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Campagna elettorale e social network, quando un video genera polemiche

Siete d’accordo con una campagna elettorale basata su contenuti volti a generare polemiche sui social network?

Massimo Mallegni e Alessio Di Giulio nei loro video promozionali

La campagna elettorale in tempo di social network. Succede che in periodo di elezioni, ciascun candidato scelga, più o meno condivisibilmente, le modalità entro cui organizzare la propria promozione in vista delle votazioni. I social network diventano teatro di tutto questo, ma oltre a diffondere il messaggio con una rapidità e un’efficacia piuttosto cospicue, rischiano di generare anche una serie di polemiche.

Il senatore Massimo Mallegni

Consideriamo per esempio quanto accaduto a Massimo Mallegni, senatore di Forza Italia uscente e candidato alle prossime elezioni. Mallegni ha pubblicato un video su Facebook, al centro di numerose polemiche, perché il candidato appare mentre interagisce con due donne, una delle quali incinta, intente a svolgere mansioni domestiche, tra aspirapolvere e ferro da stiro.

Il politico nel video recita: “Occuparsi della famiglia 7 giorni su 7 non è un lavoro? Dal 26 settembre, se saremo al Governo, approveremo una legge per dare uno stipendio e una pensione alle nostre mogli e alle nostre mamme. Ricordatevelo”. Di qui, l’accusa di sessismo e l’indignazione generale del popolo del web.

Indignazione che non ha risparmiato nemmeno Alessio Di Giulio, consigliere della Lega di Matteo Salvini che a Firenze, si è reso protagonista e bersaglio di numerose critiche, per aver condiviso un video nel quale inquadra una donna rom, promettendo agli elettori di “non vederla mai più” qualora decidessero di votare per il suo partito.  

L’accusa mossa è stata quella di razzismo. Facebook intanto ha rimosso il video, che naturalmente non è passato inosservato ed è diventato virale grazie alla ricondivisione di altri utenti.

In merito alla censura, Di Giulio ha dichiarato: “Facebook ha censurato il video sorridente che ho postato ieri, dove mi auguravo di non vedere più l’accattonaggio a Firenze visto che la signora in questione ci ha seguito da piazza Signoria a metà via Calzaiuoli, chiedendoci soldi in maniera insistente. Stamani” ha aggiunto Di Giulio in un post pubblicato lunedì 5 settembre, “vedo che c’è stata qualche reazione qua e là, strano. Non so perché ma non riesco a vedere, da parte di qualche influencer della domenica, nessun video che denunci il tema dell’accattonaggio molesto nelle grandi città della Toscana. Ricordo che l’accattonaggio molesto è un reato“.

Ci chiediamo e chiediamo ai gentili lettori se oggi, al tempo dei social ma soprattutto del politically correct, siano attuali e condivisibili, strategie del genere.

Quelle cioè, atte a creare, a qualunque costo, una eco che inevitabilmente comporti una diffusione del messaggio. Quanto c’è di consapevole nella scelta e soprattutto negli effetti della pubblicazione di questi contenuti? E quanto di inconsapevole? Oggi, nel 2022, conta di più il messaggio e il programma elettorale o la sempiterna legge del “purchè se ne parli“?

I social sono sicuramente il nuovo bacino entro cui cercare e affermare approvazioni. Si spera, tenendo conto di una delle poche leggi che non dovrebbero mai essere calpestate: il buon senso.