veramente strategici del nostro Paese che sono la Scuola, l’Istruzione universitaria, la Sanità e il Ssn.

Il futuro Governo vorrebbe fare una riforma costituzionale dello Stato in senso presidenziale, il che ci può anche stare: ma una riforma costituzionale così forte ed ambiziosa in una Nazione sostanzialmente ancora giovane dal punto di vista democratico come l’ Italia, non si potrà mai fare a colpi di maggioranze parlamentari e referendum popolari confermativi.

Italiani, popolo di risparmiatori

Per avere successo e radicarsi nella popolazione (condivisione) essa andrebbe sostenuta da una enorme iniezione di risorse finanziarie private mediante l’ abbattimento sostanziale del valore attuale dello stock complessivo del debito pubblico gigantesco italiano.

Oggi questo si può fare ancora perché il risparmio italiano, praticamente interamente congelato o quasi, nelle banche spesso quasi infruttifero, è molto cospicuo. Se viceversa si aspetterà ancora che gli italiani, per contrastare crisi economiche mal gestite come negli ultimi due anni, consumeranno gran parte ancora dei loro risparmi privati (cioè che venga drenato in rivoli all’ estero), questa manovra mista costituzionale e finanziaria non potrà più essere realizzata e la fine del Paese dal punto di vista democratico – stile Argentina – sarà inevitabile.