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Buffett, Barbareschi, Sting: nessuna eredità ai loro figli. E che si arrangino

Il timore, fondato, è che la ricchezza possa rendere molli e viziati. Ma la contromisura è rozza ed esagera in senso opposto

Nessuna eredità ai propri figli. Oppure, solo una parte più o meno ridotta dei patrimoni miliardari che quei padri così abili sono stati capaci di accumulare.

Una posizione che accomuna personaggi celeberrimi del mondo dell’economia e dello spettacolo. Tra i più drastici, ci sono il super speculatore Warren Buffett, la star della musica Sting e il cuoco Gordon Ramsay. E qui in Italia Luca Barbareschi.

La giustificazione, o la scusa, è che ognuno deve imparare a guadagnarsi da solo i denari con cui vivere. Nelle parole dello stesso Barbareschi, «I figli dei ricchi diventano cretini, ma non sono cretini. Il cervello è un muscolo e va allenato. Se tu non studi non elabori, il cervello s’impigrisce».

Giusto e condivisibile? Non proprio. E quindi, dovendo scegliere da che parte schierarsi, diciamo pure di no.

Qualcosa di vero c’è, naturalmente, ma c’è anche molto, troppo, di schematico. E l’educazione dei figli è un processo talmente complesso e ricco di variabili da essere di per sé agli antipodi di un approccio sommario. Tanto più se si irrigidisce, come in questo caso, su una posizione fissata a priori e mantenuta in maniera immutabile.

Ogni decisione, infatti, dovrebbe scaturire dalle circostanze reali, che per loro natura sono in divenire. E laddove non lo siano, non lo siano più, ci si deve chiedere il perché.

Un perché che comunque, quale che esso sia, attesterebbe il fallimento del percorso educativo.

Un individuo che non sia più capace di cambiare è un essere ormai sclerotizzato. Ridotto a una vita apparente che anticipa la fissità irrevocabile della morte. Al posto delle esperienze che smuovono l’anima, e sia nel male che nel bene la spingono a interrogarsi sul senso del proprio stare al mondo, un groviglio di abitudini che si ripetono senza produrre domande. Senza più indurre a cercare le risposte.

Quanto di più lontano dal dinamismo auspicato da Barbareschi.

Soldi=potere

La questione va completamente riformulata. Non è l’eredità in sé stessa , a ostacolare la crescita interiore e il rafforzamento del carattere. Semmai, a frenare l’evoluzione o persino a comprometterla, è la certezza che o prima o dopo si arriverà comunque a disporre di un’enorme quantità di denaro.

Di denaro e quindi di potere, sulle cose e purtroppo anche, per molti versi, sulle persone.

Un insegnamento calibrato assai meglio, e ben più proficuo, andrebbe basato proprio su questo aspetto: ogni potere comporta una responsabilità da parte di chi lo detiene. E quanto più cospicuo è il potere, tanto più deve essere ampia, e intensa, la responsabilità.

Analogamente, quei miliardari pseudo etici che credono di aver schivato brillantemente l’eventualità di una prole infrollita dai troppi agi, dovrebbero capire che anche l’educazione dei figli è un potere enorme. Anzi, smisurato. Un potere che esige un’assunzione di responsabilità altrettanto vasta. E forse ancora più assidua, visto che non si tratta di incarichi a termine.

Una carica si può lasciare. Il ruolo di genitori – il compito di genitori – non si esaurisce mai, anche se nel tempo si trasforma in una relazione diversa e più duttile.

Stabilire a priori che l’eredità non verrà trasmessa non è la soluzione del problema. È la sua rimozione.

Un atteggiamento che è diseducativo di per sé: se i figli dovessero acquisirlo come modello di comportamento nelle loro relazioni genitoriali, si atterranno a schemi altrettanto rigidi. E per non correre il rischio di sbagliare, rinunceranno alla sfida di riuscire. Nel timore di perdere, si priveranno della possibile gioia di vincere. E di vincere non già per sé stessi, o per la tutela dei propri averi, ma per l’amore dei propri figli.

Una variante, tra le più terribili, dell’avarizia materiale.

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