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C’est Plus Fácile, la pronuncia dei termini esotici dimenticando la lingua italiana

Viene da pensare che gli italiani, ormai rassegnati a questo imbarazzo per la propria lingua, tentino, barando, di mischiare le carte puntando su quelle straniere

Parigi, Notre Dame

Parigi, Notre Dame

Non so se avete notato che da qualche anno in Italia ha preso piede l’usanza di pronunciare il nome del primo ministro francese con l’esatto accento che userebbe un vero parigino. Un parisienne cresciuto a Montparnasse, con tanto di maglietta a righe orizzontali, baschetto in testa e baguette sotto al braccio. 

Pronunce stravaganti

È un’insopportabile tendenza ormai incontrollata nata per caso in tv. Sono bastati un paio d’inviati a Parigi inguainati in un suggestivo impermeabile stile Jean Gabin per far sì che la cosa facesse presa e si  estendesse a qualsiasi commentatore di politica estera (pena, credo, il licenziamento).

Da noi basta poco, basta dare il la e il gioco è fatto. La macchina infernale è partita e non si fermerà più fino a conquistare ogni ambiente della nostra società senza risparmiare condomini di periferia, portinerie, palestre, taxi e mercati rionali. Ho sentito con le mie orecchie, macellai analfabeti pronunciare quel nome in modo nauseante: Øemmanïüell’ Makvön, improvvisando improbabili dieresi circonflesse e doppi accenti gravi, tanto che persino il quarto di bue che stavano per fare a pezzi con la mannaia in un sussulto di Nationalisme Française si è sentito per un attimo anche lui un Faux-Filet.

E signore dal parrucchiere pronunciare quel nome magico, assumendo un’aria che fosse la più francese possibile: sopracciglio sollevato, sguardo snob, e atteggiamento delle labbra “a culo di gallina”.

Nello sport gli esempi più eclatanti

Anche le cronache sportive non risparmiano questa mania di apparire funamboli della perfetta pronuncia. Allora menzionare la celebre squadra di calcio parigina come si faceva una volta, quando eravamo ignoranti, diventa immediatamente squalificante e ci destituisce di ogni attendibilità. Paris Saint Germain va declamato rigorosamente con una “a” come penultima lettera, pena: un richiamo ufficiale all’Ordine dei Giornalisti.

Insomma, è bello ascoltare gli italiani maneggiare con simile padronanza la pronuncia di nomi e cognomi esotici. Tuttavia sarebbe altrettanto auspicabile se nel contempo prestassero un minimo di attenzione alle lingue parlate visto che da ormai troppi anni detengono il triste primato di ultimi in Europa nella classifica della conoscenza di lingue straniere. 

E già che ci siete potreste anche dare una ripassata all’italiano, oggetto sempre più oscuro in questo paese di poliglotti. Lo studio della nostra nobile lingua, che ha firmato la storia della letteratura mondiale, è oggi infatti solo un lontano ricordo. La nostra frequentazione con l’italiano scritto è ormai limitata a qualche messaggio sul cellulare, un’email di disdetta di qualche abbonamento e la manciata quotidiana di battute sui nostri profili social.

Gli accenti vanno a ruba

Ed è qui che si tocca il fondo: abbreviazioni, zero punteggiatura, distribuzione incontrollata di accenti messi un po’ ovunque: “io sò”, “io stò”, “lei stà”, “lei sà”; gli accenti ci sono, dunque usiamoli. Meglio abbondare, come direbbe Totò a Peppino. La galleria degli orrori si completa con lo smarrimento di fronte all’uso dei congiuntivi di “fantozziana” memoria, veri e propri killer che ogni giorno seminano vittime anche in Parlamento.

Insomma, da popolo di artisti, santi, poeti e registi sembra che siamo diventati in una nazione di fratelli Caponi sempre alle prese con la stessa strampalata lettera, adattata, volta per volta, all’esigenza del momento, ma sempre tragicamente comica. 

Mi viene da pensare che gli italiani, ormai rassegnati a questo imbarazzo per la propria lingua, tentino, barando, di mischiare le carte puntando su quelle straniere. Ma inglese, francese, spagnolo, non basta saperli pronunciare, bisognerebbe anche impararli. Certo fa un bell’effetto scandire il nome del terziano brasiliano con lo strettissimo accento di una favela a Rio; oppure quello del Segretario del Parlamento europeo come si fa nelle peggiori “brasserie di Bruxelles”.

Ma questo potrà bastare solo ad impressionare gli amici al bar, sempre sperando che nessun turista interrompa il vostro aperitivo per chiedervi qualche informazione nella sua lingua madre. In tal caso cadreste in uno stato di smarrimento tale da far crollare in un attimo anni della vostra reputazione di cittadini del mondo.

A niente servirebbe balbettare con lo sguardo perso il pietoso pot pourri delle vostre migliori frasi ad effetto buttate lì a casaccio (ovviamente pronunciate in perfetto Argot del ventesimo arrondissement).

No, a me non sembra una grande idea. Secondo me converrebbe tornare al vostro buon vecchio italiano, non foss’altro che avreste già una buona infarinatura. Basterebbe impegnarsi un po’, potreste tornare a studiarlo; studiate la grammatica, leggete un libro o magari guardate un po’ di tv francese.

Ecco, questa è una buona idea, così scoprireste con vostra somma delusione quanto storpino la nostra di lingua e che loro, i furbi, pronuncerebbero il vostro nome rigorosamente alla francese: cioè con un suono vuoto al posto della “r” e mettendo inderogabilmente, quell’insopportabile, supponente accento sull’ultima lettera. C’est Plus Fácile, pensateci. 

In fede, vôtre Giancavlò Gevettò