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Covid-19: massimo allarme per instaurare l’emergenza e truccare daccapo la UE

Meno di 2000 morti e quasi sempre con gravi patologie pregresse. Dati che non giustificano affatto tutto il resto

ursula von der leyen

Il Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen

Si è innalzato un feticcio: e lo si è chiamato contagio. Mentre di fronte alle epidemie influenzali il criterio era sempre stato, giustamente, quello dell’effettiva mortalità, questa volta si è deciso di spostare l’accento sulla quantità esorbitante dei potenziali infetti.

Il presupposto, che come vedremo è smentito dai dati, è che ci sia un livello altissimo di infettività e che vi sia anche una proporzione diretta e massiccia tra infettati e deceduti. Detto in maniera spiccia: ci potremmo infettare quasi tutti e questo porterebbe a un enorme numero di vittime, qualora non si intervenga con delle straordinarie misure di contenimento. Che sono, appunto, quelle già imposte. E le altre che potrebbero sopravvenire in seguito.

Ecco fatto. Il punto chiave lo abbiamo indicato subito, ma prima di proseguire con tutto il resto – dall’analisi delle cifre alla spiegazione dei veri obiettivi dell’intera operazione – c’è da fare una premessa. Che a molti riuscirà indigesta. A conferma di quanto sia penetrato in profondità il condizionamento collettivo che spinge ad assoggettarsi di buon grado, e persino con orgoglio, alle versioni ufficiali. Tanto più quando vengono ammantate della indiscutibile autorevolezza della scienza.

La premessa è racchiusa in una domanda. Vi siete bevuti quello che vi stanno raccontando?

Normale. Sbagliatissimo ma normale: il martellamento mediatico va in quella direzione ed essendo pressoché a senso unico è molto difficile riuscire a sottrarsi. A maggior ragione se non si è per nulla abituati a farlo. O se addirittura non ci si è mai cimentati. Se non si è nemmeno capaci di accettare l’ipotesi che dietro le apparenze si muova tutt’altro e che di effettiva trasparenza ce ne sia poca o niente, nelle società pseudo democratiche in cui viviamo.

L’esorcismo è sempre pronto: si chiama complottismo. Vade retro veritas. Poiché la verità dell’essere schiavizzati senza rendersene conto è quasi intollerabile, sul piano concettuale e ancora di più su quello psicologico ed emotivo, visto che comporterebbe il fatto di scoprire quanto si sia stati ingannati su innumerevoli questioni. Sulle questioni cruciali. E quanto lo si sia tuttora. A getto continuo. Covid-19 compreso.

Tra poco spiegheremo i veri obiettivi di ciò che sta accadendo.

Nel frattempo, riepilogate i comportamenti che sono stati innescati uno dopo l’altro e rispondete a queste altre domande: ci siete cascati anche voi? Vi siete via via spaventati o addirittura terrorizzati, precipitati a comprare le provvidenziali mascherine, rinchiusi in casa come da obbligo governativo, affacciati alle finestre a cantare coi vicini per svagarvi un po’, per sfuggire all’isolamento, per sentirvi solidali e coesi come non vi capita mai?

Adesso sì, che possiamo proseguire.

Modeste le cifre, enormi i divieti.

Ripartiamo dai dati. Che sono quelli forniti dal Ministero della Salute, con aggiornamento alle ore 18 di ieri, 15 marzo.

Leggiamoli con attenzione: “sul territorio nazionale i casi totali sono 24.747, al momento sono 20.603 le persone che risultano positive al virus. Le persone guarite sono 2335. I pazienti ricoverati con sintomi sono 9.663, in terapia intensiva 1.672, mentre 9.268 si trovano in isolamento domiciliare. I deceduti sono 1.809, questo numero, però, potrà essere confermato solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso”.

Innanzitutto, occhio alla frase finale: dopo aver affermato che “i deceduti sono 1.809”, si precisa – doverosamente ma quasi di sfuggita – che l’ammontare va preso con beneficio di inventario, visto che è in attesa di conferma.

Ora andiamo a recuperare, sempre nel medesimo sito, una precedente affermazione contenuta nella sezione Faq relativa al Covid-19.

Domanda: “Quanto è pericoloso il nuovo virus?”.

Risposta: “Alcune persone si infettano ma non sviluppano alcun sintomo. Generalmente i sintomi sono lievi, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti, e a inizio lento. Circa 1 su 5 persone con COVID-19 si ammala gravemente e presenta difficoltà respiratorie, richiedendo il ricovero in ambiente ospedaliero”.

Procediamo a ritroso: se i deceduti sono 1.809, e supponendo che rientrino tutti in quegli “1 su 5” che si sono ammalati gravemente, il totale delle persone che sono state davvero coinvolte in misura pesante dal virus è inferiore a diecimila. Quando la sola Lombardia – che è la regione colpita maggiormente e da più tempo, ovvero da prima che si adottassero le restrizioni successive – ha una popolazione di poco superiore ai dieci milioni di abitanti (dati 2018).

Non sembrano affatto le cifre di un’epidemia ad alta infettività e con un tasso assai elevato di aggravamento e addirittura di mortalità, sia pure sorvolando sull’incidenza delle patologie pregresse. Incidenza che peraltro, e come al solito, appare assai elevata. O addirittura poco meno che onnicomprensiva.

Siamo al cuore del problema: sono cifre così ingenti, quelle del Covid-19, da giustificare il coprifuoco che è stato imposto e l’allarme che è stato diffuso?

In termini statistici, assolutamente no. Con tutto il sacrosanto rispetto per chi muore, e per il dolore dei congiunti e degli amici, le tragedie individuali non possono prevalere sulle valutazioni di ordine generale. Non si blocca un’intera nazione per provare a evitare che ci siano alcune migliaia di vittime.

Non è cinismo: è che di regola non lo si fa mai. Né per i tumori, che provocano circa 170mila morti all’anno, né per gli incidenti stradali, né per quelli sul lavoro. Né in nessun altro ambito.

Perché lo si sta facendo questa volta, allora?

Gli antefatti. E le finalità

Ricapitoliamo le condizioni di partenza. Non sanitarie. Ma economiche e politiche.

La UE, e l’Italia in particolare, annaspa da tempo in una duplice crisi, i cui aspetti si intrecciano in un cappio sempre più stretto. Da un lato c’è stato il dilagare delle attività finanziarie, che hanno spostato i capitali dall’investimento imprenditoriale a quello speculativo. Dall’altro si è affermata la globalizzazione dei mercati, che ha stravolto i principi della libera concorrenza a danno delle aziende europee, gravate da standard assai più alti di retribuzione e di oneri sia contributivi sia fiscali. Entrambi i fattori hanno messo alle corde gli assetti precedenti del sistema di produzione e consumo, rendendo difficoltosi e precari i rapporti di lavoro, mettendo a rischio le pensioni future e deprimendo la domanda interna.

I parametri di Maastricht, come è noto, hanno portato a crescenti limitazioni della spesa pubblica in nome del controllo del deficit e dell’indebitamento, mentre l’introduzione dell’Euro ha cancellato la sovranità monetaria dei singoli Paesi.

Il risultato è stato un progressivo e ineluttabile peggioramento sia delle condizioni di vita, sia delle aspettative per l’avvenire. In un quadro d’insieme reso ancora più incerto e negativo dalla crisi divampata nel 2008.

La credibilità delle classi dirigenti, a cominciare da quelle politiche ma risucchiando nell’avversione anche quelle mediatiche e manageriali, ne è uscita via via più deteriorata. Per non dire compromessa in modo irrimediabile. Ponendo un enorme problema di legittimazione del modello dominante.

Come venirne a capo?

Il Covid-19, anche ammettendo che non sia stato fabbricato in laboratorio (e che perciò sia già pronto il vaccino, da mettere a disposizione tempestivamente dopo che certi obiettivi di riorganizzazione saranno stati raggiunti), è la straordinaria occasione per affrancarsi a tempo indeterminato dai succitati vincoli di bilancio e imprimere, attraverso poderosi investimenti pubblici e la massiccia immissione di nuova valuta, una potente sferzata ai mercati interni.

Beninteso: non si tratta affatto di una resipiscenza di natura morale, ma solo di un riposizionamento dettato dalle circostanze. Nulla di strategico, nel senso di una rinuncia definitiva alla sopraffazione delle oligarchie finanziarie ai danni del resto della popolazione, e tutto in chiave tattica, benché probabilmente con una durata non breve.

Il copione, in pratica, dovrebbe essere questo.

Fase uno, che è già in corso: per qualche settimana, o al massimo qualche mese, si protrae lo stato di emergenza, incentivando i cittadini a sopportare i sacrifici e a sentirsi di nuovo una comunità, dopo che per decenni e decenni li si è spinti verso interazioni antagonistiche e aggressive (vedi, ad esempio, i contratti-capestro nei confronti dei dipendenti, specie quelli più giovani). Questo slancio di ritrovata coesione si estende ai politici etc., percepiti e rivalutati come coloro i quali, finalmente, si sono dimostrati capaci di perseguire il bene comune. Allo stesso tempo, viene accentuato il valore degli esperti come depositari di un sapere di natura tecnico-scientifica che li rende delle guide affidabili.

Fase due: l’allarme viene meno e si entra in una prolungata fase di “ricostruzione” economica e sociale, utilizzando la suddetta leva degli investimenti pubblici e confidando che la popolazione accolga come una benedizione il ritorno ai normali impegni, ivi incluse le eventuali e ulteriori difficoltà. Se poi si sarà trovato il vaccino, come è logico aspettarsi, si procederà quasi sicuramente a una somministrazione indiscriminata, ribadendo al contempo l’utilità/indispensabilità delle altre vaccinazioni su vasta o vastissima scala. Un’altra ipotesi da non scartare, e anch’essa in nome del controllo degli spostamenti personali e in vista di possibili altre epidemie, è quella dell’installazione obbligatoria di microchip individuali, magari associandola a usi tecnologici vantaggiosi come il riconoscimento automatico in banca, in aeroporto, etc.

Scenari apocalittici e inverosimili?

Lo scopriremo relativamente presto. Ma ci tenevamo a indicarli con il dovuto anticipo.

Con una raccomandazione finale: nessuna analisi della realtà può prescindere dal ruolo e dalle mire dei gruppi di potere. Pensare che essi non esistano, o che siano disposti a cedere i loro privilegi senza dare battaglia, è un errore decisivo. È una colpa imperdonabile.

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