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Autismo: malattia poco conosciuta e metafora della comunicazione moderna

Oggi, 2 aprile, è stata la giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo

Oggi, 2 aprile, è stata la giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, una malattia tanto diffusa quanto sconosciuta e anche invasiva nella vita di una persona che viene colpita da questa patologia. Da neuropsichiatra infantile l’ho studiata per molti anni. Si tratta di una patologia che schiude una metafora efficace dei nostri tempi. Il bambino autistico infatti vuole più di ogni alta cosa comunicare, si vive una fortissima emergenza di comunicazione e al contempo non trova i canali per farlo, abita l’impossibilità di farlo. Credo che questo racchiuda davvero una drammatica metafora del nostro modo di vivere contemporaneo. Siamo iperconnessi e scarsamente comunicativi, super in collegamento ma spesso privi di relazione. Una solitudine della quale l’autismo ne è la concretizzazione e la massima espressione.

Oggi un bambino su 77/78 nasce autistico, quindi vi è un’altissima incidenza. Potremmo definirla come la chiusura di un bambino alla realtà esterna. Oggi questa malattia si può diagnosticare con screening e si presenta in modo molto diverso da caso a caso: ci sono bambini totalmente chiusi in loro stessi, a tal punto che si autodistruggono facendosi male, ci sono bambini che hanno momenti di apertura e bambini che hanno quasi una vita normale, anche se fortemente condizionata da movimenti fisici, stereotipie, comportamenti ripetitivi e compulsivi. Infatti si è giunti a classificare alcune declinazioni della patologia come “disturbi dello spettro autistico”.

Così come la patologia conosce una gamma enorme di comportamenti, i motivi sono altrettanti: si va dal mancato rapporto con il seno materno, un contatto freddo, “famiglie ghiacciaia”, poco contatto fisico e nutrimento affettivo. Fino a motivi genetici. Tutto vero, ma tutto parziale. Alcune mamme di bambini con autismo testimoniano di aver sentito il loro piccolo scalciare poco nel loro grembo eaver avvertito poca reattività nei movimenti fetali.

Racconto un’esperienza personale da neuropsichiatra infantile: quando visitavo i bambini, li ricevevo in una stanza ben arredata, silenziosa, uccellini e piante erano ascoltabili e visibili vicino all’ambulatorio. Passavo anche ore con il bambino per osservarlo e vivere il suo disagio. Alcuni mi hanno detto, attraverso disegni, brevi parole, che percepivano la voce della mamma come carezze, e che percepivano indipendentemente da contenuti, i rumori, le frasi degli altri, come frecce di vetro, schegge dolorose. Ogni percezione vissuta come disturbo e dolore dalla persona autistica, ma possiamo dare più carezze. Davvero dunque gli abbracci sono terapeutici mentre il fragore del mondo è spesso malessere che porta a rifugiarsi in se stessi. Dobbiamo investire di più nella diagnosi precoce e nella prevenzione e nell’educazione affettiva delle famiglie verso i nascituri.

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